Grazia Deledda

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Grazia Deledda o, in lingua sarda, Gràssia o Gràtzia Deledda (Nuoro, 28 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936), Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, è stata una scrittrice italiana vincitrice del Premio Nobel per la letteratura 1926. È ricordata come la seconda donna, dopo la svedese Selma Lagerlöf, a ricevere questo riconoscimento, e la prima italiana.[1]

Nel 2022 la Repubblica dei Poeti su proposta del Presidente del Comitato Nazionale per i 150 anni dalla nascita di Grazia Deledda, le conferisce la cittadinanza onoraria con il certificato numero 100.

Biografia

Gioventù

La casa di Grazia Deledda a Nuoro

Nacque a Nuoro, in Sardegna, il 28 settembre 1871 alle due del mattino[2], quarta di sette tra figli e figlie,[3][4] in una famiglia benestante.[5] Il padre, Giovanni Antonio Deledda, laureato in legge, non esercitò la professione. Agiato imprenditore e possidente, si occupava di commercio e agricoltura; si interessava di poesia e lui stesso componeva versi in sardo; aveva fondato una tipografia e stampava una rivista. Fu sindaco di Nuoro nel 1863.

La madre era Francesca Cambosu, donna di severi costumi; dedita alla casa, educherà lei Grazia.[6] Dopo aver frequentato le scuole elementari fino alla classe quarta, Grazia venne seguita privatamente dal professore Pietro Ganga, un docente di lettere italiane, latine, greche, che parlava francese, tedesco, portoghese, spagnolo. Ganga le impartì lezioni di base di italiano, latino e francese[7]. Proseguì la sua formazione totalmente da autodidatta.[5]

Dovette affrontare un lungo corpo-a-corpo per dare forma alle aspirazioni profonde, per rispondere alla voce interiore che la chiamava irresistibilmente alla scrittura, soprattutto contro la piccola e chiusa società di Nuoro in cui il destino della donna non poteva oltrepassare il limite di «figli e casa, casa e figli». Grazia reagì, rivelando così da protagonista il travaglio della crisi epocale del mondo patriarcale (contadino e pastorale), incapace ormai di contenere e di promuovere le istanze affioranti nelle nuove generazioni. Il bisogno di realizzarsi in spazi sociali aperti e vasti, la progressiva coscienza delle proprie capacità e il confronto con modelli comportamentali diversi da quelli imposti la poteva indurre ad assumere altre identità. Ma questo rischio era lontano dai suoi intendimenti. Se l’identità da un lato non può pensarsi stagnante, immobile e senza relazioni nutritive, dall’altro assumere l’identità di un altro significa perdere la propria, dare l’identità a un altro significa sottrargli la sua. Grazia ha seguito una strada esemplare: ha fatto esplodere le contraddizioni di una società ormai in declino, ma senza tradirne la radice identitaria profonda che la distingue da tutte le altre. La sua ribellione è stata interpretata come un «tradimento». Invece, tutta la sua opera testimonia l’opposto.[8][9]

Importante per la formazione letteraria di Grazia, nei primi anni della sua carriera da scrittrice, fu l'amicizia con lo scrittore, archivista e storico dilettante sassarese Enrico Costa, che per primo ne comprese il talento. Per un lungo periodo scambiò delle lettere con lo scrittore calabrese Giovanni De Nava, che si complimentava del talento della giovane scrittrice. Queste missive poi si trasformarono in lettere d'amore in cui si scambiavano dolci poesie. Poi, per l'assenza di risposte da parte di Giovanni per un lungo periodo, smisero di scriversi. La famiglia venne colpita da una serie di disgrazie: il fratello maggiore, Santus, abbandonò gli studi e divenne alcolizzato; il più giovane, Andrea, fu arrestato per piccoli furti. Il padre morì per una crisi cardiaca il 5 novembre 1892 e la famiglia dovette affrontare difficoltà economiche. Quattro anni più tardi morì anche la sorella Vincenza.[6]

Attività letteraria giovanile

Ritratto di Grazia Deledda, di Plinio Nomellini, 1914

Nel 1888 inviò a Roma alcuni racconti (Sangue sardo e Remigia Helder), pubblicati dall'editore Edoardo Perino sulla rivista "L'ultima moda", diretta da Epaminonda Provaglio. Sulla stessa rivista venne pubblicato a puntate il romanzo Memorie di Fernanda. Nel 1890 uscì a puntate sul quotidiano di Cagliari L'avvenire della Sardegna, con lo pseudonimo Ilia de Saint Ismail, il romanzo Stella d'Oriente, e a Milano, presso l'editore Trevisini, Nell'azzurro, un libro di novelle per l'infanzia.

Deledda incontrò l'approvazione di letterati, quali Angelo de Gubernatis e Ruggiero Bonghi, che nel 1895 accompagnò con una sua prefazione l'uscita del romanzo Anime oneste.[10] Collaborò inoltre con riviste sarde e continentali, quali La Sardegna, Piccola rivista e Nuova Antologia.

Fra il 1891 e il 1896 sulla Rivista delle tradizioni popolari italiane, diretta da Angelo de Gubernatis, venne pubblicato a puntate il saggio Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna, introdotto da una citazione di Lev Tolstoi, prima espressione documentata dell'interesse della scrittrice per la letteratura russa. Seguirono romanzi e racconti di argomento isolano. Nel 1896 il romanzo La via del male fu recensito in modo favorevole da Luigi Capuana.[10] Nel 1897 uscì una raccolta di poesie, Paesaggi sardi, edita da Speirani.

Maturità

Grazia Deledda ritratta con il marito e il figlio

Il 22 ottobre 1899 si trasferì a Cagliari[11], dove conobbe Palmiro Madesani, un funzionario del Ministero dell'economia e delle finanze[12], che sposò a Nuoro l'11 gennaio 1900[13]. Madesani era originario di Cicognara di Viadana, in provincia di Mantova, dove anche Grazia Deledda visse per un periodo. Dopo il matrimonio, Madesani lasciò il lavoro di funzionario statale per dedicarsi all'attività di agente letterario della moglie. La coppia si trasferì a Roma nel 1900, dove condusse una vita appartata. Ebbero due figli, Franz e Sardus.[5]

Nel 1903 la pubblicazione di Elias Portolu la confermò come scrittrice e l'avviò a una fortunata serie di romanzi e opere teatrali: Cenere (1904), L'edera (1908), Sino al confine (1910), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), L'incendio nell'oliveto (1918), Il Dio dei venti (1922). Da Cenere fu tratto un film interpretato da Eleonora Duse.

La sua opera fu apprezzata da Giovanni Verga, oltre che da scrittori più giovani come Enrico Thovez, Emilio Cecchi, Pietro Pancrazi, Antonio Baldini.[14] Fu riconosciuta e stimata anche all'estero: David Herbert Lawrence scrisse la prefazione della traduzione in inglese de La madre. La Deledda fu anche traduttrice: è sua infatti una versione in lingua italiana di Eugénie Grandet di Honoré de Balzac.

Grazia Deledda, fuori dall'isola, era solita stringere amicizia e confrontarsi con personaggi internazionali, anche di piccolo calibro, che solevano frequentare il suo salotto.[15][16][17]

Il premio Nobel e la morte

File:GraziaDeledda.ogg

La tomba di Grazia Deledda nella chiesa della Solitudine a Nuoro

Il 10 dicembre 1927[18] le venne conferito il premio Nobel per la letteratura 1926 (non vinto da alcun candidato l'anno precedente, per mancanza di requisiti), «per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano». La Deledda è stata la prima donna italiana a vincere il premio Nobel[19].

Un tumore al seno di cui soffriva da tempo la portò alla morte nel 1936, quasi dieci anni dopo la vittoria del premio. Sulla data del giorno di morte c'è controversia: alcune fonti riportano il 15 agosto[20], altre il 16[21].

Le spoglie della Deledda trovarono sepoltura nel cimitero del Verano a Roma, dove rimasero fino al 1959 quando, su richiesta dei familiari della scrittrice, furono traslate nella sua città natale. Da allora sono custodite in un sarcofago di granito nero levigato nella chiesetta della Madonna della Solitudine, ai piedi del monte Ortobene, che tanto aveva decantato in uno dei suoi ultimi lavori.

Lasciò incompiuta la sua ultima opera, Cosima, quasi Grazia, autobiografica, che apparirà in settembre di quello stesso anno sulla rivista Nuova Antologia, a cura di Antonio Baldini, e che poi verrà edita col titolo Cosima.

La sua casa natale, nel centro storico di Nuoro (nel rione Santu Predu), è adibita a museo.[22]

Critica

La critica in generale tende a incasellare la sua opera di volta in volta in questo o in quell'-ismo: regionalismo, verismo, decadentismo, oltre che nella letteratura della Sardegna. Altri critici invece preferiscono riconoscerle l'originalità della sua poetica.

Il primo a dedicare a Grazia Deledda una monografia critica a metà degli anni trenta fu Francesco Bruno.[23] Negli anni quaranta-cinquanta, sessanta, nelle storie e nelle antologie scolastiche della letteratura italiana, la presenza di Deledda ha rilievo critico e numerose pagine antologizzate, specialmente dalle novelle.

Tuttavia parecchi critici italiani avanzavano riserve sul valore delle sue opere. I primi a non comprendere Deledda furono i suoi stessi conterranei. Gli intellettuali sardi del suo tempo si sentirono traditi e non accettarono la sua operazione letteraria, con l'eccezione di alcuni: Costa, Ruju, Biasi. Le sue opere le procurarono le antipatie degli abitanti di Nuoro, in cui le storie erano ambientate. I suoi concittadini erano infatti dell'opinione che descrivesse la Sardegna come terra rude, rustica e quindi arretrata.[24]

Più recentemente, le opere e i saggi della Deledda sono stati reinterpretati e ristudiati da altri corregionali[15]. Tra questi si possono citare Neria De Giovanni[25][26] (che pur marcando le radici sarde della Deledda le riconosce una dimensione che va oltre l'ambito geoculturale isolano[27]), Angela Guiso[28] (con una critica lontana dalle precedenti[15][19][29][30][31], più internazionale[15]) e Dino Manca[32][33].

Verismo

Ai primi lettori dei romanzi di Deledda era naturale inquadrarla nell'ambito della scuola verista.

Luigi Capuana la esortava a proseguire nell'esplorazione del mondo sardo, «una miniera» dove aveva «già trovato un elemento di forte originalità».[34]

Anche Borgese la definisce "degna scolara di Giovanni Verga".[35] Lei stessa scrive nel 1891 al direttore della rivista romana La Nuova Antologia, Maggiorino Ferraris: «L'indole di questo mio libro a me pare sia tanto drammatica quanto sentimentale e anche un pochino veristica se per 'verismo' intendiamo il ritrarre la vita e gli uomini come sono, o meglio come li conosco io».

Differenze rispetto al Verismo

Ruggero Bonghi, manzoniano, per primo si sforza di sottrarre la scrittrice sarda al clima delle poetiche naturalistiche.[36] Tuttavia, recentemente, altri critici la ritengono invece completamente estranea al naturalismo[37].

Emilio Cecchi nel 1941 scrive: «Ciò che la Deledda poté trarre dalla vita della provincia sarda, non s'improntò in lei di naturalismo e di verismo... Sia i motivi e gli intrecci, sia il materiale linguistico, in lei presero subito di lirico e di fiabesco...».[38]

Il critico letterario Natalino Sapegno definisce i motivi che distolgono Deledda dai canoni del Verismo: «Da un'adesione profonda ai canoni del verismo troppe cose la distolgono, a iniziare dalla natura intimamente lirica e autobiografica dell'ispirazione, per cui le rappresentazioni ambientali diventano trasfigurazioni di un'assorta memoria e le vicende e i personaggi proiezioni di una vita sognata. A dare alle cose e alle persone un risalto fermo e lucido, un'illusione perentoria di oggettività, le manca proprio quell'atteggiamento di stacco iniziale che è nel Verga, ma anche nel Capuana, nel De Roberto, nel Pratesi e nello Zena.»[39]

Decadentismo

Vittorio Spinazzola scrive: «Tutta la miglior narrativa deleddiana ha per oggetto la crisi dell'esistenza. Storicamente, tale crisi risulta dalla fine dell'unità culturale ottocentesca, con la sua fiducia nel progresso storico, nelle scienze laiche, nelle garanzie giuridiche poste a difesa delle libertà civili. Per questo aspetto la scrittrice pare pienamente partecipe del clima decadentistico. I suoi personaggi rappresentano lo smarrimento delle coscienze perplesse e ottenebrate, assalite dall'insorgenza di opposti istinti, disponibili a tutte le esperienze di cui la vita offre occasione e stimolo».[40]

Grazia Deledda e i narratori russi

È noto che la giovanissima Grazia Deledda, quando ancora collaborava alle riviste di moda, si rese conto della distanza che esisteva tra la stucchevole prosa in lingua italiana di quei giornali e la sua esigenza di impiegare un registro più vicino alla realtà e alla società dalla quale proveniva.

La Sardegna, tra la fine dell'Ottocento e il primo Novecento, tenta come l'Irlanda di Oscar Wilde, di Joyce, di Yeats o la Polonia di Conrad, un dialogo alla pari con le grandi letterature europee e soprattutto con la grande letteratura russa.

Nicola Tanda nel saggio La Sardegna di Canne al vento [41]scrive che, in quell'opera di Deledda, le parole evocano memorie tolstojane e dostoevskiane, parole che possono essere estese a tutta l'opera narrativa deleddiana: «L'intero romanzo è una celebrazione del libero arbitrio. Della libertà di compiere il male, ma anche di realizzare il bene, soprattutto quando si ha esperienza della grande capacità che il male ha di comunicare angoscia. Il protagonista che ha commesso il male non consente col male, compie un viaggio, doloroso, mortificante, ma anche pieno di gioia nella speranza di realizzare il bene, che resta la sola ragione in grado di rendere accettabile la vita».

Negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, quelli in cui la scrittrice si dedica alla ricerca di un proprio stile, concentra la sua attenzione, sull'opera e sul pensiero di Tolstoj. Ed è questo incontro che sembra aiutarla a precisare sempre meglio le sue predilezioni letterarie. In una lettera in cui comunicava il progetto di pubblicare una raccolta di novelle da dedicare a Tolstoj, Deledda scriveva: «Ai primi del 1899 uscirà La giustizia: e poi ho combinato con la casa Cogliati di Milano per un volume di novelle che dedicherò a Leone Tolstoi: avranno una prefazione scritta in francese da un illustre scrittore russo, che farà un breve studio di comparazione fra i costumi sardi e i costumi russi, così stranamente rassomiglianti». La relazione tra Deledda e i russi è ricca e profonda, e non è legata solo a Tolstoj ma si inoltra nel mondo complesso degli altri contemporanei: Gor'kij, Anton Čechov e quelli del passato più recente, Gogol', Dostoevskij e Turgenev.[42]

Altre voci di critici

Attilio Momigliano in più scritti[43][44] sostiene la tesi che Deledda sia "un grande poeta del travaglio morale" da paragonare a Dostoevskij.

Francesco Flora[45][46] afferma che «La vera ispirazione della Deledda è come un fondo di ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza, e nella trama di quei ricordi quasi figure che vanno e si mutano sul fermo paesaggio, si compongono i sempre nuovi racconti. Anzi, poiché i primi affetti di lei si formano essenzialmente con la sostanza di quel paesaggio che ella disegnava sulla vita della nativa Sardegna, è lecito dire, anche per questa via, che l'arte della Deledda è essenzialmente un'arte del paesaggio».

Testimonianze di scrittori stranieri

Su di lei scrisse prima Maksim Gor'kij e, più tardi, D. H. Lawrence.

Maksim Gor'kij raccomanda la lettura delle opere di Grazia Deledda a L. A. Nikiforova, una scrittrice esordiente. In una lettera del 2 giugno del 1910 le scrive: «Mi permetto di indicarle due scrittrici che non hanno rivali né nel passato, né nel presente: Selma Lagerlof e Grazia Deledda. Che penne e che voci forti! In loro c'è qualcosa che può essere d'ammaestramento anche al nostro mužik».

David Herbert Lawrence, nel 1928, dopo che Deledda aveva già vinto il Premio Nobel, scrive nell'Introduzione alla traduzione inglese del romanzo La Madre: «Ci vorrebbe uno scrittore veramente grande per farci superare la repulsione per le emozioni appena passate. Persino le Novelle di D'Annunzio sono al presente difficilmente leggibili: Matilde Serao lo è ancor meno. Ma noi possiamo ancora leggere Grazia Deledda, con interesse genuino». Parlando della popolazione sarda protagonista dei suoi romanzi la paragona a Hardy, e in questa comparazione singolare sottolinea che la Sardegna è proprio come per Thomas Hardy l'isolato Wessex. Solo che subito dopo aggiunge che a differenza di Hardy, «Grazia Deledda ha una isola tutta per sé, la propria isola di Sardegna, che lei ama profondamente: soprattutto la parte della Sardegna che sta più a Nord, quella montuosa». E ancora scrive: «È la Sardegna antica, quella che viene finalmente alla ribalta, che è il vero tema dei libri di Grazia Deledda. Essa sente il fascino della sua isola e della sua gente, più che essere attratta dai problemi della psiche umana. E pertanto questo libro, La Madre, è forse uno dei meno tipici fra i suoi romanzi, uno dei più continentali».

Anche il poeta, scrittore e traduttore armeno Hrand Nazariantz collaborò alla diffusione dell'opera della Deledda in lingua Armenia occidentale traducendone due racconti che furono pubblicati sulla rivista Masis nel 1907, si tratta di "վԱՆԱԿԱՆԸ" apparso sul numero 12 e "ՍԱՐՏԻՆԻՈՅ ԶԱՏԻԿԸ" pubblicato sul numero 35.[47] ;[48].

L’avversione di Pirandello

Luigi Pirandello non nascose la sua avversione per Grazia Deledda, tanto da ispirarsi a lei e al marito per la composizione del romanzo Suo marito, come traspare dalla corrispondenza con Ugo Ojetti e poi dal rifiuto dell'editore Treves di pubblicarlo[49][50][51].

Note

  1. Grazia Deledda. (20 novembre 2021). Wikipedia, L'enciclopedia libera. Tratto il 28 novembre 2021, 12:49 da //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Grazia_Deledda&oldid=124132204. Licenza 3.0
  2. L’almanacco de “il Caffè”: 150 anni fa nasceva Grazia Deledda, su luniversaleditore.it.
  3. in M. Massaiu, La Sardegna di Grazia Deledda, p. 44: quattro sorelle femmine, Giovanna (6 gennaio 1874-17 gennaio 1880), Vincenza (12 dicembre 1868-27 novembre 1896), Giuseppa (19 marzo 1877-Roma 1938), Nicolina (8 maggio 1879-14 ottobre 1972); due fratelli Giovanni Santo o Santus (1864-1914) e Andrea (1866-1922). Sebbene la data riportata nell'atto presso il registro di Stato Civile di Nuoro sia il 28 settembre, va rammentato che vi era allora l'usanza di registrare i bambini diversi giorni dopo la nascita. La stessa Grazia ne specifica il giorno in diverse lettere – tuttora inedite – indirizzate all'allora fidanzato, Andrea Pirodda. Nella prima, datata 10 dicembre 1892, scrive: «Il mio compleanno cade il 27 settembre: per cui io mi chiamo anche Cosima e Damiana». Ancora lo ribadisce in un'altra lettera, dell'11 maggio 1893: «Io non sono certa se ho venti o ventun anni compiuti; neanche mia madre ne è certa, ma è più probabile che ne abbia ventuno che venti. Sono vecchia, non è vero? La nostra vecchia serva, che ho interrogato a proposito, dice che a lei sembra ne abbia venti; ciò che si ricorda bene è che son nata una sera verso le otto, il giorno di San Cosimo, cioè il 27 settembre. Questo lo sapevo già».
  4. Tribunale dello Stato Civile di Nuoro, Grazia Deledda, 28 Sep 1871 (FHL microfilm), su familysearch.org, 1866-1915, 001962087 (archiviato dall'url originale il 1º ottobre 2016). Ospitato su FamilySearch.com.
  5. 5,0 5,1 5,2 Zago, pp. 5-19.
  6. 6,0 6,1 Turchi, pp. 9-20.
  7. I costumi dell'epoca non consentivano alle ragazze un'istruzione oltre quella primaria e, in generale, degli studi regolari.
  8. Ugo Collu, Grazia Deledda, Nobel tragico & meritato, in Studi Cattollici, n. 710.
  9. Cfr. anche Sandra Petrignani, La scrittrice abita qui, cap. I, dedicato a Grazia Deledda.
  10. 10,0 10,1 Sapegno, pp. I-XXVIII.
  11. Maria Elvira Ciusa, Grazia Deledda. Una vita per il Nobel, Carlo Delfino, 2016, p. 43.
  12. L'eros tenuto segreto di Grazia Deledda - La Donna Sarda. URL consultato il 17 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 19 ottobre 2016).
  13. "Italia, Nuoro, Nuoro, Stato Civile (Tribunale), 1866-1915," database with images, FamilySearch (https://familysearch.org/ark:/61903/1:1:Q2YC-Z7LZ : 13 February 2017), Palmerino Madesani and Grazia Deledda, 11 Jan 1900; citing Marriage, Nuoro, Nuoro, Sardinia, Italy, Tribunale di Nuoro (Court Nuoro); FHL microfilm 1,962,088., su familysearch.org.
  14. Mario Miccinesi, Notizie biografiche, in Grazia Deledda, Edizioni Il Castoro, 1975, p. 118.
  15. 15,0 15,1 15,2 15,3 Il libro della saggista Angela Guiso riscopre una Deledda internazionale - La Nuova Sardegna, su Archivio - La Nuova Sardegna. URL consultato il 14 aprile 2021.
  16. I temi, i luoghi e i personaggi di Grazia Deledda. Un Saggio di Angela Guiso per riconsiderare il ruolo della scrittrice nella letteratura italiana e Mondiale (PDF), in Il Messaggero Sardo, Agosto 2006.
  17. Angela Guiso, Grazia Deledda. Temi, Luoghi, Personaggi, Oliena, IRIS, 2005.
  18. The Nobel Prize in Literature 1926, su nobelprize.org.
  19. 19,0 19,1 Angela Guiso, La strada per il Nobel, la soluzione vincente di Grazia Deledda, su La Nuova Sardegna. URL consultato il 14 aprile 2021.
  20. * Museo Deleddiano, su isresardegna.it.
    • Maria Tettamanzi,Deledda, Editrice La Scola, Brescia 1969,
    • M. Giacobbe, p.7.
    • Vittorio Spinazzola, Cronologia, in Grazia Deledda, Romanzi Sardi, Mondadori, Milano 1981,
    • A. Bocelli,  Enciclopedia italiana.
    • Zago, p. 19.
  21. *Sapegno, p. XXVIII
  22. Museo Deleddiano, su sardegnacultura.it.
  23. Francesco Bruno, Grazia Deledda, Di Giacomo, Salerno 1935.
  24. Turchi, p. 15.
  25. Il Premio Susanna Agnelli a Neria De Giovanni, in L'Unione Sarda, 26 maggio 2019. URL consultato il 14 aprile 2021.
  26. A Neria De Giovanni Premio Italia Donna, in ANSA.it, 23 novembre 2017. URL consultato il 14 aprile 2021.
  27. Intervista a Neria De Giovanni, presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari, su tottusinpari.it, 10 luglio 2015. URL consultato il 14 aprile 2021.
  28. ) Luciano Piras, Italica, oltre ogni mare, su @ddurudduru. URL consultato il 14 aprile 2021.
  29. A Magenta una mostra e un convegno su Grazia Deledda (PDF), in Il Messaggero Sardo, Ottobre 2006.
  30. Grazia Deledda liberata dalla gabbia del naturalismo, su La Nuova Sardegna, 16 novembre 2012. URL consultato il 14 aprile 2021.
  31. I temi, i luoghi e i personaggi di Grazia Deledda. Un Saggio di Angela Guiso per riconsiderare il ruolo della scrittrice nella letteratura italiana e Mondiale (PDF), in Il Messaggero Sardo, Agosto 2006.
  32. Deledda e Pamuk, 2 Nobel allo specchio, 10 dicembre 2019. URL consultato il 14 aprile 2021.
  33. Dino Manca, Grazia Deledda, Grandangolo Letteratura/Corriere della Sera, vol. 17, Milano, 2018.
  34. Luigi Capuana, Gli 'ismi' contemporanei, Giannotta, Catania 1898; Nuova Edizione a cura di G.Luti, Milano, Fabbri Editori 1973, pp. 96-97.
  35. Giuseppe Antonio Borgese, Grazia Deledda, in La vita e il libro, Torino 1911, pp. 104, 97.
  36. Ruggero Bonghi, Prefazione, in Anime oneste, Milano 1895.
  37. Grazia Deledda liberata dalla gabbia del naturalismo, su La Nuova Sardegna, 16 novembre 2012. URL consultato il 19 aprile 2021.
  38. Emilio Cecchi, Introduzione in Grazia Deledda, Romanzi e novelle , 4 volumi, Milano, Mondadori 1941.
  39. Sapegno, p. XIV.
  40. Vittorio Spinazzola, Introduzione, in Grazia Deledda, La madre, Mondadori, Milano 1980, p. 17.
  41. N. Tanda, La Sardegna di Canne al vento di Grazia Deledda, in Quale Sardegna? Pagine di vita letteraria e civile, Sassari, Delfino, 2008, pp. 15-16).
  42. Grazia Deledda. Lettere ad Angelo De Gubernatis (1892-1909) a cura di Roberta Massini. CUEC Cagliari 2007
  43. Attilio Momigliano, Grazia Deledda in Storia della letteratura italiana, Principato, Milano-Messina 1936.
  44. Attilio Momigliano,Storia della Letteratura Italiana dalle origini ai nostri giorni, Principato, Milano-Messina 1948.
  45. Francesco Flora, Dal romanticismo al futurismo, Mondadori, Milano 1925.
  46. Francesco Flora, Grazia Deledda in Saggi di poetica modernaD'Anna, Messina-Firenze 1949.
  47. Due racconti di Grazia Deledda tradotti da Hrand Nazariantz nel 1907, su centrostudihrandnazariantz.blogspot.com.
  48. [1]
  49. [2]
  50. Luigi Pirandello, Suo marito - Giustino Roncella nato Boggiòlo, in Fabio Danelon (a cura di), Bur, Rizzoli, ISBN 9788858658499. URL consultato il 19 aprile 2020.
  51. Andrea Camilleri, Pagine scelte di Luigi Pirandello, in Bur, Rizzoli, 2007, ISBN 9788858600368. URL consultato il 17 gennaio 2020.


Collegamenti esterni

Note