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Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, diedero avvio al fenomeno del ''[[petrarchismo]]'', teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare dell'Aretino.
 
Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, diedero avvio al fenomeno del ''[[petrarchismo]]'', teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare dell'Aretino.
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== Biografia ==
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[[File:Arezzo-Casa di Francesco Petrarca.JPG|thumb|La casa natale di Francesco Petrarca ad Arezzo, in via Borgo dell'Orto 28. L'edificio, risalente al [[XV secolo|'400]], viene comunemente identificato nella casa natale del poeta secondo la tradizione e l'identificazione topica data dallo stesso Petrarca nella ''Epistola'' ''Posteritati''<ref>{{Cita web|url = http://www.regione.toscana.it/-/casa-petrarca-arezzo|titolo = Casa Petrarca Arezzo|accesso = 12 febbraio 2016|editore = Regione Toscana|data = 13 dicembre 2012}}</ref>.]]
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=== Giovinezza e formazione ===
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==== La famiglia ====
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Francesco Petrarca nacque il 20 luglio del 1304 ad [[Arezzo]] da Eletta Cangiani (o [[Canigiani]]) e da [[ser Petracco]], entrambi fiorentini<ref>{{Cita|Wilkins|pp. 5-6}}.</ref>. Ser Petracco, [[notaio]] originario di [[Incisa in Val d'Arno|Incisa]], apparteneva alla fazione dei [[Guelfi bianchi e neri|guelfi bianchi]] e fu amico di [[Dante Alighieri]], [[Esilio|esiliato]] da [[Firenze]] nel [[1302]] per l'arrivo di [[Carlo di Valois]], apparentemente entrato nella città toscana quale paciere di [[papa Bonifacio VIII]], ma in realtà inviato per sostenere i [[Guelfi bianchi e neri|guelfi neri contro quelli bianchi]]. La sentenza del 10 marzo [[1302]] emanata da [[Cante Gabrielli]] da [[Gubbio]], [[podestà (medioevo)|podestà]] di Firenze, esiliava tutti i guelfi bianchi, compreso ser Petracco che, oltre all'oltraggio dell'esilio, fu condannato al taglio della mano destra<ref>{{Cita|Ariani|p. 21}}. Più specificamente {{Cita|Bettarini}}: «Il 20 ottobre [1304], dopo essere stato accusato di aver falsificato un istrumento notarile, fu così condannato al pagamento di 1000 lire e al taglio della mano destra».</ref>. Dopo Francesco, nacque prima un figlio naturale di ser Petracco di nome Giovanni, del quale Petrarca tacerà sempre nei suoi scritti e che diverrà [[Congregazione olivetana|monaco olivetano]] e morirà nel 1384<ref>{{Cita|Dotti, 1987|p. 9}}.</ref>; poi, nel 1307, l'amato fratello Gherardo, futuro [[Ordine certosino|monaco certosino]].
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==== L'infanzia raminga e l'incontro con Dante ====
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A causa dell'esilio paterno, il giovane Francesco trascorse l'infanzia in diversi luoghi della [[Toscana]] – prima ad Arezzo (dove la famiglia si era rifugiata in un primo tempo), poi a [[Incisa in Val d'Arno|Incisa]] e [[Pisa]] – dove il padre era solito spostarsi per ragioni politico-economiche. In questa città il padre, che non aveva perso la speranza di rientrare in patria, si era riunito ai guelfi bianchi e ai [[Guelfi e ghibellini|ghibellini]] nel 1311 per accogliere l'imperatore [[Enrico VII di Lussemburgo|Arrigo VII]]. Secondo quanto affermato dallo stesso Petrarca nella ''Familiare'' XXI 1357 indirizzata all'amico [[Giovanni Boccaccio|Boccaccio]], in questa città avvenne, probabilmente, il suo unico e fugace incontro con l'amico del padre, Dante<ref group="N">L'epistola, scritta in risposta a una missiva in cui l'amico Giovanni Boccaccio gli chiedeva se fosse vera l'invidia che Petrarca nutriva per Dante, contiene l'accenno all'incontro, in età giovanile, con il più maturo poeta, come riporta la traduzione italiana di {{Cita|Fracassetti, 4|p. 392}}: {{Citazione|E primieramente si noti com'io mai non ebbi ragione alcuna d'odiare cotal uomo, che solo una volta negli anni della mia fanciullezza mi venne veduto.}}La critica, se l'incontro sia da attribuirsi a Pisa o ad altre località, è divisa: {{Cita|Ariani|p. 23}} e {{Cita|Ferroni|p. 82, nota 6}} propendono per la città toscana, mentre {{Cita|Rico-Marcozzi}} pensano a un incontro avvenuto a [[Genova]] sul finire del 1311, quando la famiglia di ser Petracco si stava dirigendo in Francia. {{Cita|Pacca|p. 4}} opera un'interpretazione intermedia tra le due città, benché ritenga che sia più probabile Pisa come luogo effettivo dell'incontro. Dello stesso parere, infine, anche {{Cita|Dotti, 1987|p. 9}}.</ref>.
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==== Tra Francia e Italia (1312-1326) ====
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===== Il soggiorno a Carpentras =====
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Tuttavia, già nel [[1312]] la famiglia si trasferì a [[Carpentras]], vicino [[Avignone]] ([[Francia]]), dove Petracco ottenne incarichi presso la [[Corte pontificia]] grazie all'intercessione del cardinale [[Niccolò Alberti|Niccolò da Prato]]<ref>{{Cita|Bettarini}} e {{Cita|Pacca|p. 4}}.</ref>. Nel frattempo, il piccolo Francesco studiò a Carpentras sotto la guida del letterato [[Convenevole da Prato]] (1270/75-1338)<ref>Per informazioni biografiche, si veda la voce a cura di {{Cita|Pasquini}}.</ref>, amico del padre che verrà ricordato dal Petrarca con toni d'affetto nella ''Senile XVI, 1''<ref>Il ricordo di Petrarca al riguardo è riportato in {{Cita|Fracassetti Seniles, 2|pp. 465-467}}.</ref>. Alla scuola di Convenevole, presso la quale studiò dal 1312 al 1316<ref>{{Cita|Pasquini}}: «Quanto al Petrarca, il magistero di C[onvenevole] si colloca indubbiamente fra il 1312 e il '16».</ref>, conobbe uno dei suoi più cari amici, Guido Sette, [[Arcidiocesi di Genova|arcivescovo di Genova]] dal 1358, al quale Petrarca indirizzò la ''Senile X, 2''<ref group="N">In {{Cita|Fracassetti Seniles, 2|pp. 85-108}} viene riportata la traduzione dell'epistola, con l'aggiunta di due pagine contenenti le note esplicative. A p. 87, Petrarca ricorda il loro primo incontro e il piacevolissimo periodo trascorso nella località francese:
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{{Citazione|...e noi fanciulli ancora impuberi partimmo in cogli altri, ma fummo con speciale destinazione per imparare grammatica mandati a scuola a Carprentrasso, piccola città, ma di piccola provincia città capitale. Ricordi tu que' quattro anni? Quanta gioia, quanta sicurezza, qual pace in casa, qual libertà in pubblico, quale quiete, qual silenzio ne' campi!}}
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</ref>.
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[[File:Casa di Francesco Petrarca, Laura e il Poeta.JPG|thumb|Anonimo, ''Laura e il Poeta'', [[Casa del Petrarca|Casa di Francesco Petrarca]], [[Arquà Petrarca]] ([[Padova]]). L'affresco fa parte di un ciclo pittorico realizzato nel corso del [[XVI secolo|Cinquecento]] mentre era proprietario Pietro Paolo Valdezocco<ref>{{Cita web|url = http://www.arquapetrarca.com/index.php?option=com_content&id=101&Itemid=99&lang=it|titolo = La Casa del Petrarca|accesso = 19 febbraio 2016}}</ref>.]]
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===== Gli studi giuridici a Montpellier e a Bologna =====
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L'idillio di Carpentras durò fino all'autunno del 1316, allorché Francesco, il fratello [[Gherardo Petrarca|Gherardo]] e l'amico Guido Sette furono inviati dalle rispettive famiglie a studiare [[diritto]] a [[Montpellier]], città della [[Linguadoca (provincia)|Linguadoca]]<ref>{{Cita|Pacca|p. 7}}.</ref>, ricordata anch'essa come luogo pieno di pace e di gioia<ref>{{Cita|Fracassetti Seniles, 2|p. 86}} in cui è riportato il brano della ''Sen.'' X, 2. Il brano è ricordato anche da {{Cita|Wilkins|p. 11}}.</ref>. Nonostante ciò, oltre al disinteresse e al fastidio provati nei confronti della giurisprudenza<ref group="N">Petrarca mostrò, nei confronti di tale scienza, sempre un'avversione innata, come è esposto nella ''Familiare'' XX, 4, in cui il futuro autore del ''Canzoniere'' scrive a Marco Genovese che a Montpellier prima e a Bologna poi {{Citazione|ben altro in quegli anni fare io poteva o in se stesso più nobile o alla natura mia meglio conveniente: nè sempre nella elezione dello stato quello ch'è più splendido, ma quello che a chi lo sceglie è più acconcio preferire si deve|{{Cita|Fraccassetti, 4|p. 261}}}}</ref>, il soggiorno a Montpellier fu funestato dal primo dei vari lutti che Petrarca dovette affrontare nel corso della sua vita: la morte, a soli 38 anni, della madre Eletta nel 1318 o 1319<ref name=":0">{{Cita|Ariani|p. 25}}.</ref>. Il figlio, ancora adolescente, compose il ''Breve pangerycum defuncte matris'' (poi rielaborato nell'[[Epistolae metricae|epistola metrica]] 1, 7)<ref name=":0" />, in cui vengono sottolineate le virtù della madre scomparsa, riassunte nella parola latina ''electa''<ref>{{Cita|Wilkins|p. 11}}.</ref>.
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Il padre, poco dopo la scomparsa della moglie, decise di cambiare sede per gli studi dei figli inviandoli, nel 1320, nella ben più prestigiosa [[Bologna]], anche questa volta accompagnati da Guido Sette<ref name=":0" /> e da un precettore che seguisse la vita quotidiana dei figli<ref>{{Cita|Rico-Marcozzi}}: «Nell'autunno 1320 si recò a studiare a Bologna, seguito da un maestro privato...»; e {{Cita|Wilkins|p. 13}}, in cui si ritiene che questo maestro avesse «l'incarico, almeno per Francesco e Gherardo, di fungere ''in loco parentis''».
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</ref>. In questi anni Petrarca, sempre più insofferente verso gli studi di diritto, si legò ai circoli letterari felsinei, divenendo studente e amico dei latinisti [[Giovanni del Virgilio]] e [[Bartolino Benincasa]]<ref>{{Cita|Ariani|p. 26}}.</ref>, coltivando così i primi studi letterari e iniziando quella bibliofilia che lo accompagnò per tutta la vita<ref>{{Cita|Ariani|pp. 27-28}}.</ref>. Gli anni bolognesi, al contrario di quelli trascorsi in [[Provenza]], non furono tranquilli: nel 1321 scoppiarono violenti tumulti in seno allo ''[[Università di Bologna|Studium]]'' in seguito alla decapitazione di uno studente, fatto che spinse Francesco, Gherardo e Guido a ritornare momentaneamente ad Avignone<ref name=":1">{{Cita|Wilkins|p. 12}}.</ref>. I tre rientrarono a Bologna per riprendervi gli studi dal 1322 al 1325, anno in cui Petrarca ritornò ad Avignone per «prendere a prestito una grossa somma di denaro»<ref name=":1" />, vale a dire 200 lire bolognesi spese presso il libraio bolognese Bonfigliolo Zambeccari<ref>{{Cita|Dotti, 1987|p. 21}}.</ref>.
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=== Il periodo avignonese (1326-1341) ===
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==== La morte del padre e il servizio presso la famiglia Colonna ====
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[[File:Avignone palazzo papi panorama.jpg|thumb|Il [[Palazzo dei Papi]] ad Avignone, residenza dei pontefici romani dal 1309 al 1377 durante la cosiddetta [[cattività avignonese]]. La città provenzale, in quegli anni centro della [[Cristianità]], era un centro culturale e commerciale di prim'ordine, realtà che permise a Petrarca di allacciare numerosi legami con protagonisti della vita politica e culturale del primo [[XIV secolo|Trecento]].]]
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Nel 1326 ser Petracco morì<ref>{{Cita|Bettarini}}.</ref>, permettendo a Petrarca di lasciare finalmente la facoltà di diritto a Bologna e di dedicarsi agli studi classici che sempre più lo appassionavano. Per dedicarsi a tempo pieno a quest'occupazione doveva trovare una fonte di sostentamento che gli permettesse di ottenere un qualche guadagno remunerativo: lo trovò quale membro del seguito prima di [[Giacomo Colonna (vescovo XIV secolo)|Giacomo Colonna]], [[Diocesi di Lombez|arcivescovo di Lombez]]<ref>{{Cita|Cappelli|p. 32}}.</ref>; poi del fratello di Giacomo, il cardinale [[Giovanni Colonna (cardinale XIV secolo)|Giovanni]], dal 1330<ref>{{Cita|Pacca|p. 16}}.</ref>. L'essere entrato a far parte della famiglia, tra le più influenti e potenti dell'aristocrazia romana, permise a Francesco di ottenere non soltanto quella sicurezza di cui aveva bisogno per iniziare i propri studi, ma anche di estendere le sue conoscenze in seno all'''élite'' culturale e politica europea.
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Difatti, in veste di rappresentante degli interessi dei [[Colonna (famiglia)|Colonna]], Petrarca compì, tra la primavera e l'estate del 1333, un lungo viaggio nell'[[Europa settentrionale|Europa del Nord]], spinto dall'irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che contrassegnò l'intera sua agitata [[biografia]]: fu a [[Parigi]], [[Gand]], [[Liegi]], [[Aquisgrana]], [[Colonia (Germania)|Colonia]], [[Lione]]<ref>{{Cita|Rico-Marcozzi}}; {{Cita|Ferroni|p. 4}}; {{Cita|Wilkins|p. 17}}.</ref>. Particolarmente importante fu la primavera/estate del 1330 allorché, nella città di [[Lombez]], Petrarca conobbe Angelo Tosetti e il musico e cantore [[Fiandre|fiammingo]] [[Ludwig Van Kempen]], il ''Socrates'' cui verrà dedicata la raccolta epistolare delle ''Familiares''<ref>{{Cita|Wilkins|pp. 16-17}}; {{Cita|Rico-Marcozzi}}: {{Citazione|Nel marzo 1330, Giacomo Colonna reclutò Petrarca per la sua corte vescovile di Lombez, in Guascogna: ne avrebbero fatto parte il cantore fiammingo Ludovico Santo di Beringen e l’uomo d’armi romano Lello di Pietro Stefano dei Tosetti, che Petrarca battezzò in seguito, rispettivamente, Socrate e Lelio.}}</ref>.
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Poco dopo essere entrato a far parte del seguito del vescovo Giovanni, Petrarca prese gli [[Ordine sacro|ordini sacri]], divenendo [[canonico]], col fine di ottenere i [[Beneficio ecclesiastico|benefici]] connessi all'ente ecclesiastico di cui era investito<ref group="N">Come però ricorda {{Cita|Wilkins|p. 16}}, la scelta di Petrarca di entrare a far parte della Chiesa non fu soltanto dettata dalla cinica necessità di ottenere i proventi necessari per vivere. Nonostante non avesse mai avuto la vocazione per la cura delle anime, Petrarca ebbe sempre una profonda fede religiosa.</ref>. Nonostante la sua condizione di religioso (è attestato che dal 1330 l'Aretino è nella condizione di [[chierico]]<ref>{{Cita|Ferroni|p. 4}}.</ref>), Petrarca ebbe comunque dei figli nati con donne ignote, figli tra cui spiccano per importanza, nella successiva vita del poeta, Giovanni (nato nel 1337), e Francesca (nata nel 1343)<ref>{{Cita|Pacca|p. 18}}.</ref>.
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[[File:Francesco Petrarca01 page.jpg|thumb|Ritratto di Laura, in un disegno conservato presso la [[Biblioteca Medicea Laurenziana]]<ref>{{Cita web|url = http://www.alinariarchives.it/it/inventario/BGA-F-024947-0000|titolo = ..: Alinari :..|accesso = 18 febbraio 2016}}</ref>.]]
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==== L'incontro con Laura ====
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Secondo quanto afferma nel ''Secretum'', Petrarca incontrò per la prima volta, nella [[Chiesa di Santa Chiara (Avignone)|chiesa di Santa Chiara]] ad Avignone, il 6 aprile del 1327 (che cadde di lunedì. Pasqua fu il 12 aprile, e il [[Venerdì santo]] il 10 aprile in quell'anno), Laura, la donna che sarà l'amore della sua vita e che sarà immortalata nel ''Canzoniere''. La figura di Laura ha suscitato, da parte dei critici letterari, le opinioni più diverse: identificata da alcuni con una [[Laura de Noves]] coniugata de Sade<ref group="N">A sviluppare la tesi dell'identificazione di Laura con tale Laura de Sade è la stessa testimonianza di Petrarca nella ''Familiare'' II, 9 a Giacomo Colonna, il quale cominciò a mostrarsi dubbioso sull'esistenza di questa donna (si veda {{Cita|Fracassetti, 1|pp. 369-385|titolo = Familiare II, 9}}). Più precisamente, a p. 379, Fracassetti fa riemergere la vita della presunta amata del Petrarca:{{Citazione|Da Odiberto e da Ermessenda di Noves nobile famiglia di Avignone nacque del 1307, o in su quel torno una fanciulla, cui fu dato il nome di Laura... Ai 16 gennaio del 1325 fa fatta per man di notaio la scritta nuziale fra Laura ed Ugo De Sade gentiluomo Avignonese. Due anni più tardi, a' 6 di aprile del 1327 nella chiesa di S. Chiara di questa città, a quell'ora del giorno che chiamavano ''Prima'', il Petrarca giovane allora di poco più che ventidue anni la vide...}}</ref> (morta nel 1348 a causa della peste, come la stessa Laura petrarchesca), altri invece tendono a vedere in tale figura un ''[[senhal]]'' dietro cui nascondere la figura dell'alloro poetico (pianta che, per gioco [[Etimologia|etimologico]], si associa al nome femminile), suprema ambizione del letterato Petrarca<ref>La distinzione tra le due scuole di pensiero emerge in {{Cita|Ferroni|pp. 20-21}}. {{Cita|Ariani|p. 31}} ricorda che il primo sostenitore del filone allegorico-letterario fu il giovane [[Giovanni Boccaccio]] nel suo ''De vita et moribus domini Francisci Petrarche''.</ref>.
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==== L'attività filologica ====
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===== La scoperta dei classici e la spiritualità patristica =====
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Come accennato prima, Petrarca manifestò già durante il soggiorno bolognese una spiccata sensibilità letteraria, professando una grandissima ammirazione per l'[[antichità classica]]. Oltre agli incontri con [[Giovanni del Virgilio]] e [[Cino da Pistoia]], importante per la nascita della sensibilità letteraria del poeta fu il padre stesso, fervente ammiratore di [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] e della [[letteratura latina]]. Difatti ser Petracco, come racconta Petrarca nella ''Senile'' XVI, 1, donò al figlio un manoscritto contenente le opere di [[Publio Virgilio Marone|Virgilio]] e la ''[[Rhetorica ad Herennium|Rethorica]]'' di Cicerone<ref group="N">La lettera (si veda {{Cita|Senili, 2|pp. 455-470}}) riporta, a p. 458, l'episodio di come fossero stati dati alle fiamme dei libri di Virgilio e Cicerone, cosa che suscitò il pianto nel giovane Petrarca. Al che il padre, vedendolo così affranto{{Citazione|d'una mano porgendo Virgilio, dall'altra i rettorici di Cicerone: "tieni, sorridendo mi disse: abbiti questo per ricrearti qualche rara volta la mente, e quest'altro a conforto e ad aiuto nello studio delle leggi."}}</ref> e, nel 1325, un codice delle ''[[Etymologiae]]'' di [[Isidoro di Siviglia]] e uno contenente le [[Lettere di Paolo|lettere di san Paolo]]<ref>{{Cita|Ariani|p. 28}}. {{Cita|Dotti, 1987|p. 21}} specifica che questo san Paolo fu acquistato per procura a Roma e che il volume proveniva da [[Napoli]].</ref>.
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In quello stesso anno, dimostrando la passione sempre crescente per la [[Patristica]], il giovane Francesco comprò un [[Codice (filologia)|codice]] del ''[[La città di Dio|De Civitate Dei]]'' di [[Agostino d'Ippona]] e, verso il 1333<ref>{{Cita|Ariani|p. 35}}.</ref>, conobbe e cominciò a frequentare l'agostiniano [[Dionigi di Borgo San Sepolcro]], dotto monaco [[Ordine di Sant'Agostino|agostiniano]] e professore di teologia alla [[Sorbona]]<ref>Per maggiori approfondimenti biografici, si veda la biografia di {{Cita|Moschella}}.</ref>. Dionigi regalò al giovane Petrarca un codice tascabile delle ''[[Confessioni|Confessiones]]'', lettura che aumentò ancor di più la passione del Nostro per la spiritualità patristica agostiniana<ref>{{Cita|Moschella}}: «Suggello ideale dell'amicizia tra i due fu il dono, da parte di D[ionigi], di una copia delle ''Confessiones'' di s. Agostino...»</ref>. Dopo la morte del padre e l'essere entrato a servizio dei Colonna, Petrarca si buttò a capofitto nella ricerca di nuovi classici, cominciando a visionare i codici della [[Biblioteca apostolica vaticana|Biblioteca Apostolica]] (ove scoprì la ''[[Naturalis historia|Naturalis Historia]]'' di [[Plinio il Vecchio]]<ref>{{Cita|Billanovich|p. 166}}.</ref>) e, nel corso del viaggio nel Nord Europa compiuto nel 1333, Petrarca scoprì e ricopiò il codice del ''[[Pro Archia poeta]]'' di Cicerone e dell'[[Apocrifo|apocrifa]] ''Ad equites romanos'', conservati nella [[Biblioteca capitolare|Biblioteca Capitolare]] di Liegi<ref>{{Cita|Billanovich|pp. 207-208, nota 2}}.</ref>.
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===== L'alba della filologia umanistica =====
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Oltre alla dimensione di ''explorator'', Petrarca cominciò a sviluppare, tra gli anni [[Anni 1320|'20]] e [[Anni 1340|'30]], le basi per la nascita del metodo [[Filologia|filologico moderno]], basato sul metodo della ''[[Collazione (filologia)|collatio]]'', sull'analisi delle [[Variante (filologia)|varianti]] (e quindi sulla tradizione manoscritta dei classici, depurandoli dagli errori dei monaci amanuensi con la loro ''[[Metodo di Lachmann|emendatio]]'' oppure completando i passi mancanti per congettura). Sulla base di queste premesse metodologiche, Petrarca lavorò alla ricostruzione, da un lato, dell'''[[Ab Urbe condita libri|Ab Urbe condita]]'' dello storico latino [[Tito Livio]]; dall'altro, della composizione del grande codice contenente le opere di Virgilio e che, per la sua attuale locazione, è chiamato ''Virgilio ambrosiano''<ref group="N">Il codice, dopo la morte di Petrarca (1374), passò nelle mani di [[Francesco II da Carrara|Francesco Novello da Carrara]], nuovo signore di [[Padova]]. Quando questa città verrà conquistata, agli inizi del '400, da [[Gian Galeazzo Visconti]], anche il patrimonio bibliotecario petrarchesco passò nelle mani dei duchi milanesi, che lo conservarono nella loro biblioteca di Pavia. Fu poi sistemato nella [[Pinacoteca Ambrosiana]], grazie all'intervento del suo fondatore, il [[Federico Borromeo|cardinale Federigo Borromeo]] [[Arcidiocesi di Milano|arcivescovo di Milano]] (1595-1631). Si veda: {{Cita|Cappelli|pp. 42-43}}.</ref>.
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==== Da Roma a Valchiusa: l'''Africa'' e il ''De viris illustribus'' ====
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[[File:La farandole de Pétrarque.jpg|thumb|Marie Alexandre Valentin Sellier, ''La farandole de Pétrarque'' (''La farandola di Petrarca''), [[Pittura a olio|olio su tela]], 1900. Sullo sfondo si può notare il Castello di Noves, nella località di Valchiusa, il luogo ameno in cui Petrarca trascorse gran parte della sua vita fino al 1351, anno in cui lasciò la Provenza per l'Italia.]]
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Mentre portava avanti questi progetti filologici, Petrarca cominciò a intrattenere con [[papa Benedetto XII]] (1334-1342) un rapporto epistolare (''Epistolae metricae'' I, 2 e 5) con cui esortava il nuovo pontefice a ritornare a [[Roma]]<ref>{{Cita|Wilkins|pp. 18-19}} e {{Cita|Pacca|p. 142}}.</ref> e continuò il suo servizio presso il cardinale Giovanni Colonna, su concessione del quale poté intraprendere un viaggio a Roma, dietro richiesta di Giacomo Colonna che desiderava averlo con sé<ref>{{Cita|Wilkins|p. 20}}.</ref>. Giuntovi sul finire di gennaio del 1337<ref>{{Cita|Wilkins|p. 21}}.</ref>, nella Città Eterna Petrarca poté toccare con mano i monumenti e le antiche glorie dell'antica capitale dell'[[Impero romano|Impero Romano]], rimanendone estasiato<ref>{{Cita|Rico-Marcozzi}}:{{Citazione|Nel frattempo aveva raggiunto Roma (nel gennaio o febbraio 1337), accolto da fra Giovanni Colonna al termine di un avventuroso viaggio, e dove nella sua prima lettera (II 14, 15 marzo), contemplando dal Campidoglio le rovine dell’Urbe, manifestò la meraviglia per la loro grandezza e maestosità, dando forma a quella riscoperta dell’antichità classica e al rimpianto per la sua decadenza che divennero i cardini etici, estetici e politici dell’Umanesimo. }}</ref>. Rientrato nell'estate del 1337 in Provenza, Petrarca comprò una casa a [[Fontaine-de-Vaucluse|Valchiusa]], appartata località sita nella [[Sorgue|valle della Sorgue]]<ref>{{Cita|Pacca|p. 33}}.</ref>, nel tentativo di sfuggire all'attività frenetica avignonese, ambiente che lentamente cominciò a detestare in quanto simbolo della corruzione morale in cui era caduto il Papato<ref group="N">Da questo momento in avanti, Petrarca non esitò a chiamare Avignone la novella Babilonia di [[Apocalisse|apocalittica]] memoria, come testimoniato dai celebri ''sonetti avignonesi'' facenti parte del ''Canzoniere''. Oltre a motivazioni di carattere morale, ci fu anche la profonda delusione che suscitò la decisione di Benedetto XII di non recarsi a prendere possesso ufficialmente della sua sede vescovile e ristabilire così pace in Italia ({{Cita|Ariani|pp. 33-34}}).</ref>. Valchiusa (che durante le assenze del giovane poeta era affidata al fattore Raymond Monet di Chermont<ref>{{Cita|Dotti, 1987|p. 50}}.</ref>) fu anche il luogo ove Petrarca poté concentrarsi nella sua attività letteraria e accogliere quel piccolo cenacolo di amici eletti (a cui si aggiunse il [[Diocesi di Cavaillon|vescovo di Cavaillon]], [[Filippo di Cabassoles|Philippe de Cabassolle]]<ref>{{Cita|Dotti, 1987|p. 51}}.</ref>) con cui trascorrere giornate all'insegna del dialogo colto e della spiritualità
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{{Citazione|Più o meno in quello stesso periodo, illustrando a Giacomo Colonna la vita condotta a Valchiusa nel primo anno della sua dimora lì, Petrarca delinea uno di quegli autoritratti manierati che diventeranno un luogo comune della sua corrispondenza: passeggiate campestri, amicizie scelte, letture intense, nessuna ambizione se non quella del quieto vivere (''Epyst''. I 6, 156-237).|{{Cita|Pacca|pp. 34-35}}}}
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Fu in questo periodo appartato che l'Aretino, forte della sua esperienza filologico-letteraria, incominciò a stendere le due opere che sarebbero dovute diventare il simbolo della rinascenza classica: l'''Africa'' e il ''De viris illustribus''. La prima, opera in versi intesa a ricalcare le orme virgiliane, narra dell'impresa militare romana della [[seconda guerra punica]], incentrata sulle figure di [[Publio Cornelio Scipione|Scipione l'Africano]], modello etico insuperabile della virtù civile della [[Repubblica romana]]. La seconda, invece, è un medaglione di 36 vite di uomini illustri improntata sul modello [[Tito Livio|liviano]] e quello [[Floro|floriano]]<ref>{{Cita web|url = http://www.treccani.it/scuola/tesine/petrarca_il_contesto_culturale/6.html|titolo = Petrarca e gli uomini illustri|accesso = 22 febbraio 2016|editore = Treccani|autore = Mauro Sarnelli|urlmorto = sì|urlarchivio = https://web.archive.org/web/20160312094319/http://www.treccani.it/scuola/tesine/petrarca_il_contesto_culturale/6.html|dataarchivio = 12 marzo 2016}}</ref>. La scelta di comporre un'opera in versi e un'opera in prosa, ricalcanti i modelli sommi dell'antichità nei due rispettivi [[genere letterario|generi letterari]] e intesi a recuperare, oltre alla veste stilistica, anche quella spirituale degli antichi, diffusero presto il nome di Petrarca al di là dei confini provenzali, giungendo in Italia.
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=== Tra l'Italia e la Provenza (1341-1353) ===
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[[File:Francesco Petrarch by Justo de Gante.jpg|thumb|[[Giusto di Gand]], ''Francesco Petrarca'', [[pittura]], [[XV secolo]], [[Galleria nazionale delle Marche|Galleria Nazionale delle Marche]], [[Urbino]]. L'alloro con cui Petrarca fu incoronato rivitalizzò il mito del ''[[Poeta Laureato|poeta laureato]]'', figura che diventerà un'istituzione pubblica in Paesi quali il [[Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda|Regno Unito]]<ref>{{Cita web|url = http://www.royal.gov.uk/TheRoyalHousehold/OfficialRoyalposts/PoetLaureate.aspx|titolo = Poet Laureate|accesso = 22 febbraio 2016|editore = The Royal Household|lingua = En}}</ref>.]]
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==== L'incoronazione poetica ====
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Il nome di Petrarca quale uomo eccezionalmente colto e grande letterato fu diffuso grazie all'influenza della famiglia Colonna e dell'agostiniano Dionigi<ref>{{Cita|Ariani|pp. 39-40}}:{{Citazione|Certo il privilegio toccava, del tutto straordinariamente, a un poeta che ancora non aveva pubblicato molto per meritarselo: ma la protezione dei potenti Colonna e la rete di estimatori che aveva saputo intessere per tempo sono evidentemente bastate a valorizzare al massimo le epistole metriche, la fama dell'''Africa''...e del ''De viris'', le rime volgari già note...}}Dello stesso avviso anche {{Cita|Pacca|p. 74}} e {{Cita|Santagata|p. 19}}.</ref>. Se i primi avevano influenza presso gli ambienti ecclesiastici e gli enti a essi collegati (quali le Università europee, tra le quali spiccava la [[Sorbona]]), padre Dionigi fece conoscere il nome dell'Aretino presso la corte del [[Sovrani di Napoli|re di Napoli]] [[Roberto d'Angiò]], presso il quale fu chiamato in virtù della sua erudizione<ref>{{Cita|Moschella}}:{{Citazione|Tra il 1337 e il 1338 D[ionigi] fece ritorno in Italia; dopo un breve soggiorno a Firenze, giunse a Napoli (cfr. Petrarca, ''Fam''. IV, 2), dove l'aveva voluto il re Roberto d'Angiò, che per l'agostiniano nutriva una profonda stima, oltre a condividerne gli interessi per l'astrologia giudiziaria e per i classici latini.}}</ref>.
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Petrarca, approfittando della rete di conoscenze e di protettori di cui disponeva, pensò di ottenere un riconoscimento ufficiale per la sua attività letteraria innovatrice a favore dell'antichità, patrocinando così la sua [[incoronazione poetica]]<ref>{{Cita|Wilkins|p. 34}}:{{Citazione|La conoscenza dell'antica tradizione e delle due o tre incoronazioni celebrate da singole città in tempi moderni, insieme all'aspirazione a diventare famoso, accese inevitabilmente in Petrarca il desiderio di ricevere a sua voglia quell'onore. Egli confidò dapprima il suo pensiero a Dionigi da Borgo San Sepolcro e a Giacomo Colonna, e ne venne a conoscenza anche qualche persona che aveva legami con l'Università di Parigi.}}</ref>. Difatti, nella ''Familiare'' II, 4, Petrarca confidò al padre agostiniano la sua speranza di ricevere l'aiuto del sovrano angioino per realizzare questo suo sogno, intessendone le lodi<ref>La lettera, riportata in {{Cita|Fracassetti,1|pp. 403-407}}, a p. 404 inizia la decantazione delle lodi nei confronti del re napoletano: «E chi dico io, e lo dico con pieno convincimento, in Italia, anzi in Europa più grande di re Roberto?»</ref>.
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Nel contempo, il 1º settembre del 1340, la Sorbona fece sapere al Nostro l'offerta di una incoronazione poetica a [[Parigi]]; proposta che, nel pomeriggio dello stesso giorno, giunse analoga dal Senato di Roma<ref>{{Cita|Wilkins|p. 35}}.</ref>. Su consiglio di Giovanni Colonna, Petrarca, che desiderava essere incoronato nell'antica capitale dell'Impero romano, accettò la seconda offerta<ref>{{Cita|Rico-Marcozzi}}:{{Citazione|Sulla base dei contraddittori racconti di Petrarca si dovrebbe dedurre che nello stesso giorno (il 1º settembre 1340) questi avesse ricevuto l’invito a cingere la corona sia dal Senato di Roma sia da Parigi e avesse chiesto consiglio al cardinal Colonna (IV 4), decidendo di scegliere Roma (IV 5, 6), per ricevere la laurea "sulle ceneri degli alti poeti che ivi dimorano".}}Difatti Petrarca riteneva che l'ultima incoronazione a Roma fosse stata quella del poeta Stazio (I secolo d.C) e che quindi, se vi fosse stato incoronato, sarebbe stato direttamente un successore degli antichi poeti classici da lui tanto amati ({{Cita|Pacca|p. 73}}).</ref>, accogliendo poi l'invito di re Roberto di essere esaminato da lui stesso a Napoli prima di arrivare a Roma per ottenere la sospirata incoronazione.
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Le fasi di preparazione per il fatidico incontro con il sovrano angioino durarono tra l'ottobre 1340 e i primi giorni del 1341 se il 16 febbraio Petrarca, accompagnato dal [[Parma|signore di Parma]] [[Azzo da Correggio]], si mise in viaggio per Napoli col fine di ottenere l'approvazione del colto sovrano angioino. Giunto nella città partenopea a fine febbraio, fu esaminato per tre giorni da re Roberto che, dopo averne constatato la cultura e la preparazione poetica, acconsentì all'incoronazione a poeta in [[Campidoglio]] per mano del senatore [[Orso dell'Anguillara]]<ref>''Cfr.'', ad esempio, {{Cita|Rico-Marcozzi}}; {{Cita|Wilkins|pp. 37-38}}; {{Cita|Ariani|p. 40}}</ref>. Se conosciamo da un lato sia il contenuto del discorso di Petrarca (la ''Collatio laureationis''), sia la certificazione dell'attestato di laurea da parte del senatore romano (il ''Privilegium lauree domini Francisci Petrarche'', che gli conferiva anche l'autorità per insegnare e la cittadinanza romana)<ref>{{Cita|Pacca|p. 74}}.</ref>, la data dell'incoronazione è incerta: tra quanto affermato da Petrarca e quanto poi testimoniato da Boccaccio, la cerimonia d'incoronazione avvenne in un arco temporale tra l'8 e il 17 di aprile<ref>{{Cita|Rico-Marcozzi}}:{{Citazione|L’8 e il 13 aprile sono le date fornite da Petrarca ([''Familiares''] IV 6, 8), e la più probabile sembra essere la seconda; tuttavia Boccaccio situa l’evento il 17 e il documento ufficiale, il Privilegium laureationis, almeno in parte redatto dallo stesso Petrarca, reca la data del 9.}}</ref>. In seguito all'incoronazione incominciò a comporre l'''Africa e il De viris illustribus.''<ref>{{Cita web|url=http://lacultur.altervista.org/biografia-di-francesco-petrarca/|titolo=Lacultur, biografia di Francesco Petrarca}}</ref>
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==== Gli anni 1341-1348 ====
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[[File:Faruffini Cola di Rienzo.jpg|thumb|[[Federico Faruffini]], ''Cola di Rienzo contempla le rovine di Roma'', [[Pittura a olio|olio su tela]], 1855, collezione privata, [[Pavia]]. Petrarca condivise con Cola il programma politico di restaurazione, per poi rimproverarlo quando accettò le imposizioni politiche della Curia avignonese, intimorita dalla sua politica demagogica<ref>{{Cita|Wilkins|pp. 90-91}}.</ref>. ]]
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Gli anni successivi all'incoronazione poetica, quelli compresi tra il 1341 e il 1348, furono contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi traumatici della vita privata, sia all'inesorabile disgusto verso la corruzione avignonese<ref>{{Cita|Dotti, 1987|p. 31}}: «In Avignone egli vedeva simbolicamente la corruzione della Chiesa di Cristo e l'intollerabile esilio di Pietro.»</ref>. Subito dopo l'incoronazione poetica, mentre Petrarca sostava a Parma, seppe della prematura scomparsa dell'amico Giacomo Colonna (avvenuta nel settembre del 1341<ref>{{Cita|Paravicini Bagliani}}.</ref>), notizia che lo turbò profondamente<ref group="N">Petrarca scrisse, riguardo alla morte del vecchio amico e protettore, due lettere commoventi: la prima, al fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni ({{Cita|Fracassetti, 1|pp. 537-549|titolo = Fam. IV, 12}}); la seconda, all'amico Angelo Tosetti (soprannominato ''Lelius''), riportata in {{Cita|Fracassetti, 1|pp. 550-555|titolo = Fam. IV, 13}}. Nell'appendice della prima lettera (p. 548), Fracassetti ricorda come Petrarca, nella ''Fam.'' V, 7, avesse avuto, in sogno, il presagio della morte del Vescovo di Lombez venticinque giorni prima della sua effettiva scomparsa.</ref>. Gli anni successivi non recarono conforto al poeta laureato: da un lato le morti prima di Dionigi (31 marzo 1342<ref>{{Cita|Moschella}}.</ref>) e, poi, di re Roberto (19 gennaio 1343<ref>{{Cita|Petrucci}}.</ref>) ne accentuarono lo stato di sconforto; dall'altro, la scelta da parte del fratello Gherardo di abbandonare la vita mondana per diventare [[Monachesimo|monaco]] nella [[Montrieux-en-Sologne|Certosa di Montreaux]], spinsero Petrarca a riflettere sulla caducità del mondo<ref>{{Cita|Wilkins|pp. 48-49}}.</ref>.
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Nell'autunno del 1342<ref>Così {{Cita|Ariani|p. 41}}; {{Cita|Wilkins|p. 48}} sostiene invece che Cola sia giunto ad Avignone agli inizi del 1343.</ref>, mentre Petrarca soggiornava ad Avignone, conobbe il futuro tribuno [[Cola di Rienzo]] (giunto in Provenza quale ambasciatore del regime democratico instauratosi a Roma), col quale condivideva la necessità di ridare a Roma l'antico ''status'' di grandezza politica che, come capitale dell'antica Roma e sede del papato, le spettava di diritto<ref>{{Cita|Wilkins|p. 48}}:{{Citazione|Cola si intrattenne parecchi mesi e in quel periodo strinse amicizia con Petrarca. Cola era ancor giovane e poco noto; ma i due uomini avevano in comune un grande entusiasmo per la Roma antica e cristiana, una grande preoccupazione per lo stato presente della città e una grande speranza per la restaurazione dell'antica potenza e dell'antico splendore.}}</ref>. Nel 1346 Petrarca fu nominato canonico del [[Capitolo della Cattedrale di Parma|Capitolo della cattedrale di Parma]], mentre nel 1348 fu nominato arcidiacono.<ref>{{Cita web|url=http://www.internetculturale.it/opencms/directories/ViaggiNelTesto/petrarca/popup/30.html|titolo=Il Mondo di Petrarca|accesso=14 dicembre 2016|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20161111191814/http://www.internetculturale.it/opencms/directories/ViaggiNelTesto/petrarca/popup/30.html|dataarchivio=11 novembre 2016|urlmorto=sì}}</ref> La caduta politica di Cola nel 1347, favorita specialmente dalla [[Colonna (famiglia)|famiglia Colonna]], sarà la spinta decisiva da parte di Petrarca per abbandonare i suoi antichi protettori: fu infatti in quell'anno che lasciò, ufficialmente, l'''entourage'' del cardinale Giovanni<ref>{{Cita|Ariani|pp. 45-46}}, il quale ricorda, a testimonianza della rottura coi Colonna, ''Bucolicum carmen'', VIII, intitolato ''Divortium'' (cfr. {{Cita|Bucolicum carmen|pp. 223-225}}). {{Cita|Santagata|p. 16}} ricorda inoltre come i legami tra Petrarca e il cardinale Giovanni non fossero mai stati buoni come con il fratello di lui Giacomo: «a differenza di Giacomo...il cardinale restò sempre il ''dominus''.»</ref>.
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A fianco di queste esperienze private, il cammino dell'intellettuale Petrarca fu invece caratterizzato da una scoperta importantissima. Nel 1345, dopo essersi rifugiato a Verona in seguito all'assedio di Parma e la caduta in disgrazia dell'amico [[Azzo da Correggio]] (dicembre 1344)<ref name=":3">{{Cita|Rico-Marcozzi}}.</ref>, Petrarca scoprì nella [[Biblioteca capitolare di Verona|biblioteca capitolare]] le [[Marco Tullio Cicerone#Epistolario|epistole ciceroniane]] ''ad Brutum'', ''ad Atticum'' e ''ad Quintum fratrem'', finora sconosciute<ref group="N">{{Cita|Cappelli|p. 55}}. Significativa la ricostruzione storico-letteraria compiuta da {{Cita|Amaturo|pp. 58-59}}, ove si rievocano le figure di intellettuali che si legarono, tra XIII e XIV secolo, alla biblioteca capitolare veronese ([[Giovanni De Matociis]], [[Dante Alighieri|Dante]] e [[Pietro Alighieri]], [[Benzo di Alessandria|Benzo d'Alessandria]], [[Vincenzo di Beauvais|Vincenzo Bellovacense]]) e le rarità che essa conteneva (codici contenenti le [[Plinio il Giovane|lettere di Plinio il Giovane]]; parte dell'''Ab Urbe condita'' liviana che Petrarca utilizzò per la ricostruzione filologica del ''codice Harleiano''; le orazioni ciceroniane citate; il ''[[Liber (Catullo)|Liber]]'' [[Liber (Catullo)|catulliano]]).</ref>. L'importanza della scoperta consistette nel modello [[Epistola|epistolografico]] che esse trasmettevano: i ''colloquia'' a distanza con gli amici, l'uso del ''tu'' al posto del ''voi'' proprio dell'epistolografia medievale ed, infine, lo stile fluido e [[Ipotassi|ipotattico]] indussero l'Aretino a comporre anch'egli delle raccolte di lettere sul modello ciceroniano e [[Lucio Anneo Seneca|senecano]], determinando la nascita delle ''Familiares'' prima, e delle ''Seniles'' poi<ref name="PacCap">{{Cita|Pacca|p. 135}} e {{Cita|Cappelli|p. 50}}.</ref>. A questo periodo di tempo risalgono anche i ''Rerum memorandarum libri'' (lasciati incompiuti) e l'avvio del ''De otio religioso'' e del ''De vita solitaria'' tra il 1346 e il 1347 e rimaneggiati, poi, negli anni successivi<ref name=":3" />. Infine, sempre a Verona, Petrarca ebbe modo di conoscere [[Pietro Alighieri]], figlio di Dante, con cui mantenne rapporti cordiali<ref>{{Cita|Dotti, 1987|pp. 134-135}}.</ref>.
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==== La peste nera (1348-1349) ====
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Dopo essersi slegato dai Colonna, Petrarca cominciò a cercare nuovi patroni presso cui ottenere protezione. Pertanto, lasciata Avignone insieme al figlio Giovanni, giunse il 25 gennaio del 1348 a [[Verona]], località dove si era rifugiato l'amico Azzo da Correggio dopo essere stato scacciato dai suoi domini<ref>{{Cita|Wilkins|p. 93}}.</ref>, per poi giungere a Parma nel mese di marzo, dove strinse legami con il nuovo signore della città, il [[Governanti di Milano|signore di Milano]] [[Luchino Visconti (signore di Milano)|Luchino Visconti]]<ref>{{Cita|Ariani|p. 46}}.</ref>. Fu, però, in questo periodo che iniziò a diffondersi per l'Europa la terribile [[peste nera]], morbo che causò la morte di molti amici del Petrarca<ref>Petrarca, nella lettera proemiale alle ''Familiares'' dedicata a Ludovico di Beringen (alias Socrate), iniziò rievocando il terribile anno 1348: «La vita, come suol dirsi, ci sfuggì dalle mani: le nostre speranze furon sepolte cogli amici nostri. Il 1348 fu l'anno che ci rese miseri e soli.» (''cfr.'' {{Cita|Fracassetti, 1|p. 239}})</ref>: gli amici fiorentini [[Sennuccio del Bene]], Bruno Casini<ref>{{Cita|Troncarelli}}.</ref> e [[Franceschino degli Albizzi]]; il cardinale Giovanni Colonna e il padre di lui, Stefano il Vecchio<ref>{{Cita|Waley}}.</ref>; e quella dell'amata Laura, di cui seppe la notizia della scomparsa (avvenuta l'8 di aprile) soltanto il 19 maggio<ref>{{Cita|Pacca|p. 118}}.</ref>.
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Nonostante il dilagare del contagio e la prostrazione psicologica in cui cadde a causa della morte di molti suoi amici, Petrarca continuò le sue peregrinazioni, al fine di trovare sempre un protettore. Lo trovò in [[Giacomo II da Carrara|Jacopo II da Carrara]], suo estimatore che riuscì a nominarlo [[canonico]] del [[duomo di Padova]] nel 1349. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il poeta il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne una rendita annua di 200 [[Ducato (moneta)#Ducato d'oro|ducati d'oro]], ma per alcuni anni Petrarca avrebbe utilizzato questa abitazione solo occasionalmente<ref>{{cita web|url=http://www.padovanet.it/dettaglio.jsp?id=10834#.UjCIDT_OBc8 | titolo=Francesco Petrarca a Padova}}</ref><ref>{{Cita|Rico-Marcozzi}}: «Giacomo II da Carrara, signore di Padova, che a inizio 1349 gli fece ottenere un ulteriore e ricco canonicato da 200 ducati d'oro l'anno e una casa nei pressi della cattedrale».</ref>. Difatti, preso costantemente dal desiderio di viaggiare, si recò, nel 1349, a [[Mantova]], a [[Ferrara]] e a [[Venezia]], dove conobbe il [[Doge (Venezia)|doge]] [[Andrea Dandolo]]<ref name=":4">{{Cita|Ariani|p. 49}}.</ref>.
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{{Doppia immagine|destra|Boccaccio by Morghen.jpg|200|Francesco Petrarca..jpg|213|Boccaccio (a sinistra) e Petrarca (a destra) in due [[xilografia|incisioni]] di [[Raffaello Morghen (incisore)|Raffaello Morghen]] (1758-1833) del 1822. Boccaccio sarà uno dei principali interlocutori di Petrarca tra il 1350 e il 1374 determinando, attraverso tale sodalizio, la nascita dell'[[umanesimo rinascimentale|umanesimo]].}}
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==== L'incontro con Giovanni Boccaccio e gli amici fiorentini (1350) ====
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{{Vedi anche|Giovanni Boccaccio#Boccaccio e Petrarca}}Poi, nel 1350, prese la decisione di recarsi a Roma per lucrare l'[[indulgenza]] dell'[[Giubileo universale della Chiesa cattolica|Anno giubilare]]. Durante il tragitto, accondiscendendo alle richieste dei suoi ammiratori fiorentini, decise di incontrarli lungo il tragitto verso Roma. L'incontro fu di importanza fondamentale non tanto per Petrarca, quanto per quello che diventerà il suo principale interlocutore durante gli ultimi vent'anni di vita, il novelliere Giovanni Boccaccio che, sotto la sua guida, incominciò una lenta e progressiva conversione verso la mentalità umanistica, collaborando spesso con il suo venerato ''praeceptor'' in progetti culturali di ampio respiro (quali la riscoperta del [[Lingua greca antica|greco antico]] e la scoperta di nuovi codici)<ref>Una prospettiva generale del rapporto tra Petrarca e Boccaccio è esposto in {{cita|Rico|pp. 224-228}}.</ref>.
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==== L'ultimo soggiorno in Provenza (1351-1353) ====
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Tra il 1350 e il 1351, Petrarca risiedette prevalentemente a Padova, presso [[Francesco I da Carrara]]<ref name=":4" />. Qui, oltre a portare avanti i progetti letterari delle ''Familiares'' e le opere spirituali iniziate prima del 1348, ricevette anche la visita di Giovanni Boccaccio (marzo 1351) in veste di ambasciatore del [[Repubblica di Firenze|Comune fiorentino]] perché accettasse un posto di docente presso il nuovo ''Studium'' fiorentino<ref>{{Cita|Branca|p. 87}}.</ref>. Poco dopo, Petrarca fu spinto a rientrare ad Avignone in seguito all'incontro con i Cardinali [[Hélie de Talleyrand-Périgord|Eli de Talleyrand]] e [[Guy de Boulogne]], latori della volontà di [[papa Clemente VI]] che intendeva affidargli l'incarico di segretario apostolico<ref>{{Cita|Rico-Marcozzi}}: «Solo in autunno si trasferì ad Avignone, per scoprire (almeno secondo quanto affermato in ''Familiares'', XIII 5) che gli si offriva la segreteria apostolica, già a suo tempo rifiutata, e un vescovado».</ref>. Nonostante l'allettante offerta del pontefice, l'antico disprezzo verso Avignone e gli scontri con gli ambienti della corte pontificia (i medici del pontefice<ref name=":3" /> e, dopo la morte di Clemente, l'antipatia del nuovo [[papa Innocenzo VI]]<ref>{{Cita|Ariani|p. 50}}.</ref>) indussero Petrarca a lasciare Avignone per Valchiusa, dove prese la decisione definitiva di stabilirsi in Italia.
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=== Il periodo italiano (1353-1374) ===
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==== A Milano: la figura dell'intellettuale umanista ====
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[[File:9573 - Milano - S. Ambrogio - Casa del Petrarca in via Lanzone - Foto Giovanni Dall'Orto 25-Apr-2007.jpg|thumb|Targa commemorativa del soggiorno meneghino di Petrarca situata agli inizi di Via Lanzone a Milano, davanti alla basilica di Sant'Ambrogio.]]
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Petrarca iniziò il viaggio verso la patria italiana nell'aprile del [[1353]]<ref name=":3" />, accogliendo l'ospitale offerta di [[Giovanni Visconti (arcivescovo)|Giovanni Visconti]], arcivescovo e signore della città, di risiedere a [[Milano]]. Malgrado le critiche degli amici fiorentini (tra le quali si ricorda quella risentita del Boccaccio<ref group="N">Boccaccio esprimerà la sua ''indignatio'' nell'[http://ww2.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000919/bibit000919.xml&chunk.id=d31e341&toc.depth=1&toc.id=&brand=newlook ''Epistola X''] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20150611201326/http://ww2.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000919%2Fbibit000919.xml&chunk.id=d31e341&toc.depth=1&toc.id=&brand=newlook |date=11 giugno 2015 }}, indirizzata a Francesco Petrarca, ove, grazie alla tecnica retorica dello sdoppiamento e a ''topoi'' letterari, Boccaccio si lamenta col ''magister'' di come Silvano (il nome letterario usato nella cerchia petrarchesca per indicare il poeta laureato) avesse osato recarsi presso il tiranno Giovanni Visconti (identificato in ''Egonis''):«Audivi, dilecte michi, quod in auribus meis mirabile est, solivagum Silvanum nostrum, transalpino Elicone relicto, Egonis antra subisse, et muneribus sumptis ex pastore castalio ligustinum devenisse subulcum, et secum pariter Danem peneiam et pierias carcerasse sorores».
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Inoltre, bisogna ricordare che la scelta di risiedere a Milano era anche uno schiaffo alla proposta delle autorità fiorentine di occupare un posto come docente nello ''Studium'', occupazione che gli avrebbe concesso di rientrare in possesso dei beni paterni sequestrati nel 1301.</ref>), che gli rimproveravano la scelta di essersi messo al servizio dell'acerrimo nemico di Firenze<ref group="N">L'arcivescovo Giovanni II Visconti, difatti, proseguì la politica espansionistica dei suoi predecessori a danno delle altre potenze dell'Italia centro-settentrionale, tra le quali spiccava Firenze. Le ostilità tra Milano e Firenze perdureranno fino a metà [[XV secolo|'400]], quando salì al potere come duca dello Stato lombardo [[Francesco Sforza]], che intraprese una politica di alleanza con Firenze grazie all'amicizia personale che lo legava a [[Cosimo de' Medici]].</ref>, Petrarca collaborò con missioni e ambascerie (a [[Parigi]] e a [[Venezia]]; l'incontro con l'imperatore [[Carlo IV di Lussemburgo|Carlo IV]] a Mantova e a [[Praga]]) all'intraprendente politica viscontea<ref name=":5">{{Cita|Ferroni|p. 6}}.</ref>.
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Sulla scelta di risiedere a Milano piuttosto che nella natia Firenze, bisogna ricordare l'animo cosmopolita proprio del Petrarca<ref>Domenico Ferraro, ''Petrarca a [[Milano]]. Le ragioni di una scelta'', Rinascimento : LV, 2015, p. 225, Firenze : L.S. Olschki, 2015.</ref>. Cresciuto ramingo e lontano dalla sua patria, Petrarca non risente più dell'attaccamento medievale verso la propria patria d'origine, ma valuta gli inviti fattigli in base alle convenienze economiche e politiche. Meglio, infatti, avere la protezione un signore potente e ricco come Giovanni Visconti prima e, dopo la morte di lui nel 1354, del successore [[Galeazzo II Visconti|Galeazzo II]]<ref>{{Cita web|url = http://www.treccani.it/enciclopedia/galeazzo-ii-visconti/|titolo = Viscónti, Galeazzo II|accesso = 24 febbraio 2016}}</ref>, che si rallegrerebbero di avere a corte un intellettuale celebre come Petrarca<ref>{{Cita|Pacca|p. 180}}; {{Cita|Amaturo|p. 87}}:{{Citazione|Ma è fuor di dubbio che tra il poeta e i suoi nuovi signori si istituiva come un patto di mutuo interesse: da un lato egli si avvantaggiava della posizione di prestigio che gli offriva l'amicizia dei Visconti; d'altro lato acconsentiva tacitamente a essere adoperato in missioni diplomatiche, non numerose invero, né discordanti con i suoi ideali civili.}}</ref>. Nonostante tale scelta discutibile agli occhi degli amici fiorentini, i rapporti tra il ''praeceptor'' e i suoi ''discipuli'' si ricucirono: la ripresa del rapporto epistolare tra Petrarca e Boccaccio prima, e la visita di quest'ultimo a Milano nella casa di Petrarca situata nei pressi di [[Basilica di Sant'Ambrogio|Sant'Ambrogio]] poi (1359)<ref name="Cita|Ariani|p. 52">{{Cita|Ariani|p. 52}}.</ref>, sono le prove della concordia ristabilita.
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Nonostante le incombenze diplomatiche, nel capoluogo lombardo Petrarca maturò e portò a compimento quel processo di maturazione intellettuale e spirituale iniziato pochi anni prima, passando dalla ricerca erudita e filologica alla produzione di una letteratura filosofica fondata da un lato sull'insoddisfazione per la cultura contemporanea, dall'altra sulla necessità di una produzione che potesse guidare l'umanità verso i principi etico-morali filtrati attraverso il neoplatonismo agostiniano e lo [[stoicismo]] cristianeggiante<ref>{{Cita|Cappelli|p. 36}}:{{Citazione|La riflessione petrarchesca si indirizza sempre più ''ad hominem'' e ''ad vitam'', all'uomo concreto nella sua circostanza concreta, si nutre di meditazione interiore, progetta un'opera capace di delineare una parabola esemplare in cui lo scrittore propone se stesso e la cultura di cui è portatore come modello capace di confrontarsi su tutti i terreni.}}</ref>. Con questa convinzione interiore, Petrarca portò avanti gli scritti iniziati nel periodo della peste: il ''Secretum''<ref>{{Cita|Rico-Marcozzi}}: «il ''Secretum''...composto nel 1342-43 (o, secondo studî recenti, in tre fasi successive tra il 1347 e il 1353)».</ref> e il ''De otio religioso''<ref name="Cita|Ariani|p. 52"/>; la composizione di opere volte a fissare presso i posteri l'immagine di un uomo virtuoso i cui principi sono praticati anche nella vita quotidiana (le raccolte delle ''Familiares'' e, dal 1361, l'avviamento delle ''Seniles'')<ref>{{Cita|Ferroni|p. 11}}.</ref> le raccolte poetiche latine (''Epystolae Metricae'') e quelle volgari (i ''Triumphi'' e i ''Rerum Vulgarium Fragmenta'', alias il ''Canzoniere'')<ref>{{Cita|Ariani|pp. 52-53}}.</ref>. Durante il soggiorno meneghino Petrarca iniziò soltanto una nuova opera, il dialogo intitolato ''De remediis utriusque fortune'' (sui rimedi della cattiva e della buona sorte), in cui si affrontano problematiche morali concernenti il denaro, la politica, le relazioni sociali e tutto ciò che è legato al quotidiano<ref name=":9">{{Cita|Cappelli|p. 38}}.</ref>.
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==== Il soggiorno veneziano (1362-1367) ====
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[[File:Petrarca12.jpg|miniatura|Epigrafe dettata dal Petraca per la tomba del nipote, [[Pavia]], [[Castello Visconteo (Pavia)|Musei Civici.]]]]
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Nel giugno del 1361, per sfuggire alla peste, Petrarca abbandonò Milano<ref group="N">Durante l'epidemia di peste milanese, morì il figlio Giovanni ({{Cita|Pacca|p. 219}}), nato nel 1337 da una relazione extraconiugale. I rapporti con il figlio, al contrario di quanto avvenne con la secondogenita Francesca, furono assai burrascosi a causa della condotta ribelle di Giovanni ({{Cita|Dotti, 1987|p. 319}} accenna all'odio che Giovanni provava verso i libri, «quasi fossero serpenti»). Come ricordato nella ''Fam.'' XXII, 7 del 1359: {{Citazione|Nel 1357 si separò dal figlio Giovanni, che tornò ad Avignone in seguito a non precisati dissapori (''Familiares'', XXII 7: 1359); tre anni dopo sarebbe tornato a Milano. |{{Cita|Rico-Marcozzi}}}}</ref> per [[Padova]], città da cui nel 1362 fuggì per lo stesso motivo. Nonostante la fuga da Milano, i rapporti con [[Galeazzo II Visconti]] rimasero sempre molto buoni, tanto che trascorse l'estate del 1369 nel [[Castello Visconteo (Pavia)|castello visconteo di Pavia]] in occasione di trattative diplomatiche<ref>{{Cita|Wilkins|p. 256}}.</ref>. A [[Pavia]] seppellì il piccolo nipote di due anni, figlio della figlia Francesca, nella [[Chiesa di San Zeno (Pavia)|chiesa di San Zeno]] e per lui compose un'epigrafe ancor oggi conservata nei [[Castello Visconteo (Pavia)|Musei Civici]]<ref>{{Cita|Vicini|p. 59}}.</ref>[[Castello Visconteo (Pavia)|.]] Nel [[1362]], quindi, Petrarca si recò a [[Venezia]], città dove si trovava il caro amico [[Donato Albanzani|Donato degli Albanzani]]<ref>Retore originario di Pratovecchio, Donato degli Albanzani fu intimo amico sia di Petrarca che di Boccaccio. Per quanto riguarda i rapporti con il primo si ricordano, oltre le missive indirizzategli dall'Aretino, anche alcune egloghe del ''Bucolicum Carmen'', in cui è chiamato con il ''senhal'' di ''Appenninigena''. Si veda la voce biografica a cura di {{Cita|Martellotti}}.</ref> e dove la [[Repubblica di Venezia|Repubblica]] gli concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri (sulla [[Riva degli Schiavoni]])<ref name="Dotti2001">{{Cita libro|autore=[[Ugo Dotti]]|titolo=Petrarca civile: alle origini dell'intellettuale moderno|url=https://books.google.com/books?id=8UVgVyb2SsgC&pg=PA61|anno=2001|editore=Donzelli Editore|isbn=978-88-7989-633-7|p=61}}</ref> in cambio della promessa di donazione, alla morte, della sua [[Biblioteca di Petrarca|biblioteca]], che era allora certamente la più grande biblioteca privata d'Europa: si tratta della prima testimonianza di un progetto di "bibliotheca publica"<ref>{{Cita|Wilkins|pp. 220-223}} espone dettagliatamente le trattative tra Petrarca e la Serenissima, citando anche il verbale del [[Maggior Consiglio]] con cui si procedette all'approvazione della proposta petrarchesca. Per ulteriori informazioni, si veda {{Cita|Gargan|pp. 165-168}}.</ref>.
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La casa veneziana fu molto amata dal poeta, che ne parla indirettamente nella ''Sen.'' IV, 4 quando descrive, al destinatario Pietro da Bologna, le sue abitudini quotidiane (la lettera è datata intorno al 1364/65)<ref>{{Cita|Fracassetti Seniles, 1|pp. 237-239}}.</ref>. Vi risiedette stabilmente fino al 1368 (tranne alcuni periodi a Pavia e Padova) e vi ospitò [[Giovanni Boccaccio]] e [[Leonzio Pilato]].
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Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia degli amici più intimi<ref>Si ricordi la visita dell'amico Boccaccio nell'estate del 1367, quando però Petrarca si era recato momentaneamente a Pavia su richiesta di Galeazzo II. Nonostante l'assenza dell'amico, Boccaccio trovò una calorosa accoglienza da parte di Francescuolo e di Francesca, trascorrendo giorni piacevoli nella città lagunare (Cfr. {{Cita|Wilkins|pp. 250-252}}).</ref>, della figlia naturale Francesca (sposatasi nel 1361 con il milanese [[Francescuolo da Brossano]]<ref>{{Cita|Rico-Marcozzi}}: «...all'inizio del 1366 fece ritorno a Venezia dove fu raggiunto dalla figlia Francesca maritata nel 1361 al milanese Francescuolo da Brossano.»</ref>), Petrarca decise di affidare al copista [[Giovanni Malpaghini]] la trascrizione in bella copia delle ''Familiares'' e del ''Canzoniere''<ref group="N">Il [[ravenna]]te Giovanni Malpaghini fu presentato, nel 1364, da Donato degli Albanzani a Petrarca che, rimasto colpito dalle sue qualità letterarie e dalla sua pronta intelligenza, lo prese al suo servizio quale [[Amanuense|copista]]. La collaborazione tra i due uomini, durata appunto dal 1364 al 1367, si interruppe il 21 aprile di quell'anno, quando il Malpaghini decise di lasciare l'incarico presso l'Aretino. Per maggiori informazioni biografiche, si veda la biografia di {{Cita|Signorini}}.</ref>''.'' La tranquillità di quegli anni fu turbata, nel [[1367]], dall'attacco maldestro e violento mosso alla cultura, all'opera e alla figura sua da quattro [[Averroè|filosofi averroisti]] che lo accusarono di ignoranza<ref name=":3" />. L'episodio fu l'occasione per la stesura del trattato ''De sui ipsius et multorum ignorantia'', in cui Petrarca difende la propria "ignoranza" in campo [[Aristotelismo|aristotelico]] a favore della filosofia neoplatonica-cristiana, più incentrata sui problemi della natura umana rispetto alla prima, intesa a indagare la natura sulla base dei dogmi del filosofo di [[Stagira-Akanthos|Stagira]]<ref>{{Cita|Pacca|pp. 232-233}}:{{Citazione|Ma...bisogna dire che il vero valore del ''De ignorantia'' consiste nella vigorosa affermazione della filosofia morale sulla scienza naturale [...] Ed è questo il motivo della sua inferiorità rispetto a scrittori come Platone, Cicerone e Seneca; perché per Petrarca la cultura "è subordinata alla vita morale dell'uomo...''}}</ref>. Amareggiato per l'indifferenza dei veneziani davanti alle accuse rivoltegli, Petrarca decise di abbandonare la città lagunare e annullare così la donazione della sua biblioteca alla Serenissima.
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==== L'epilogo padovano e la morte (1367-1374) ====
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[[File:Arqua Petrarca 25 (8189350422).jpg|thumb|La [[Casa del Petrarca|casa di Petrarca ad Arquà Petrarca]], località sita sui [[colli Euganei]] nei pressi di Padova, dove l'ormai anziano poeta trascorse gli ultimi anni di vita. Della dimora Petrarca parla nella ''Sen'' XV, 5.]]
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Petrarca, dopo alcuni brevi viaggi, accolse l'invito dell'amico ed estimatore [[Francesco I da Carrara]] di stabilirsi a Padova nella primavera del 1368<ref name=":3" />. È ancora visibile, in Via Dietro Duomo 26/28 a Padova, la [[casa canonicale di Francesco Petrarca]], che fu assegnata al poeta in seguito al conferimento del canonicato. Il signore di Padova donò poi, nel 1369, una [[Casa di Petrarca|casa situata nella località di Arquà]], un tranquillo paese sui [[colli Euganei]], dove poter vivere<ref>{{Cita|Casa del Petrarca, Arquà}}.</ref>. Lo stato della casa, però, era abbastanza dissestato e ci vollero alcuni mesi prima che potesse avvenire il definitivo trasferimento nella nuova dimora, avvenuta nel marzo del 1370<ref>{{Cita|Wilkins|p. 264}}.</ref>. La vita dell'anziano Petrarca, che fu raggiunto dalla famiglia della figlia Francesca nel 1371<ref>{{Cita|Ariani|p. 58}}.</ref>, si alternò prevalentemente tra il soggiorno nella sua amata casa di Arquà<ref group="N">Petrarca, nella ''Seniles'' XV, 5, informa il fratello Gherardo, tra le altre cose, anche della sua nuova dimora sui colli Euganei, dandone un quadro piacevole e ameno:{{Citazione|E per non dilungarmi di troppo della mia chiesa, qui fra i colli Euganei, non più lontano che dieci miglia da Padova mi fabbricai una piccola ma graziosa casina, cinta da un oliveto e da una vigna che dan quanto basta a una non numerosa e modesta famiglia. E qui, sebbene infermo del corpo, io vivo dell'animo pienamente tranquillo lungi dai tumulti, dai rumori, dalle cure, leggendo sempre e scrivendo, e a Dio rendendo lodi e grazie così dei beni come dei mali che manda...|{{Cita|Fraccassetti Seniles, 2|p. 413}}}}</ref> e quella vicina al [[Duomo di Padova]]<ref>{{Cita|Wilkins|p. 265}}.</ref>, allietato spesso dalle visite dei suoi vecchi amici ed estimatori, oltre a quelli nuovi conosciuti nella città veneta, tra cui si ricorda [[Lombardo della Seta]], che dal 1367 aveva sostituito Giovanni Malpaghini quale copista e segretario del poeta laureato<ref>{{Cita|Billanovich 1947|p. 67}}:{{Citazione|[Petrarca] aveva designato con indicazioni esplicite anche per noi remoti quale loro custode un letterato padovano, Lombardo della Seta, mediocre per ingegno e per dottrina, ma cliente premuroso del maestro, di cui in una intima familiarità negli ultimi anni aveva lentamente conosciuto le abitudini e filialmente soddisfatto i desideri. Così...era promosso subito a buon segretario...}}</ref>. In quegli anni Petrarca si mosse dal padovano soltanto una volta quando, nell'ottobre del 1373, fu a Venezia quale paciere per il trattato di pace tra i veneziani e Francesco da Carrara<ref name=":6">{{Cita|Ariani|p. 60}}.</ref>: per il resto del tempo si dedicò alla revisione delle sue opere e, in special modo, del ''Canzoniere'', attività che portò avanti fino agli ultimi giorni di vita<ref name=":5" />.
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Colpito da una [[Sincope (medicina)|sincope]], morì ad Arquà nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 1374<ref name=":6" />, esattamente alla vigilia del suo settantesimo compleanno e, secondo la leggenda, mentre esaminava un testo di [[Publio Virgilio Marone|Virgilio]], come auspicato in una lettera al [[Giovanni Boccaccio|Boccaccio]]<ref>{{cita libro|cognome=Baldi|nome=Guido|coautori=Silvia Giusso, Mario Razetti, Giuseppe Zaccaria|anno=2001| mese=settembre|titolo=Dal testo alla storia, dalla storia al testo|editore=[[Paravia]]|isbn=88-395-3058-4|p=3}}</ref>. Il frate dell'[[Ordine di Sant'Agostino|Ordine degli Eremitani di sant'Agostino]] [[Bonaventura Badoer da Peraga|Bonaventura Badoer Peraga]] fu scelto per tenere l'orazione funebre in occasione dei funerali, che si svolsero il 24 luglio nella chiesa di Santa Maria Assunta alla presenza di Francesco da Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche<ref name=":7">{{Cita|Wilkins|p. 297}}.</ref>.
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== La tomba e le spoglie ==
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=== Il sepolcro ===
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[[File:Arqua petrarca tombe.jpg|thumb|Tomba del poeta ad Arquà, nei pressi della chiesa di Santa Maria Assunta.]]
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Per volontà testamentaria le spoglie di Petrarca furono sepolte nella chiesa [[parrocchia]]le del paese<ref name=":7" />, per poi essere collocate dal genero, nel 1380, in un'arca [[marmo]]rea accanto alla chiesa<ref>{{Cita|La tomba del Petrarca}}.</ref>. Le vicende dei resti del Petrarca, come quelli di Dante, non furono tranquille. Come racconta [[Giovanni Canestrini (biologo)|Giovanni Canestrini]] in un suo volume scritto in occasione del 500º anniversario della morte del Petrarca
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{{Citazione|Nel 1630, e precisamente dopo la mezzanotte del 27 maggio, questa tomba fu spezzata all'angolo di mezzodì [quindi a sud, n.d.a], e vennero rapite alcune ossa del braccio destro. Autore del furto fu un certo Tommaso Martinelli, frate da [[Portogruaro]], il quale, a quanto dice un'antica pergamena dell'archivio comunale di Arquà, venne spedito in quel luogo dai fiorentini, con ordine di riportare seco qualche parte dello scheletro del Petrarca. La [[Repubblica di Venezia|veneta repubblica]] fece riattare l'urna, suggellando con arpioni le fenditure del marmo, e ponendovi lo stemma di Padova e l'epoca del misfatto.|{{Cita|Canestrini|p. 2}}}} I resti trafugati non furono mai recuperati. Nel 1843 la tomba, che versava in stato pessimo, venne sottoposta a restauro del quale venne incaricato lo storico patavino [[Pier Carlo Leoni]], impietosito dallo stato pessimo in cui il sepolcro versava.<ref>{{Cita|Canestrini|p. 5}} e {{Cita|Dotti, 1987|p. 439}}.</ref> Il Leoni, però, a seguito di complicazioni burocratiche e di conflitti di competenza e questioni anche politiche, fu addirittura processato con l'accusa di "violata sepoltura".<ref>
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{{Treccani
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|pier-carlo-leoni_(Dizionario-Biografico)/
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|Leoni, Pier Carlo
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|autore = Millocca, Francesco
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}}
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=== Il dilemma dei resti ===
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Il 5 aprile [[2004]] vennero resi noti i risultati dell'analisi dei resti conservati nella tomba del poeta ad Arquà Petrarca: il [[Cranio|teschio]] presente, peraltro ridotto in frammenti, una volta ricostruito, è stato riconosciuto come femminile e quindi non pertinente. Un frammento di pochi grammi del cranio, inviato a [[Tucson]] in [[Arizona]] ed esaminato con il [[Metodo del carbonio-14|metodo del radiocarbonio]], ha inoltre consentito di accertare che il cranio femminile ritrovato nel sepolcro risale al 1207 circa. A chi sia appartenuto e perché si trovasse nella tomba del Petrarca è ancora un mistero, come un mistero è dove sia finito il vero cranio del poeta. Lo scheletro è stato invece riconosciuto come autentico: esso riporta alcune costole fratturate; Petrarca fu infatti ferito da una cavalla con un calcio al [[Gabbia toracica|costato]]<ref>Si veda [https://web.archive.org/web/20080408165747/http://www.upf.edu/cexs/recerca/bioevo/2007BioEvo/BE2007-Caramelli-FSI.pdf Analisi Genetica dei resti scheletrici attribuiti a Petrarca] {{en}}.</ref><ref>Si veda inoltre [http://books.guardian.co.uk/news/articles/0,6109,1186654,00.html Petrarca - il poeta che perse la testa] {{en}} in ''The Guardian'' del 6 aprile 2004, sulla riesumazione dei resti di Petrarca.
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</ref>.
      
== Pensiero e poetica ==
 
== Pensiero e poetica ==
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{{Vedi anche|Influenza culturale di Dante Alighieri#Petrarca e Boccaccio}}Dalle considerazioni fatte, emerge chiaramente la profonda differenza esistente tra Petrarca e Dante: se il primo è un uomo che supera il teocentrismo medievale incentrato sulla Scolastica in nome del recupero agostiniano e dei classici "depurati" dall'interpretazione allegorica cristiana indebitamente appostavi dai commentatori medievali, Dante mostra invece di essere un uomo totalmente medievale. Oltre alle considerazioni filosofiche, i due uomini sono antitetici anche per la scelta linguistica cui legare la propria fama, per la concezione dell'amore, per l'attaccamento alla patria. Illuminante sul sentimento che Petrarca nutrì per l'Alighieri è la ''Fam.'' XXI, 15, scritta in risposta all'amico Boccaccio, incredulo delle dicerie secondo cui Petrarca odiasse Dante. In tale lettera, Petrarca afferma che non può odiare qualcuno che egli conobbe appena e che affrontò con onore e sopportazione l'esilio, ma prende le distanze dall'ideologia dantesca, esprimendo il timore di essere "influenzato" da un così grande esempio poetico se avesse deciso di scrivere liriche in volgare, liriche che sono facilmente sottoposte allo storpiamento da parte del volgo<ref>{{Cita|Fracassetti, 4|pp. 390-411}}; {{Cita|Pulsoni|pp. 155-208}}</ref>.
 
{{Vedi anche|Influenza culturale di Dante Alighieri#Petrarca e Boccaccio}}Dalle considerazioni fatte, emerge chiaramente la profonda differenza esistente tra Petrarca e Dante: se il primo è un uomo che supera il teocentrismo medievale incentrato sulla Scolastica in nome del recupero agostiniano e dei classici "depurati" dall'interpretazione allegorica cristiana indebitamente appostavi dai commentatori medievali, Dante mostra invece di essere un uomo totalmente medievale. Oltre alle considerazioni filosofiche, i due uomini sono antitetici anche per la scelta linguistica cui legare la propria fama, per la concezione dell'amore, per l'attaccamento alla patria. Illuminante sul sentimento che Petrarca nutrì per l'Alighieri è la ''Fam.'' XXI, 15, scritta in risposta all'amico Boccaccio, incredulo delle dicerie secondo cui Petrarca odiasse Dante. In tale lettera, Petrarca afferma che non può odiare qualcuno che egli conobbe appena e che affrontò con onore e sopportazione l'esilio, ma prende le distanze dall'ideologia dantesca, esprimendo il timore di essere "influenzato" da un così grande esempio poetico se avesse deciso di scrivere liriche in volgare, liriche che sono facilmente sottoposte allo storpiamento da parte del volgo<ref>{{Cita|Fracassetti, 4|pp. 390-411}}; {{Cita|Pulsoni|pp. 155-208}}</ref>.
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== Opere ==
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=== Opere latine in versi ===
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==== ''L'Africa'' ====
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{{Vedi anche|Africa (Petrarca)}}
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[[File:Ritratto di francesco petrarca, altichiero, 1376 circa, padova.jpg|thumb|[[Altichiero]], ''Ritratto di Francesco Petrarca'' (in primo piano) ''e di Lombardo della Seta'', particolare tratto dall'affresco rappresentante l'episodio di ''San Giorgio battezza re Servio di Cirene'', [[Oratorio di San Giorgio (Padova)|Oratorio di San Giorgio]], 1376, Padova<ref>{{Cita web|cognome=g.pizzimenti@glauco.it|nome=Giuseppe Pizzimenti -|url=http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/scheda.jsp?decorator=layout_S2&apply=true&tipo_scheda=OA&id=6109&titolo=Altichiero%250A%2509%2509%2509%250A%2509%2509+++++%252c+San+Giorgio+battezza+Servio+re+di+Cirene|titolo=FONDAZIONE ZERI {{!}} CATALOGO : Opera : Altichiero , San Giorgio battezza Servio re di Cirene|accesso=29 febbraio 2016|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160305225057/http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/scheda.jsp?decorator=layout_S2&apply=true&tipo_scheda=OA&id=6109&titolo=Altichiero%250A%2509%2509%2509%250A%2509%2509+++++%252c+San+Giorgio+battezza+Servio+re+di+Cirene|dataarchivio=5 marzo 2016}}</ref>.]]
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Scritto fra il 1339 e il 1342 e in seguito corretto e ritoccato, ''Africa'' è un poema epico che tratta della [[seconda guerra punica]] e in particolare delle gesta di [[Publio Cornelio Scipione|Scipione]]. Rimasto incompiuto, è formato da nove libri, mentre avrebbe dovuto essere composto di 12 libri, secondo il modello dell''<nowiki/>'Eneide'' virgiliana<ref>Si veda, per maggiori informazioni, {{Cita|Pacca|pp. 45-54}}.</ref>.
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==== Il ''Bucolicum carmen'' ====
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{{Vedi anche|Bucolicum carmen}}
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Composto fra il 1346 e il 1358 e costituito da dodici [[Egloga|egloghe]], gli argomenti spaziano fra amore, politica e morale. Anche in questo caso, l'ascendenza virgiliana è evidente dal titolo, che richiama fortemente lo stile e gli argomenti delle ''[[Bucoliche]]''. Attualmente, la lezione del ''Bucolicum'' petrarchesco è riportata dal codice Vaticano lat. 3358<ref>Per maggior informazioni, si veda il saggio di {{Cita|Fenzi}}.</ref>.
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==== Le ''Epistolae metricae'' ====
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{{Vedi anche|Epistolae metricae}}
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Scritte fra il 1333 e il 1361 e dedicate all'amico [[Barbato da Sulmona]], sono 66 lettere in [[Esametro dattilico|esametri]], di cui alcune trattano d'amore, mentre per la maggior parte si occupano di politica, morale o di materie letterarie<ref>Si veda il saggio di {{Cita|Dotti}} sulle ''Epistolae metricae''.</ref>.
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==== I ''Psalmi penitentiales'' ====
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Scritti nel 1347, Petrarca ne accenna nella ''Sen.'' X, 1 a Sagremor de Pommiers. Sono una raccolta di sette preghiere basate sul modello stilistico-linguistico dei [[Salmi|salmi davidici]] della [[Bibbia]], in cui Petrarca chiede perdono per i suoi peccati e aspira al perdono della Misericordia divina<ref>{{Cita|Pacca|pp. 131-132}}.</ref>.
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=== Opere latine in prosa ===
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[[File:Petrarch, De viris illustribus, Paris Lat. 5784.jpg|thumb|Petrarca, ''De viris illustribus'', [[Autografo|codice autografo]] custodito alla [[Bibliothèque nationale de France|Bibliothèque Nationale de France]] di Parigi, classificato come MS Lat. 5784, fol. 4r.]]
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==== Il ''De viris illustribus'' ====
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{{Vedi anche|De viris illustribus (Petrarca)}}
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Il ''De viris illustribus'' è una raccolta di 36 biografie di uomini illustri in prosa latina, redatta a partire dal 1338 e dedicata a [[Francesco I da Carrara]] signore di Padova nel 1358. Nell'intenzione originale dell'autore l'opera doveva trattare la vita di personaggi della storia di Roma da [[Romolo]] a [[Tito (imperatore romano)|Tito]], ma arrivò solo fino a [[Nerone]]. In seguito Petrarca aggiunse personaggi di tutti i tempi, cominciando da [[Adamo]] e arrivando a [[Ercole]]. L'opera rimase incompiuta e fu continuata dall'amico e discepolo padovano di Petrarca, [[Lombardo della Seta]], fino alla vita di [[Traiano]]<ref>{{Cita|Pacca|pp. 36-45}}.</ref>.
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==== I ''Rerum memorandarum libri'' ====
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{{Vedi anche|Rerum memorandarum libri}}
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I ''Rerum memorandarum libri'' (''Libri delle gesta memorabili'') sono una raccolta di esempi storici e aneddoti a scopo d'educazione morale in prosa latina, basati sui ''Factorum et dictorum memorabilium libri'' dello scrittore latino [[Valerio Massimo]]<ref name="Fer14">{{Cita|Ferroni|p. 14}}.</ref>. Iniziati verso il 1343 in Provenza, furono continuati fino al 1345, allorché Petrarca scoprì le orazioni ciceroniane a Verona, e ne fu indotto al progetto delle ''Familiares''. Difatti, furono lasciati incompiuti dall'autore, che ne scrisse soltanto i primi 4 libri e alcuni frammenti del quinto libro<ref>{{Cita|Amaturo|pp. 117-119}}.</ref>.
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==== Il ''Secretum'' ====
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{{Vedi anche|Secretum}}
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[[File:Secretum.jpg|thumb|Petrarca, ''Secretum'', Grootseminaire ([[Bruges]]), tratto dal MS 113/78 fol. Ir., realizzato nel 1470 per Jan Crabble.]]
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Il ''Secretum'' o ''De secreto conflictu curarum mearum'' è una delle opere più celebri di Petrarca e fu composta tra il 1347 e il 1353, anche se in seguito fu riveduta. Articolato come un dialogo immaginario in tre libri tra il poeta stesso (che si fa chiamare semplicemente ''Francesco'') e [[Agostino d'Ippona|sant'Agostino]], alla presenza di una donna muta che simboleggia la Verità, il ''Secretum'' consiste in una sorta di esame di coscienza personale nel quale si affrontano temi intimi del poeta, da cui il titolo dell'opera. Come emerge però nel corso della trattazione, Francesco non si mostra mai del tutto contrito dei suoi peccati (l'[[accidia]] e l'[[Lussuria|amore carnale]] per Laura): al termine dell'esame egli non risulterà guarito o pentito, dando così forma a quell'irrequietezza d'animo che contraddistinse la vita del Petrarca<ref>{{Cita|Cappelli|p. 49}}.</ref>.
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==== Il ''De vita solitaria'' ====
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{{Vedi anche|De vita solitaria}}
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Il ''De vita Solitaria'' ("La vita solitaria") è un trattato di carattere religioso e morale. Fu elaborato nel 1346, ma venne successivamente ampliato nel 1353 e nel 1366. L'autore vi esalta la solitudine, tema caro anche all'ascetismo medioevale, ma il punto di vista con cui la osserva non è strettamente religioso: al rigore della vita monastica Petrarca contrappone l'isolamento operoso dell'intellettuale, dedito alle letture e alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e di altri intellettuali. L'isolamento dello studioso in una cornice naturale che favorisce la concentrazione è l'unica forma di solitudine e di distacco dal mondo che Petrarca riuscì a conseguire, non considerandola in contrasto con i valori spirituali cristiani, in quanto riteneva che la saggezza contenuta nei libri, soprattutto nei testi classici, fosse in perfetta sintonia con quelli. Da questa sua posizione è derivata l'espressione di "umanesimo cristiano" di Petrarca<ref name="Gug177" />.
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==== Il ''De otio religioso'' ====
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{{Vedi anche|De otio religioso}}
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Redatto all'incirca tra il 1347 e il 1356/57, il ''De otio religioso'' è un'esaltazione della vita monastica, dedicata al fratello Gherardo. Simile al ''De vita solitaria'', esalta però soprattutto la solitudine legata alle regole degli ordini religiosi, definita come la migliore condizione di vita possibile<ref name="Fer14" />.
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[[File:Petrarch-ranks-of-man-remediis-milan-braidense-ad-xiii-30-f1-c1400.jpg|thumb|Foglio manoscritto riportante il ''De Remediis Utriusque Fortune'' di Francesco Petrarca, databile intorno al [[1400]] e conservato attualmente nella [[Biblioteca Nazionale Braidense]], MS AD XIII 30. Attribuito al miniatore [[Pietro da Pavia|Fra Pietro da Pavia]], il dipinto rappresenta le varie categorie sociali degli uomini.]]
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==== Il ''De remediis utriusque fortunae'' ====
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{{Vedi anche|De remediis utriusque fortunae}}
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Il ''De remediis'' è una raccolta di brevi dialoghi scritti in prosa latina, redatta all'incirca tra il 1356 e il 1366, anno in cui fu diffusa. Basata sul modello del ''De remediis fortuitorum'', trattato pseudo-senechiano composto nel Medioevo, l'opera è composta da 254 scambi di battute tra entità allegoriche: prima il "Gaudio" e la "Ragione", poi il "Dolore" e la "Ragione". Simile ai precedenti ''Rerum memorandarum libri'', questi dialoghi hanno scopi educativi e moralistici, proponendosi di rafforzare l'individuo contro i colpi della fortuna sia buona che avversa<ref>{{Cita|Ferroni|pp. 14-15}}.</ref>. Il ''De remediis'' riporta anche una delle più esplicite condanne della cultura trecentensca da parte del Petrarca, vista come sciocca e superflua:
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{{Citazione|Perché persista pienamente l'integrità degli scrittori antichi, chi tra i copisti guarirà ogni cosa dall'ignoranza, dall'inerzia, dalla rovina e dal caos? Per il timore di ciò si indebolirono, come prevedo, molti celebri ingegni dalle grandi opere, e quest'epoca indolentissima permette ciò, dedita alla culinaria, ignorante delle lettere e che valuta i cuochi, e non i copisti.|{{Cita|Petrarca|cap. 43}}|Ut ad plenum auctorum constet integritas, quis scriptorum inscitie inertieque medebitur corrumpenti omnia miscentique? Cuius metu multa iam, ut auguror, a magnis operibus clara ingenia refrixerunt meritoque id patitur ignavissima etas hec, culine sollicita, literarum negligens et coquos examinans, non scriptores.|lingua=la}}
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==== ''Invectivarum contra medicum quendam libri IV'' ====
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{{Vedi anche|Invectivarum contra medicum quendam libri IV}}
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L'occasione per la scrittura di questa serie di accuse nei confronti dei medici fu la malattia che colpì papa Clemente VI nel 1352. Nella ''Fam.'' V, 19, Petrarca consigliava al pontefice di non fidarsi dei suoi archiatri, accusati di essere dei ciarlatani dalle idee contrastanti fra di loro. Davanti alle forti rimostranze dei medici pontifici nei confronti di Petrarca, questi scrisse quattro libri di accuse, una copia dei quali fu inviata poi al Boccaccio nel 1357<ref>{{Cita|Pacca|pp. 163-167}}.</ref>.
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==== ''De sui ipsius et multorum ignorantia'' ====
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{{Vedi anche|De sui ipsius et multorum ignorantia}}
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[[File:Trionfo della Morte, miniatura fiorentina.jpg|thumb|Scuola fiorentina, ''Il Trionfo della Morte'' tratta da ''I Trionfi di Petrarca'', XV secolo, [[miniatura]], ms. Palat.192, f.22r, [[Biblioteca Medicea Laurenziana]], [[Firenze]].]]
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L'opera, come ricordato prima nella sezione biografica relativa al periodo veneziano, fu scritta in seguito alle accuse di ignoranza che quattro giovani aristotelici rivolsero a Petrarca, in quanto alieno dalla terminologia e dalle questioni delle scienze naturali. In quest'apologia del pensiero umanistico, Petrarca rispose come lui fosse interessato alle scienze che interessassero il benessere dell'anima umana, e non alle discussioni tecniche e dogmatiche proprie del [[nominalismo]] della [[Scolastica (filosofia)|tarda scolastica]]<ref name=":9"/>.
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==== ''Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia'' ====
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{{Vedi anche|Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia}}
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Opera di carattere politico scritta nel 1373, l'invettiva era rivolta ad un monaco e teologo francese, Jean de Hesdin, sostenitore della necessità che la sede del Papato rimanesse ad Avignone. Per tutta risposta Petrarca sostenne la necessità che il papa ritornasse a Roma, sua sede diocesana e simbolo dell'antica gloria romana<ref name=":3" />.
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=== Raccolte epistolari ===
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{{Vedi anche|Epistole}}
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Di estrema importanza sono le epistole latine. Raccolte "d'autore" delle lettere inviate da Petrarca, disposte in ordine cronologico, le epistole contribuiscono a costruire l'immagine autobiografica che il poeta stesso ha voluto offrire di sé ai posteri e quindi la sua eternizzazione. Basate sul modello ciceroniano-senecano ricavato dalla scoperta delle ''Epistulae ad Atticum'' a Verona del 1345<ref name="PacCap" />, le epistole (che si dividono, a parte la ''Epistola posteritati'' che è rimasta intenzionalmente esclusa dalle raccolte epistolari, nei gruppi delle ''Familiares'', delle ''Seniles'', delle ''Sine nomine'' e delle ''Variae''<ref>{{Cita|Amaturo|pp. 167-168}}.</ref>) spaziano dagli anni bolognesi fino alla fine della vita del Petrarca<ref>Le ''epistolae'' retrodatate al 1345 furono, secondo {{Cita|Santagata|p. 45}}, probabilmente scritte ''ex novo'' perché fossero aderenti al progetto culturale-esistenziale idealizzato dal Petrarca.</ref>. Delle lettere petrarchesche, indirizzate a vari personaggi suoi contemporanei (a [[Ludwig Van Kempen|Ludwig van Kempen]], sotto lo pseudonimo di ''Socrate'', è dedicata la raccolta delle ''Familiares''; a [[Francesco Nelli]], sotto lo pseudonimo di ''Simonide'', sono dedicate le ''Seniles'', iniziate dopo la morte di Ludwig van Kempen nel 1361<ref>{{Cita|Santagata|p. 45}}.</ref>) e, nel caso del XXIV libro delle ''Familiares'', le lettere sono rivolte a vari personaggi dell'antichità. Delle ''Familiares'', è celebre in particolar modo la ''Familiare'' IV, 1 incentrata sull'ascesa del Monte Ventoso.
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=== Opere in volgare ===
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[[File:Francesco Petrarca, Rime.jpg|thumb|Francesco Petrarca, ''Rime'', codice membranaceo ms. I 12, c. 1r. conservato al Museo Petrarchesco Piccolomineo, [[Trieste]], risalente ai secoli fine XV, inizio [[XVI secolo|XVI]]. Il particolare riporta il primo [[sonetto]] del ''Canzoniere''.]]
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==== Il ''Canzoniere'' ====
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{{Vedi anche|Canzoniere (Petrarca)}}
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{{Citazione|Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono / di quei sospiri ond’io nudriva ’l core / in sul mio primo giovenile errore / quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono...|Petrarca, ''[[s:Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)/Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono|Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono]]'', prima [[Quartina (metrica)|quartina]] della lirica d'apertura del ''Canzoniere''}}
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Il ''Canzoniere'', il cui titolo originale è ''Francisci Petrarchae laureati poetae Rerum vulgarium fragmenta'', è la storia poetica della vita interiore del Petrarca vicina, per introspezione e tematiche, al ''Secretum''. La raccolta comprende 366 componimenti (365 più uno introduttivo: "Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono"): 317 [[Sonetto|sonetti]], 29 [[Canzone (metrica)|canzoni]], 9 [[sestina|sestine]], 7 [[Ballata (poesia)|ballate]] e 4 [[Madrigale|madrigali]], divisi tra rime ''in vita'' e rime ''in morte'' di Madonna Laura <ref group="N">{{Cita|Guglielmino-Grosser|p. 184}}. I testi sono raccolti nel codice Vaticano Latino 3195, come ricordato da {{Cita|Santagata|pp. 120-121}}. Bisogna ricordare che ''Il Canzoniere'' non raccoglie tutti i componimenti poetici del Petrarca, ma solo quelli che il poeta scelse con grande cura: altre rime (dette ''extravagantes'') andarono perdute o furono incluse in altri manoscritti (''cfr.'' {{Cita|Ferroni|p. 8}}).</ref>, celebrata quale donna superiore, senza però raggiungere il livello della ''donna angelo'' della [[Beatrice Portinari|Beatrice dantesca]]. Difatti, Laura invecchia, subisce il corso del tempo, e non è portatrice di alcun attributo divino nel senso [[Teologia|teologico]] [[Dolce stil novo|stilnovista]]-dantesco<ref>{{Cita|Guglielmino-Grosser|p. 185}}.</ref>. Anzi, la storia del ''Canzoniere'', più che la celebrazione di un amore, è il percorso di una progressiva conversione dell'anima: si passa, infatti, ''dal giovanil errore'' (l'amore terreno per Laura) ricordato nel sonetto introduttivo ''Voi ch'ascoltate in rime sparse'', alla canzone ''[[Vergine bella|Vergine bella, che di sol vestita]]'' in cui Petrarca affida la sua anima alla protezione di [[Maria (madre di Gesù)|Maria]] perché trovi finalmente pietà e riposo<ref group="N">L'inquietudine petrarchesca nasce, quindi, dal contrasto tra l'attrazione verso i beni terreni (tra cui l'amore per Laura) e l'aspirazione all'assoluto divino, propria della cultura medievale e della religione cristiana, come ricordato da {{Cita|Guglielmino-Grosser|p. 186}}.</ref>.
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L'opera, che richiese a Petrarca quasi quarant'anni di continue rivisitazioni stilistiche (da qui la cosiddetta ''limatio'' petrarchesca<ref group="N">Petrarca mantenne, nell'ambito della lirica volgare, quell'aristocraticismo stilistico-lessicale prima accennato, in cui si rifiutano molti usi lemmatici presenti nella tradizione poetica italiana e che Petrarca rifiuterà, accogliendone un preciso gruppo ristretto ed elitario. Come ricorda {{Cita|Marazzini|pp. 220-221}}:{{Citazione|Si delinea una tendenza del linguaggio lirico al 'vago', inteso nel senso di una genericità antirealistica (al contrario di quanto accade nel corposo realismo della ''Commedia''), testimoniato anche dalla polivalenza di certi termini, i quali, come l'aggettivo ''dolce'', entrano in un numero molto grande di combinazioni diverse [...] Eppure la lingua di Petrarca, selezionata e ridotta nelle scelte lessicali, accoglie un buon numero di varianti canonizzando un polimorfismo...in cui si allineano la forma toscana, quella latineggiante, quella siciliana o provenzale...}}</ref>), prima di trovare la forma definitiva subì, secondo gli studi compiuti da Wilkins, ben nove fasi di redazioni, di cui la prima risale al 1336-38, e l'ultima al 1373-74, che è quella contenuta nel codice Vaticano Latino 3195<ref>{{Cita|Ferroni|p. 19}}.</ref>.
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==== I ''Trionfi'' ====
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{{Vedi anche|I Trionfi}}
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I "Trionfi" (la titolazione originale è in [[lingua latina|latino]], ''Triumphi'') sono un [[poema|poemetto]] [[allegoria|allegorico]] in [[lingua italiana|volgare toscano]], in [[terzina dantesca|terzine dantesche]], incominciato da Petrarca nel [[1351]], durante il periodo milanese, e mai portato a termine.
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Il poema è ambientato in una dimensione onirica e irreale (strettissimo, per scelta metrica e tematica, è il legame con la [[Divina Commedia|''Comedia'']]): Petrarca viene visitato da [[Eros|Amore]], che gli mostra tutti gli uomini illustri che hanno ceduto alle passioni del cuore (''Triumphus Cupidinis''). Annoverato tra questi ultimi, Petrarca verrà poi liberato da Laura, simboleggiante la Pudicizia (''Triumphus Pudicitie''), che cadrà poi per mano della Morte (''Triumphus Mortis''). Petrarca scoprirà dalla stessa Laura, apparsagli in sogno, che ella si trova nella [[Paradiso|beatitudine celeste]], e che egli stesso potrà contemplarla nella gloria divina soltanto dopo che la morte lo avrà liberato dal corpo caduco in cui si ritrova.
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La Fama poi sconfigge la morte (''Triumphus Fame'') e celebra il proprio trionfo, accompagnata da Laura e da tutti i più celebri personaggi della storia antica e recente.  Il moto rapido del sole suggerisce al poeta alcune riflessioni sulla vanità della fama terrena, cui fa seguito una vera e propria visione, nella quale al poeta appare il [[Tempo]] trionfante (''Triumphus Temporis'').  Infine il poeta, sbigottito per la precedente visione, è confortato dal suo stesso cuore, che gli dice di confidare in Dio: gli appare allora l'ultima visione, un «mondo novo, in etate immobile ed eterna», un mondo al di fuori del tempo dove trionferanno i beati e dove un giorno Laura gli riapparirà, questa volta per sempre (''Triumphus Eternitatis'').
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== Fortuna e critica letteraria ==
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[[File:Leonardo Bruni 2.jpg|thumb|Ritratto di Leonardo Bruni.]]
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=== L'età dell'umanesimo ===
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{{Vedi anche|Umanesimo rinascimentale}}Già quand'era in vita Petrarca fu riconosciuto immediatamente quale maestro e guida per tutti coloro che volevano intraprendere lo studio delle discipline umanistiche. Grazie ai suoi numerosi viaggi in tutta Italia, gettò il seme del suo messaggio presso i principali centri della [[Penisola italiana|Penisola]], in particolar modo a Firenze. Qui, oltre ad aver conquistato alla causa dell'umanesimo Giovanni Boccaccio (autore, tra l'altro, di un ''De vita et moribus domini Francisci Petracchi de Florentia''<ref name=":10">{{Cita|Ariani|p. 358}}.</ref>), Petrarca trasmise la sua passione a [[Coluccio Salutati]], dal 1375 [[cancelliere]] della [[Repubblica di Firenze]] e vero ''trait d'union'' tra la generazione petrarchesco-boccacciana e quella attiva nella prima metà del XV secolo<ref>{{Cita|Dionisotti}}: «[Salutati] fu per trent'anni, dopo la morte del Petrarca e del Boccaccio, il più autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi.»</ref>. Coluccio, infatti, fu il maestro di due dei principali umanisti del '400: [[Poggio Bracciolini]], il più grande scopritore di codici latini del secolo ed esportatore dell'umanesimo a Roma; e [[Leonardo Bruni]], il più notevole rappresentante dell'umanesimo civile insieme al maestro Salutati. Fu il Bruni a consolidare la fama di Petrarca, allorché nel 1436 redasse una ''Vita di Petrarca''<ref>{{Cita|Dionisotti, 1970}}: «Dopo lungo intervallo, probabilmente nel 1436, il B[occaccio] compose in volgare una succinta vita di D[ante], cui fece seguire un'assai più succinta vita del Petrarca e un conclusivo paragone fra i due poeti.»</ref>, seguita da quelle di [[Filippo Villani]], [[Giannozzo Manetti]], [[Sicco Polenton]] e [[Pier Paolo Vergerio il vecchio|Pier Paolo Vergerio]]<ref name=":10" />.
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Oltre a Firenze, i soggiorni del poeta in [[Ducato di Milano|Lombardia]] e a [[Repubblica di Venezia|Venezia]] favorirono la nascita di movimenti culturali locali destinati a declinare i princìpi umanistici a seconda delle esigenze della classe politica locale: a Milano, dove operarono letterati del calibro di [[Pier Candido Decembrio]] e di [[Francesco Filelfo]], nacque un [[Umanesimo lombardo|umanesimo cortigiano]] destinato a diventare il prototipo per tutte le corti principesche italiane<ref name="Cita|Cappelli|pp. 227-250">{{Cita|Cappelli|pp. 227-250}}.</ref>; a Venezia si diffuse, invece, un umanesimo educativo destinato a formare la nuova classe dirigente della Serenissima, grazie all'attività di [[Leonardo Giustinian]] e di [[Francesco Barbaro (politico)|Francesco Barbaro]] prima, e di [[Ermolao Barbaro il Vecchio|Ermolao ''il Vecchio'']] e dell'[[Ermolao Barbaro il Giovane|omonimo detto ''il Giovane'']] poi<ref name="Cita|Cappelli|pp. 227-250"/>.
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[[File:Andrea del Sarto - Dama col - Google Art Project.jpg|thumb|[[Andrea del Sarto]], ''Dama col petrarchino'', [[Pittura a olio|olio su tela]], 1528, [[Galleria degli Uffizi]], [[Firenze]]. La datazione del dipinto mostra come già pochissimi anni dopo la promozione [[Pietro Bembo|bembiana]] il nome di Petrarca fosse divenuto già assai rinomato presso i lirici e gli appassionati di letteratura.]]
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=== Pietro Bembo e il petrarchismo ===
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{{Vedi anche|Pietro Bembo|Petrarchismo}}Se nel '400 Petrarca era visto soprattutto come capostipite della rinascita delle lettere antiche, grazie al letterato e cardinale veneziano Pietro Bembo divenne anche il modello del cosiddetto ''classicismo volgare'', definendo una tendenza che si stava progressivamente già delineando nella lirica italiana<ref group="N">{{Cita|Di Benedetto|p. 170}}. Si ricorda anche che, seppur in forma minore, era presente nel mondo letterario italiano del '400 anche un'ammirazione verso il Petrarca volgare, come testimoniato dalle edizioni a stampa del ''Canzoniere'' e dei ''Trionfi'' uscite nel 1472 dalla bottega dei padovani Bartolomeo Valdezocco e Martino “de Septem Arboribus” (''cfr.'' {{Cita|Ente Nazionale Francesco Petrarca|titolo=Culto petrarchesco a Padova}}.).</ref>. Difatti Bembo, nel dialogo ''[[Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua|Prose della volgar lingua]]'' del 1525, sostenne la necessità di prendere come modelli stilistici e linguistici Petrarca per la lirica, Boccaccio invece per la prosa, scartando Dante per il suo plurilinguismo che lo rendeva difficilmente accessibile:
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{{Citazione|Requisito necessario per la nobilitazione del volgare era dunque un totale rifiuto della popolarità. Ecco perché Bembo non accettava integralmente il modello della ''Commedia'' di Dante, di cui non apprezzava le discese verso il basso nelle quali noi moderni riconosciamo un accattivante mistilinguismo. Da questo punto di vista, il modello del ''Canzoniere'' di Petrarca non presentava difetti, per la sua assoluta selezione linguistico-lessicale.|{{Cita|Marazzini|p. 265}}}}
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[[File:G. Contini.jpeg|miniatura|Gianfranco Contini, grande estimatore di Francesco Petrarca e suo commentatore nel XX secolo.]]
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La proposta bembiana risultò, nelle diatribe relative alla [[questione della lingua]], quella vincente. Già negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione delle ''Prose'', si diffuse presso i circoli poetici italiani una passione per le tematiche e lo stile della poesia petrarchesca (stimolata anche dal commento al ''Canzoniere'' di Alessandro Vellutello del 1525<ref>{{Cita|Di Benedetto|p. 174}}.</ref>), chiamata poi ''petrarchismo'', favorita anche dalla diffusione dei ''petrarchini'', cioè edizioni tascabili del ''Canzoniere''<ref name="Praz">Si veda la voce enciclopedica curata da {{Cita|Praz}} e {{Cita|Di Benedetto|p. 177}}.</ref>.
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=== Dal Seicento ai giorni nostri ===
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A fianco del petrarchismo, però, si sviluppò anche un movimento avverso alla canonizzazione poetica operata dal Bembo: prima nel corso del Cinquecento, allorché letterati come [[Francesco Berni]] e [[Pietro Aretino]] svilupparono polemicamente il fenomeno dell'''antipetrarchismo''; poi, nel corso del [[XVII secolo|Seicento]], la temperie [[Barocco|barocca]], ostile all'idea di classicismo in nome della libertà formale, declassò il valore dell'opera petrarchesca. Riabilitato parzialmente nel corso del [[XVIII secolo|Settecento]] da [[Ludovico Antonio Muratori]], Petrarca ritornò pienamente in auge in seno alla temperie [[Romanticismo|romantica]], quando [[Ugo Foscolo]] prima e [[Francesco De Sanctis]] poi, nelle loro lezioni universitarie di letteratura tenute dal primo a Pavia, e dal secondo a Napoli e a [[Zurigo]], furono in grado di operare un'analisi complessiva della produzione petrarchesca e ritrovarne l'originalità<ref>{{Cita|Ariani|pp. 362-364}}.</ref>. Dopo gli studi compiuti da [[Giosuè Carducci]] e dagli altri membri della ''[[Scuola storica (letteratura)|Scuola storica]]'' compiuti tra fine [[XIX secolo|'800]] e inizi [[XX secolo|'900]], il secolo scorso vide, per l'area italiana, [[Gianfranco Contini]] e [[Giuseppe Billanovich]] tra i maggiori studiosi del Petrarca.
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== Petrarca e la scienza diplomatica ==
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{{Vedi anche|Diplomatica}}
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Benché la diplomatica, ovvero la scienza che studia i documenti prodotti da una cancelleria o da un notaio e le loro caratteristiche estrinseche ed intrinseche, sia nata consapevolmente con [[Jean Mabillon]] nel 1681, nella storia di tale disciplina sono stati individuati dei precursori che, inconsapevolmente, nella loro attività filologica, hanno analizzato e dichiarato l'autenticità o meno anche di documenti oggetto di studio da parte della diplomatica. Tra questi, infatti, vi furono molti [[Umanesimo rinascimentale|umanisti]] e anche il loro precursore e fondatore, Francesco Petrarca. Nel 1361, infatti, l'imperatore [[Carlo IV di Lussemburgo|Carlo IV]] chiese al celebre filologo di analizzare dei documenti imperiali in possesso di suo genero, [[Rodolfo IV d'Asburgo]], che sarebbero stati stilati da [[Gaio Giulio Cesare|Giulio Cesare]] e da [[Nerone]] a favore dell'[[Austria]] che dichiaravano tali terre indipendenti dall'[[Impero romano|Impero]]<ref>{{Cita|Pacca, Petrarca}} e {{Cita|Bresslau|pp. 22-23}}</ref>. Petrarca rispose con la ''Seniles'' XVI, 6<ref>{{Cita|Fracassetti Seniles, 2|pp. 400-407}}.</ref> in cui, evidenziando lo stile, gli errori storici e geografici e il tono (il ''tenore'') della lettera (tra cui la mancanza della data topica e della data cronologica propria dei [[Diploma|diplomi]]<ref>{{Cita|Fracassetti, Seniles|p. 404}}.</ref>), negò la validità di questo diploma.
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== Onorificenze ==
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{{Onorificenze
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|immagine = Olive wreath.svg
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|nome_onorificenza = [[Incoronazione poetica|Laurea poetica]]
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|collegamento_onorificenza =
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|motivazione =
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|luogo = [[Roma]], 8 aprile [[1341]]
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}}
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A Petrarca è intitolato il [[cratere Petrarca]] su [[Mercurio (astronomia)|Mercurio]]<ref>{{Cita web
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|url = http://planetarynames.wr.usgs.gov/Feature/4672
 +
|titolo = Petrarch
 +
|sito = Gazetteer of Planetary Nomenclature
 +
|lingua = en
 +
|accesso = 23 dicembre 2015
 +
}}</ref>.
    
== Note ==
 
== Note ==
Riga 302: Riga 282:  
*{{Cita libro|autore = Ernest Hatch Wilkins|titolo = Vita del Petrarca|anno = 2012|editore = Feltrinelli|città = Milano|ISBN = 978-88-07-72364-3|curatore = Luca Carlo Rossi e Remo Ceserani|annooriginale = 1964|cid = Wilkins}}, , edito per la prima volta negli Stati Uniti col nome di {{Cita libro|titolo = Life of Petrarch|anno = 1961|editore = University of Chicago Press|città = Chicago|OCLC = 343931|lingua = En}}
 
*{{Cita libro|autore = Ernest Hatch Wilkins|titolo = Vita del Petrarca|anno = 2012|editore = Feltrinelli|città = Milano|ISBN = 978-88-07-72364-3|curatore = Luca Carlo Rossi e Remo Ceserani|annooriginale = 1964|cid = Wilkins}}, , edito per la prima volta negli Stati Uniti col nome di {{Cita libro|titolo = Life of Petrarch|anno = 1961|editore = University of Chicago Press|città = Chicago|OCLC = 343931|lingua = En}}
 
*{{Cita libro|titolo = Musei civici di Pavia|anno = 1998|editore = Skira|città = Milano|cid = Vicini|curatore=Donata Vicini|ISBN=88-8118-353-6}}
 
*{{Cita libro|titolo = Musei civici di Pavia|anno = 1998|editore = Skira|città = Milano|cid = Vicini|curatore=Donata Vicini|ISBN=88-8118-353-6}}
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== Voci correlate ==
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* [[Petrarchismo]]
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* [[Preumanesimo]]
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*[[Umanesimo rinascimentale]]
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* ''[[Canzoniere (Petrarca)|Canzoniere]]''
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* [[Petrarchino]]
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* [[Biblioteca di Petrarca]]
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* [[Incoronazione poetica]]
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* [[Figli di Francesco Petrarca]]
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* [[Casa del Petrarca]]
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== Altri progetti ==
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{{interprogetto}}
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== Collegamenti esterni ==
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* {{Cita web|url=http://www.petrarca.it/|titolo=Ente Nazionale Francesco Petrarca|accesso=4 marzo 2016|cid=Ente Nazionale Francesco Petrarca}}, ente ufficiale per gli studi petrarcheschi in Italia
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* {{Cita web|url=http://petrarca.letteraturaoperaomnia.org/|titolo=Francesco Petrarca - Opera Omnia|accesso=4 marzo 2016|editore=ilVignettificio|data=4 marzo 2016|cid=Petrarca}}, con consultazione online di tutte le opere latine e volgari
 +
* {{Cita web|autore = Giovanni Boccaccio|url = http://ww2.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000919/bibit000919.xml|titolo = Epistole e lettere|accesso = 23 febbraio 2016|editore = Biblioteca Italiana|data = 2007}}
 +
* {{Cita web|autore=Francesco Lamendola|url=http://www.centrostudilaruna.it/il-culto-di-virgilio-nel-medioevo.html|titolo=Il culto di Virgilio nel medioevo|accesso=26 febbraio 2016|editore=Centro Studi La Runa|data=2 aprile 2010|cid=Lamendola}}
 +
* {{Cita web|autore=[[Romano Luperini]]|url=http://www.eduthinktag.it/it/resources/il-plurilinguismo-di-dante-e-il-monoling|titolo=Il plurilinguismo di Dante e il monolinguismo di Petrarca secondo Gianfranco Contini|accesso=28 febbraio 2016|editore=Thinktag Smart|data=6 marzo 2013|cid=Luperini|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160304110951/http://www.eduthinktag.it/it/resources/il-plurilinguismo-di-dante-e-il-monoling|dataarchivio=4 marzo 2016|urlmorto=sì}}
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*{{Cita web|url=http://www.internetculturale.it/directories/ViaggiNelTesto/petrarca/popup/5.html|titolo=Austria|autore=Vinicio Pacca|editore=Internet Culturale|cid=Pacca, Petrarca|accesso=16 gennaio 2019}}
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*Francesco Petrarca, ''[https://www.aremus.info/francesco-petrarca Catalogo dei Compositori e delle Opere Musicali sulle rime di Francesco Petrarca], su [https://www.aremus.info/ Artemida].''

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