Corenno Plinio
San Tommaso di Canterbury 1956
Il giorno 29 dicembre si festeggiava San Tommaso di Canterbury, patrono di Corenno Plinio.
Già il giorno precedente zia Maria era arrivata con una sorta di gabbia a forma di uovo, l’aveva sistemata nell’ultima stanza e non ci voleva tra i piedi. Soltanto la mattina della festa compariva con un pallone che aveva ricavato ricoprendo quella gabbia con della bambagia, sopra la bambagia aveva poi applicato delle decorazioni in stagnola e, con cotanto trofeo, ci accompagnava in chiesa per assistere alla Santa Messa. Arrivavamo in anticipo, bisognava consegnare il pallone a Toma il sacrista che, tramite una carrucola, appendeva al soffitto il pallone che allegramente girava su se stesso per un bel po’, mostrandoci le luccicanti decorazioni applicate dalla zia. La Santa Messa era concelebrata, cioè celebrata da 3 preti, l’uno il nostro Don Tocco, l’altro il parroco di Dervio e, infine, il parroco di Dorio che cantava con voce potente e che, qualche tempo dopo, avrebbe perso la vita nel disastro ferroviario di Monza. L’ingegnere suonava l’organo e un giovanotto azionava la ruota del mantice, Italo, al momento opportuno dirigeva il concerto campanario: Prima, terza, seconda, quarta, quinta poi tutte le campane rovesciate si mollavano contemporaneamente facendo un suono fortissimo mentre i celebranti vestiti di sontuosissimi piviali, incensavano col turibolo traversando tutta l’area dell’altare: quello che roteava il turibolo al centro mentre gli altri due trattenevano i lembi del suo piviale per non farlo bruciacchiare. Infine, consegnato il turibolo a un chierichetto che lo teneva acceso dondolandolo, si sedevano su una panca a lato dell’altare stesso, ad ascoltare i canti dei fedeli. Al di sopra delle voci bianche la voce baritonale di Irma. Tutto era in latino, nessuno conosceva il significato delle parole che pronunciava o dei versi che cantava a meno di leggere la traduzione in italiano che stava sul libretto. Finalmente Toma consegnava al parroco un’asta con uno stoppino acceso sull’estremità, recitata una formula, quest’ultimo si recava sotto il pallone della zia Maria e appiccava il fuoco. Una fiammata di pochi istanti, un po’ di scintille e un po’ di fumo, rimaneva appesa la gabbia coperta dai residui neri della bambagia. Poi, mentre l’organo suonava forte, allegramente, tutti s’usciva sul sagrato. Oggi, quando mi capita di entrare in una discoteca, vedendo quei palloni riflettenti, per un attimo, un attimo soltanto, mi aspetto che il DJ scenda dalla sua postazione e, con un'asta attrezzata con lo stoppino incendiario dia fuoco al pallone!
Vanni Bettega Gianluigi