Valeria D’Amico
Valeria D'Amico è nata a Foggia il 1 ottobre 1965 dove ancora vive e lavora.
E' madre di tre figli ed insegnante di lingua e civiltà tedesca in un istituto tecnico commerciale, nel settore delle Relazioni Internazionali per il Marketing.
Il suo amore per la poesia è nato quando frequentava le scuole elementari ed ha continuato a scrivere con passione soprattutto durante gli anni del liceo e dello studio universitario. Dopo l'università ha cominciato subito a lavorare e a studiare per il concorso a cattedra e così non è più riuscita a trovare tempo e modo di scrivere poesie.
Ha ricominciato nel 2014 e, a partire dal 2015 partecipare ad alcuni concorsi e premi letterari.
Scrive poesie anche in lingua inglese, tedesca, francese e si cimenta anche con lo spagnolo, lingua che però ha studiato da autodidatta. Moltissimi sono i suoi testi presenti in antologie di concorsi e premi letterari.
Libri
- “La limatura del silenzio” Antologica Atelier Edizioni, Maggio 2017, poiché vincitrice della seconda edizione del Premio Ungaretti, indetto appunto dalla casa editrice.
- “Fragili miracoli” WIP Edizioni, Marzo 2019.
Premi (elenco parziale, primi posti)
2016
- Concorso di poesia "Per te donna, culla della vita"
- Premio letterario Letteralmonte
- Concorso “Restiamo umani” (Arci, Grosseto)
2017
- Sezione poesia dedicata al tema della disabilità nel Concorso Letterario Nazionale "Albiatum"
- Sezione poesia inedita al Premio Nazionale di Poesia "L'arte in versi"
- Premio Ungaretti
2018
- Premio Nazionale Novella Torregiani
- Concorso di poesia "Guatavo Pece", consistente nella pubblicazione di una nuova silloge
- Premio Vincenzo Travaglini a Fara San Martino, sempre per poesia in lingua italiana
- Sezione poesia inedita in lingua straniera (inglese) al Premio Nazionale di Poesia "L'arte in versi"
2019
- Giuria Popolare concorso “La pelle non dimentica “ sezione poesie a tema violenza di genere.
Intervista di WikiPoesia
A cura di Maria Luisa Dezi (marzo 2020)
- In "Fragili miracoli" affronti il tema della fragilità dell'esistenza umana ma anche dei piccoli miracoli che la vita spesso ci regala. Qual è un miracolo capitato a te?
Sicuramente l’essere diventata madre. La maternità è sicuramente un dono, ma è un ruolo difficile, complesso, da vivere ogni giorno con grandi sacrifici, accettando compromessi che da figlia non avrei mai immaginato, ma puramente necessari. Amo i miei figli, ovvio, ma amo soprattutto la maggiore sensibilità acquisita nel corso degli anni, dovuta proprio al mio ruolo di madre. Mi sento più vicina agli ultimi, a chi la propria madre magari non la vede da mesi, da anni, perché è dovuto fuggire per sopravvivere, a tutti gli orfani di una carezza, di un sorriso pieno d’amore. Mi ritengo una persona molto fortunata, perché non ho mai conosciuto guerra, carestia o miseria, ma non ho fatto niente per meritare quello che ho, è stata solo fortuna, come per la maggior parte delle persone che conosco, eppure non restare indifferenti di fronte al dolore altrui, restare umani, come ci esortava a fare Vittorio Arrigoni, è spesso visto come segno di debolezza, mentre per me resta un fragile miracolo.
- Infatti, coi tuoi versi tratti anche temi come la violenza sulle donne, la migrazione, la guerra in Siria, l'Olocausto a riprova che per te il poeta non vive chiuso in una torre d'avorio ma attinge a piene mani dalla realtà. Non chiudi di certo gli occhi di fronte al dolore. Ti ringrazio per questo. Solo così le cose possono cambiare.
Credo sia opportuno fermarci tutti a riflettere su quanto accade, anche se spesso è molto più facile guardare oltre, solo perché quel dolore non ci appartiene, perché è lontano dalle nostre quotidiane preoccupazioni. Sarebbe bello, invece, poter portare la bellezza della poesia nel cuore e nella vita arida di chi è artefice di tante brutture e orrore nei confronti di altri esseri umani e sarebbe opportuno portare più poesia nelle carceri, soprattutto nei riformatori, cercando di stimolare i ragazzi a osare, a sperimentare e scrivere propri testi, un modo per indagare, ma anche allontanare ed esorcizzare il proprio passato.
- Perché tu credi profondamente nel ruolo terapeutico della poesia.
La poesia rende possibile l’estraniamento del proprio Io, poiché non si scrive davvero mai solo per sé stessi e allo stesso tempo rende possibile sfuggire al controllo del Super-io nel momento in cui si espongono le proprie emozioni, ma soprattutto le proprie fragilità e debolezze. In tal senso può avere valore terapeutico, perché riuscire a dare forma al proprio dolore, anche se a volte in modo stentato, incerto, o alquanto ermetico, vuol dire già aver disposto su un piano differente causa ed effetto di quello stesso dolore.
- Quando hai cominciato a scrivere poesie?
Ho cominciato a scrivere poesie in seconda elementare, a sei anni; ogni pagina che leggevo del libro di letture come del sussidiario, diventava spunto per scrivere una poesia e utilizzare parole nuove, approfondire concetti nuovi. Se guardo indietro alla bambina che sono stata, alla voglia che avevo di dire, di fare e giocare con le parole, provo molta tenerezza, ero riuscita a costruire un mio mondo parallelo fatto di amici immaginari, avidi come me di parole, di poesia, di fiabe.
- Poi ad un certo punto non hai più scritto, come mai?
Ho scritto moltissimo negli anni del liceo, quando divoravo le pagine dei grandi autori italiani e stranieri, avendo a disposizione un’enorme libreria dove ovviamente non poteva mancare nessuno dei grandi classici. Leggevo per imparare a scrivere, indagando e scandagliando in modo personale ogni testo, senza assolutamente accontentarmi di parafrasi e commenti già scritti. Ho sperimentato, con la speranza di poter un giorno scrivere anche un solo verso degno del confronto con i testi dei miei autori più amati come Leopardi, Manzoni, Foscolo, Pascoli, Ungaretti, Montale. Ho continuato a leggere tantissima poesia, soprattutto di autori stranieri durante gli anni universitari e ho continuato a scrivere versi, anche in inglese e tedesco fino al termine degli studi, ma ho smesso quando ho cominciato a lavorare per mancanza di tempo, perché dovevo prepararmi per il concorso a cattedra. Forse, in realtà, non sono stata io ad abbandonare la poesia, è stata la poesia ad abbandonare me. Ho ripreso solo lentamente e a fatica nel 2014. E' solo allora che ho ritrovato la voglia di quel rapporto indissolubile tra penna e foglio o forse la poesia ha ritrovato me, è venuta a stanarmi ed ha acquistato ogni giorno nuovo slancio. Ora sento vivo, infatti, il bisogno di soffermarmi a dare voce a un pensiero, a un’emozione, anche a una semplice riflessione. A partire dal 2015 ho cominciato a partecipare ad alcuni concorsi e premi letterari, perché ho sentito il bisogno di far leggere i miei versi ed affrontare il giudizio del pubblico ottenendo numerosi premi e riconoscimenti per le mie poesie, che sono serviti principalmente a rafforzare il mio amore per la scrittura, con la voglia di sperimentare sia sul piano linguistico che stilistico, sulla base della innata consapevolezza che la mia poesia più bella non l’ho ancora scritta, ma spero di riuscire a scriverla.
- Una cosa che trovo interessante di te è che sei insegnante di lingua e civiltà tedesca. Che cosa ti piace di quella grande cultura?
Della cultura di lingua tedesca amo in particolare la diversità di temi come di stile di quelli che sono per me pietre miliari nella mia formazione come docente, in primis ovviamente i grandi, immensi autori letterari come Goethe, Schiller, Kleist, Eichendorff, Hoffmann, Büchner, Kafka, Brecht, Rilke, Hesse e tantissimi altri, ma anche i grandi filosofi come Kant, Hegel, Nietzsche, ed i filosofi del ‘900 come Adorno, Horkheimer e soprattutto Hannah Arendt che ci ha lasciato una chiave di lettura profonda quanto dolorosamente necessaria dell’orrore e della barbarie dell’Olocausto.
- Hai poi vinto un primo premio con la poesia " What remains", scritta in inglese. Da dove nasce questo tuo amore per le lingue?
Ho cominciato a imparare l’inglese già prima di imparare a leggere e scrivere, grazie a una mia zia che aveva studiato in Inghilterra ed era praticamente bilingue, ma l’amore per l’inglese è stato poi pian piano superato dall’amore per il tedesco che ho cominciato a studiare al liceo, grazie a un corso extracurricolare pomeridiano. Non c’è niente di più bello di poter leggere e analizzare un testo scritto in una lingua diversa dalla propria lingua madre e poterne apprezzare ogni singola parola, ogni minima sfumatura di significato.
- C'è qualcosa che vorresti aggiungere a questa intervista?
Sì, che mi emozionano tanto le grandi donne poeta (non amo la parola poetessa) del ‘900, quasi sempre trascurate nei libri di testo scolastici come Alda Merini, Ada Negri, Antonia Pozzi, ma anche Maria Luisa Spaziani. Di Alda Merini e Antonia Pozzi, ammiro soprattutto la descrizione minuziosa del dolore, anche nelle poesie d’amore, poiché Eros e Thanatos, si completano vicendevolmente, proprio come nella vita reale di ognuno di noi, ma i sentimenti da loro descritti evocano ricordi e sensazioni ampiamente diffusi, che travalicano facilmente i confini del tempo e dello spazio. Di Ada Negri ho sempre amato la semplicità e l’immediatezza dei suoi testi, attraverso un uso molto accorto ed efficace del linguaggio poetico e il ritmo allegro e cadenzato soprattutto nelle sue filastrocche. Maria Luisa Spaziani rappresenta per me un valido modello da seguire, anche se la conosco ancora poco, ma ne ammiro la scelta dei temi, la ricercatezza stilistica e l’efficacia del linguaggio che la rende immediata, ma senza scadere mai nel banale.