Giovanni Pascoli: differenze tra le versioni

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===L'università e l'impegno politico===
===L'università e l'impegno politico===
Grazie ad una borsa di studio di 600 lire (che poi perse per aver partecipato ad una manifestazione studentesca) Pascoli si iscrisse all'Università di Bologna, dove ebbe come docenti il poeta [[Giosuè Carducci]] e il latinista Giovanni Battista Gandino, e diventò amico del poeta e critico Severino Ferrari. Conosciuto Andrea Costa e avvicinatosi al movimento anarco-socialista, cominciò, nel 1877, a tenere comizi a Forlì e a Cesena. Durante una manifestazione socialista a Bologna, dopo l'attentato fallito dell'anarchico lucano Giovanni Passannante ai danni del re Umberto I, il giovane poeta lesse pubblicamente un proprio sonetto dal presunto titolo ''Ode a Passannante''. L'ode venne subito dopo strappata (probabilmente per timore di essere arrestato o forse pentito, pensando all'assassinio del padre) e di essa si conoscono solamente gli ultimi due versi tramandati oralmente: «colla berretta d'un cuoco, faremo una bandiera».<ref>Domenico Bulferetti, ''Giovanni Pascoli. L'uomo, il maestro, il poeta'', Libreria Editrice Milanese, 1914, p. 57</ref>
Grazie ad una borsa di studio di 600 lire (che poi perse per aver partecipato ad una manifestazione studentesca) Pascoli si iscrisse all'Università di Bologna, dove ebbe come docenti il poeta [[Giosuè Carducci]] e il latinista Giovanni Battista Gandino, e diventò amico del poeta e critico [[Severino Ferrari]]. Conosciuto Andrea Costa e avvicinatosi al movimento anarco-socialista, cominciò, nel 1877, a tenere comizi a Forlì e a Cesena. Durante una manifestazione socialista a Bologna, dopo l'attentato fallito dell'anarchico lucano Giovanni Passannante ai danni del re Umberto I, il giovane poeta lesse pubblicamente un proprio sonetto dal presunto titolo ''Ode a Passannante''. L'ode venne subito dopo strappata (probabilmente per timore di essere arrestato o forse pentito, pensando all'assassinio del padre) e di essa si conoscono solamente gli ultimi due versi tramandati oralmente: «colla berretta d'un cuoco, faremo una bandiera».<ref>Domenico Bulferetti, ''Giovanni Pascoli. L'uomo, il maestro, il poeta'', Libreria Editrice Milanese, 1914, p. 57</ref>


La paternità del componimento fu oggetto di controversie: sia la sorella Maria sia lo studioso Piero Bianconi negarono che egli avesse scritto tale ode (Bianconi la definì «la più celebre e citata delle poesie inesistenti della letteratura italiana»<ref>Piero Bianconi, ''Pascoli'', Morcelliana, 1935, p.26</ref>). Benché non vi sia alcuna prova tangibile sull'esistenza dell'opera, Gian Battista Lolli, vecchio segretario della federazione socialista di Bologna e amico del Pascoli, dichiarò di aver assistito alla lettura e attribuì al poeta la realizzazione della lirica.<ref>Giuseppe Galzerano, ''Giovanni Passannante'', Casalvelino Scalo, 2004, p.272</ref> Pascoli fu arrestato il 7 settembre 1879, per aver partecipato ad una protesta contro la condanna di alcuni anarchici, i quali erano stati a loro volta imprigionati per i disordini generati dalla condanna di Passannante. Durante il loro processo, il poeta urlò: «Se questi sono i malfattori, evviva i malfattori!»<ref>Ugoberto Alfassio Grimaldi, ''Il re "buono"'', Feltrinelli, 1980, p. 146</ref>
La paternità del componimento fu oggetto di controversie: sia la sorella Maria sia lo studioso Piero Bianconi negarono che egli avesse scritto tale ode (Bianconi la definì «la più celebre e citata delle poesie inesistenti della letteratura italiana»<ref>Piero Bianconi, ''Pascoli'', Morcelliana, 1935, p.26</ref>). Benché non vi sia alcuna prova tangibile sull'esistenza dell'opera, Gian Battista Lolli, vecchio segretario della federazione socialista di Bologna e amico del Pascoli, dichiarò di aver assistito alla lettura e attribuì al poeta la realizzazione della lirica.<ref>Giuseppe Galzerano, ''Giovanni Passannante'', Casalvelino Scalo, 2004, p.272</ref> Pascoli fu arrestato il 7 settembre 1879, per aver partecipato ad una protesta contro la condanna di alcuni anarchici, i quali erano stati a loro volta imprigionati per i disordini generati dalla condanna di Passannante. Durante il loro processo, il poeta urlò: «Se questi sono i malfattori, evviva i malfattori!»<ref>Ugoberto Alfassio Grimaldi, ''Il re "buono"'', Feltrinelli, 1980, p. 146</ref>