Differenze tra le versioni di "Francesco Petrarca"

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'''Francesco Petrarca''' è nato ad Arezzo il 20 luglio 1304 ed è morto ad Arquà il 19 luglio 1374.
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Francesco Petrarca. (24 ottobre 2019). ''Wikipedia, L'enciclopedia libera''. Tratto il 1 novembre 2019, 21:33 da //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Francesco_Petrarca&oldid=108443226.
  
Scrittore, poeta, filosofo e filologo.
 
  
considerato il precursore dell'[[umanesimo rinascimentale|umanesimo]] e uno dei fondamenti della [[storia della letteratura italiana|letteratura italiana]], soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il ''[[Canzoniere (Petrarca)|Canzoniere]]'', patrocinato quale modello di eccellenza stilistica da [[Pietro Bembo]] nei primi del [[XVI secolo|Cinquecento]]
 
|Immagine = Petrarch by Bargilla.jpg
 
|Didascalia = [[Andrea del Castagno]], ''Francesco Petrarca'', particolare del ''[[Ciclo degli uomini e donne illustri]]'', [[affresco]], 1450, [[Galleria degli Uffizi]], [[Firenze]]
 
  
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'''Francesco Petrarca''' è nato ad Arezzo il 20 luglio 1304 ed è morto ad Arquà il 19 luglio 1374.
  
Uomo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come ''mater'' e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'[[Pensiero di Agostino d'Ippona|agostinismo]] in contrapposizione alla [[Scolastica (filosofia)|scolastica]] e operò una rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli ''studia humanitatis'' in senso [[Antropocentrismo|antropocentrico]] (e non più in chiave assolutamente [[Teocentrismo|teocentrica]]), Petrarca (che ottenne la [[Incoronazione poetica|laurea poetica]] a [[Roma]] nel 1341) spese l'intera sua vita nella riproposta culturale della poetica e filosofia antica e [[patristica]] attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima del ''Canzoniere'', infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per [[Laura de Noves|Laura]] che una storia d'amore, e in quest'ottica si deve valutare anche l'opera latina del ''Secretum''.
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Scrittore, poeta, filosofo e filologo.
 
 
Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, diedero avvio al fenomeno del ''[[petrarchismo]]'', teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare dell'Aretino.
 
 
 
 
 
== Pensiero e poetica ==
 
[[File:Francesco Petrarca nello studio.JPG|thumb|Anonimo, ''Francesco Petrarca nello studium'', affresco murale, ultimo quarto del [[XV secolo|secolo XIV]], [[Reggia Carrarese]], Sala dei Giganti, [[Padova]].]]
 
 
 
=== Il messaggio petrarchesco ===
 
 
 
==== Il concetto di ''humanitas'' ====
 
Petrarca, fin dalla giovinezza, manifestò sempre un'insofferenza innata nei confronti della cultura a lui coeva. Come già ricordato nella sezione biografica, la sua passione per l'agostinismo da un lato, e per i classici latini "liberati" dalle interpretazioni allegoriche medievali dall'altro, pongono Petrarca come l'iniziatore dell'[[Umanesimo rinascimentale|umanesimo]] che, nel corso del XV secolo, si svilupperà prima in Italia, e poi nel resto d'Europa<ref>Ricchissima la bibliografia al proposito: si ricordino i libri citati in bibliografia, tra cui {{Cita|Cappelli|titolo=L'umanesimo italiano da Petrarca a Valla}}; i saggi curati da Giuseppe Billanovich (tra cui l'opera sua più importante, {{Cita|Billanovich, 1947|titolo=Petrarca letterato}}), uno dei maggiori studiosi del Petrarca; i libri di {{Cita|Pacca}}, {{Cita|Ariani}} e {{Cita|Wilkins}}.</ref>. Nel ''De remediis utriusque fortune'', ciò che interessa maggiormente a Petrarca è l'''humanitas'', cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori più  umani della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed esistenziale intesa ad indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature<ref>{{Cita|Pacca|p. 189}} e {{Cita|Cappelli|p. 38}}</ref>. Di conseguenza, Petrarca pone al centro della sua riflessione intellettuale l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto teocentrismo (tipico della [[Medioevo|cultura medievale]]) all'antropocentrismo moderno.
 
 
 
==== Petrarca e i classici ====
 
Fondamentale, nel pensiero petrarchesco, è la riscoperta dei classici. Già conosciuti nel Medioevo, erano stati oggetto però di una rivisitazione in chiave cristiana, che non teneva quindi conto del contesto storico-culturale in cui le opere erano state scritte<ref>{{Cita|Garin|p. 21}}.</ref>. Per esempio, la figura di Virgilio fu vista come quella di un [[mago]]/[[profeta]], capace di adombrare, nell'''Ecloga IV'' delle ''Bucoliche'', la nascita di Cristo, anziché quella di Asinio Gallo, figlio del politico romano [[Gaio Asinio Pollione|Asinio Pollione]]: un'ottica che Dante accolse pienamente nel Virgilio della ''Commedia''<ref>Si veda il lungo articolo di {{Cita|Lamendola}} al riguardo, in cui si espone anche la chiave di lettura dei classici latini nel corso dell'età medioevale.</ref>. Petrarca, rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il travisamento dei classici operato fino a quel momento, ridando loro quella patina di storicità e di inquadramento culturale necessaria per stabilire con essi un colloquio costante, come fece nel libro XXIV delle ''Familiares''<ref>{{Cita|Dotti, 1987|p. 430}}.</ref>'':''
 
 
 
{{Citazione|Scrivere a Cicerone o a Seneca, celebrandone l'opera o magari deplorandone con benevolenza mancanze e contraddizioni, era per lui un modo letterariamente tangibile (e per noi assai significativo simbolicamente) di mostrare quanto a loro dovesse, quanto li sentisse, appunto, idealmente suoi contemporanei.|{{Cita|Guglielmino-Grosser|p. 182}}}}
 
 
 
Oltre alle epistole, all'''Africa'' e al ''De viris illustribus'', Petrarca operò tale riscoperta attraverso il metodo filologico da lui ideato tra il 1325 e il 1337 e la ricostruzione dell'opera [[Tito Livio|liviana]] e la composizione del ''Virgilio ambrosiano''. Altro aspetto da cui traspare questo innovativo approccio alle fonti e alle testimonianze storico-letterarie si avverte, anche, nell'ambito della [[numismatica]], della quale Petrarca è ritenuto il precursore<ref>{{Cita pubblicazione|nome=Magdi A. M.|cognome=Nassar|anno=2013|titolo=Numismatica e Petrarca: una nuova idea di collezionismo|editore=Numismatici Italiani Professionisti|città=Milano|volume=Il collezionismo numismatico italiano. Una storica e illuminata tradizione. Un patrimonio culturale del nostro Paese.|pp=47-49}}</ref>.
 
 
 
===== La ricostruzione delle ''Decadi liviane'' =====
 
[[File:Simone Martini - Petrarch's Virgil, title page - WGA21445.jpg|thumb|Primo foglio del ''Virgilio ambrosiano'' di Petrarca, miniato da Simone Martini e conservato presso la [[Pinacoteca Ambrosiana]] di [[Milano]].]]
 
Per quanto riguarda la prima opera, Petrarca decise di riunire le varie decadi (cioè i libri di cui l'opera è composta) allora conosciute (I, III e IV decade) in un unico codice, l'attuale ''codice Harleiano 2193'', conservato ora al [[British Museum]] di [[Londra]]<ref>{{Cita|Billanovich 1953|p. 313}}.</ref>. Il giovane Petrarca si dedicò a quest'opera di collazione per cinque anni, dal 1325 al 1330, grazie ad un lavoro di ricerca e di enorme pazienza<ref>Per la datazione cronologica, cfr. {{Cita|Billanovich 1953|p. 325}}: «Il Petrarca formò tra i venti e i venticinque anni il Livio Harleiano»; e ''Ivi'', p. 330: «Le scoperte e i restauri degli ''Ab Urbe condita'' eseguiti dal Petrarca sul palcoscenico europeo di Avignone press'a poco tra il 1325 e il 1330...»</ref>. Nel 1326, Petrarca prese la terza decade (tramandata da un manoscritto risalente al [[XIII secolo]]<ref name=":2">{{Cita|Cappelli|p. 42}}.</ref>), correggendola e integrandola ora con un manoscritto veronese del [[X secolo]] vergato dal dotto vescovo Raterio<ref name=":2" />, ora con una lezione conservata nella [[Biblioteca capitolare|Biblioteca Capitolare]] della [[Cattedrale di Chartres]]<ref>{{Cita|Billanovich 1953|pp. 313-314}}.</ref>, il ''Parigino Latino 5690'' acquistato dal vecchio canonico Landolfo Colonna<ref>{{Cita|Billanovich 1953|p. 325}}.</ref>, contenente anche la quarta decade<ref name=":2" />. Quest'ultima fu poi corretta su di un codice risalente al [[XIII secolo|secolo precedente]] e appartenuto al preumanista padovano [[Lovato Lovati]] (1240-1309)<ref name=":2" />. Infine, dopo aver raccolto anche la prima decade, Petrarca poté procedere a riunire gli sparsi lavori di recupero nel 1330<ref>Un riassunto veloce è esposto anche da {{Cita|Ariani|p. 63}}.</ref>.
 
===== Il ''Virgilio Ambrosiano'' =====
 
L'impresa riguardante la costruzione del ''Virgilio ambrosiano'' è invece molto più complessa. Iniziato già quand'era in vita il padre Petracco, il lavoro di collazione portò alla nascita di un codice composto di 300 fogli manoscritti che conteneva l''<nowiki/>'omnia'' virgiliana (''[[Bucoliche]]'', ''[[Georgiche]]'' ed ''[[Eneide]]'' commentati dal grammatico [[Servio Mario Onorato|Servio]] del [[VI secolo]]), al quale furono aggiunte quattro ''[[Odi (Orazio)|Odi]]'' di [[Quinto Orazio Flacco|Orazio]] e l'''[[Achilleide]]'' di [[Publio Papinio Stazio|Stazio]]<ref>{{Cita|Cappelli|p. 42}} e {{Cita|Ariani|p. 62}}.</ref>. Le vicende di tale manoscritto sono assai travagliate. Sottrattogli nel 1326 dagli esecutori testamentari del padre, il ''Virgilio ambrosiano'' verrà recuperato solo nel 1338, data in cui Petrarca commissionò al celebre pittore [[Simone Martini]] una serie di [[Miniatura|miniature]] che lo abbellirono esteticamente<ref>{{Cita|Cappelli|pp. 42-43}}.</ref>. Alla morte del Petrarca il manoscritto finì nella biblioteca dei [[Da Carrara|Carraresi]] a [[Padova]], tuttavia, nel 1388, [[Gian Galeazzo Visconti]] conquistò [[Padova]] ed il codice fu inviato, insieme ad altri manoscritti del Petrarca, a [[Pavia]], nella [[Biblioteca Visconteo-Sforzesca]] situata nel [[Castello Visconteo (Pavia)|castello di Pavia]]<ref>{{Cita|Albertini Ottolenghi|pp. 35-37}}.</ref>. Nel 1471 [[Galeazzo Maria Sforza]] ordinò al castellano di Pavia di prestare, per 20 giorni, il manoscritto allo zio [[Alessandro Sforza|Alessandro]] signore di [[Pesaro]], poi il Virgilio Ambrosiano tornò a [[Pavia]]. Nel 1499, [[Luigi XII di Francia|Luigi XII]] conquistò il [[Ducato di Milano]] e la [[biblioteca Visconteo-Sforzesca]] venne trasferita in Francia, dove ancora si conservano, nella [[Bibliothèque nationale de France]], circa 400 manoscritti provenienti da [[Pavia]]. Tuttavia il Virgilio Ambrosiano fu sottratto al saccheggio francese da un certo Antonio di Pirro. Sappiamo che a fine Cinquecento si trovava a [[Roma]], ed era di proprietà del cardinal [[Agostino Cusani (1542-1598)|Agostino Cusani]], fu poi acquistato da [[Federico Borromeo]] per l'[[Biblioteca Ambrosiana|Ambrosiana]]<ref>{{Cita|Albertini Ottolenghi|p. 37}}.</ref>.
 
 
 
''<nowiki/>''
 
 
 
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===== Legame tra ''oratio'' e ''vita'' =====
 
La forte vena morale che percorre tutte le opere petrarchesche, sia latine che volgari, tende a trasmettere un messaggio di perfezione morale: il ''Secretum'', il ''De remediis,'' le raccolte epistolari e lo stesso ''Canzoniere'' sono impregnati di questa tensione etica volta a risanare le deviazioni dell'anima attraverso la via della virtù<ref>{{Cita|Guglielmino-Grosser|p. 172}}, confrontando Dante, il quale non ha trasmesso ai posteri dati biografici della propria vita, e Petrarca, afferma che quest'ultimo «fornendoci una grande quantità di informazioni dettagliate sulla sua vita quotidiana, vere o false che siano, mira a trasmettere di sé un'immagine concreta».</ref>. Tale applicazione etica negli scritti (l'<nowiki/>''oratio''), però, deve corrispondere alla vita quotidiana (la ''vita'', appunto) se l'umanista vuole trasmettere un'etica credibile ai destinatari. Prova di questo binomio essenziale è, per esempio, la ''Familiare'' XXIV, 3 indirizzata a Marco Tullio Cicerone<ref group="N">Il ventiquattresimo libro delle ''Familiari'' è composto da lettere indirizzate a vari personaggi dell'antichità classica. Per Petrarca, infatti, gli antichi non sono lontani e irraggiungibili: la costante lettura delle loro opere fa sì che Cicerone, Orazio, Seneca, Virgilio vivano attraverso queste ultime, rendendo i rapporti tra Petrarca e i suoi ammirati scrittori classici vicini per la comunanza di sentimento.</ref>. In essa il poeta esprime, in un tono di amarezza e di rabbia al contempo, la scelta dell'oratore romano di essersi allontanato dall'''otium'' letterario di [[Tusculum|Tuscolo]] per addentrarsi nuovamente nell'agone politico dopo la morte di [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]] e schierarsi a fianco del giovane [[Augusto|Ottaviano]] contro [[Marco Antonio]], tradendo così i principi etici esposti nei suoi trattati filosofici:
 
 
 
{{Citazione|Ma qual furore a danno di Antonio ti mosse? Risponderai per l'amore alla Repubblica, che dicevi caduta in fondo. Ma se codesta fede, se amore di libertà ti sprone (come di sì grand'uomo stimare si converrebbe), ond'è che tanto fosti amico di Augusto? [... ] Io ti compiango, amico, e di sì grandi tuoi falli sento vergogna [...] Oh! Quanto era meglio ad un filosofo tuo pari nel silenzio dei campi, pensoso, come tu dici, non della breve e caduca presente vita, ma della eterna, passar tranquilla vecchiezza... |{{Cita|Fraccassetti, 5| p. 141}}}}
 
 
 
==== L'impegno "civile" del letterato ====
 
La declinazione dell'impegno morale nella vita attiva delinea una vocazione "civile" del letterato. Tale attributo, prima ancora di intendersi come impegno nella vita politica del tempo, dev'essere compreso nella sua declinazione prettamente sociale, quale impegno del letterato nell'aiutare gli uomini contemporanei a migliorarsi costantemente attraverso il dialogo e il senso di carità nei confronti del prossimo<ref>{{Cita|Dotti|p. 532}}, sulla base della ''Familiare'' I, 9, delinea il senso del messaggio umanistico lanciato da Petrarca:{{Citazione|...parlare con il proprio animo non serve: bisogna affaticarsi ''ad ceterorum utilitatem quibuscum vivimus'', per l'utilità di coloro con i quali viviamo in questa terrena società, ed è certo che con le nostre parole possiamo giovare: ''quorum animos nostris collucutionibus plurimum adiuvari posse non ambigitur'' (''Fam''. I, 9, 4). Il colloquio umano è dunque lo strumento dell'autentico processo umanistico...Sua mercé si saldano e si congiungono gli spazi più lontani...I comuni principi morali, dunque, e l'indagine costante e irreversibile sono la molla di un processo che non può aver fine se non con la morte dell'umanità medesima, e il discorso, il colloquio e la cultura ne sono il filo conduttore.}}</ref>. Oltre ai trattati morali, scritti per questo fine, si deve però anche registrare che cosa significasse per Petrarca, nella sua stessa vita, l'impegno civile. Il servizio presso i potenti di turno (i [[Colonna (famiglia)|Colonna]], i [[Da Correggio]], i [[Visconti]] e poi i [[Da Carrara]]) spinse gli amici di Petrarca ad avvertirlo della minaccia che tali regnanti avrebbero potuto costituire per la sua indipendenza intellettuale; egli, però, nella famosa ''Epistola posteritati'' (Epistola ai Posteri), ribadì la sua proclamata indipendenza dagli intrighi di corte:[[File:Altichiero, ritratto di Francesco Petrarca.jpg|thumb|[[Altichiero]], ''Ritratto di Francesco Petrarca'', dal ms. lat. 6069 f della [[Bibliothèque nationale de France|Bibliotèque Nationale de France]] ([[Parigi]]), contenente il ''De viris illustribus''<ref>{{Cita web|url=http://www.internetculturale.it/opencms/directories/ViaggiNelTesto/ariosto/print/c8.html|titolo=Viaggi nel Testo - Autori della letteratura Italiana|accesso=27 febbraio 2016|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20130624010058/http://www.internetculturale.it/opencms/directories/ViaggiNelTesto/ariosto/print/c8.html|dataarchivio=24 giugno 2013|urlmorto=sì}}</ref>''.'']]{{Citazione|I più grandi monarchi dell'età mia m'ebbero in grazia, e fecero a gara per trarmi a loro, né so perché. Questo so, che alcuni di loro parevan piuttosto essere favoriti della mia, che non favorirmi della loro dimestichezza: sì che dall'alto loro grado io molti vantaggi, ma nessun fastidio giammai ebbi ritratto. Tanto peraltro in me fu forte l'amore della mia libertà, che da chiunque di loro avesse nome di avversarla mi tenni studiosamente lontano.|{{Cita|Fracassetti, 1|p. 203}}}}
 
 
 
Nonostante l'intento autocelebrativo proprio dell'''Epistola,'' Petrarca rimarca il fatto che i potenti vollero averlo di fianco a sé per questioni di prestigio, facendo sì che il poeta finisse «per non identificarsi mai fino in fondo con le loro prese di posizioni»<ref name=":8"/>. Il legame con le corti signorili, scelte per motivazioni economiche e di protezione, gettò pertanto le basi per la figura dell'intellettuale cortigiano, modello per gli uomini di cultura nei secoli successivi<ref name=":8"/>. Se Dante, costretto a vagare per le corti dell'[[Italia centrale|Italia centro]]-[[Italia settentrionale|settentrionale]], soffrì sempre per la lontananza da Firenze<ref>Si ricordino i celebri versi di ''Pd' XVII, 58-60, in cui l'avo [[Cacciaguida]] gli profetizza la durezza dell'esilio: ''Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e 'l salir per l'altrui scale''</ref>, Petrarca fondò, con la sua scelta di vita, il modello dell'intellettuale [[cosmopolitismo|cosmopolita]], segnando così il tramonto dell'ideologia comunale che era stata fondamento della sensibilità dantesca prima, e che in parte fu propria del contemporaneo Boccaccio<ref>{{Cita|Guglielmino-Grosser|p. 175}}.</ref>.
 
 
 
==== L'''otium'' letterario ====
 
Altra caratteristica propria dell'intellettuale petrarchesco è l'''[[Ozio|otium]]'', vale a dire il riposo. Parola latina indicante, in generale, il riposo dei [[Patrizio (storia romana)|patrizi romani]] dalle attività proprie del ''negotium''<ref group="N">L'<nowiki/>''Otium'' degli antichi romani non consisteva unicamente nel riposo dagli impegni quotidiani, indicati sotto il sostantivo di ''negotium''. Per [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]], l'''otium'' non era soltanto il riposo dalle attività [[Giurisprudenza|forensi]] e politiche, ma soprattutto il ritiro nella propria intimità domestica col fine di dedicarsi alla letteratura (''[[De officiis]],'' III, 1). In questo caso, il modello petrarchesco è affine a quello [[Stoicismo|stoicheggiante]] dell'oratore romano. Si veda il riassunto operato da {{Cita|Laidlaw |pp. 42-52}} che ripercorre la concezione all'interno della letteratura latina. Per Cicerone, nello specifico si vedano le pagine {{Cita|Laidlaw|pp. 44-47}}.</ref>, Petrarca la riprende rivestendola però di un significato diverso: non più riposo assoluto, ma attività intellettuale nella tranquillità di un rifugio appartato, solitario ove potersi concentrare e portare, poi, agli uomini il messaggio morale nato da questo ritiro. Questo ritiro, come è esposto nei trattati ascetici del ''De vita solitaria'' e del ''De otio religioso'', è vicino, per sensibilità del Petrarca, ai ritiri ascetico-spirituali dei [[Padri della Chiesa]], dimostrando quindi come l'attività letteraria sia, nel contempo, fortemente intrisa di carica religiosa<ref name="Gug177">{{Cita|Guglielmino-Grosser|p. 177}}.</ref>.
 
[[File:Francesco Petrarca2.jpg|thumb|Andrea Leoni, ''statua di Francesco Petrarca'', [[Galleria degli Uffizi|Loggiato degli Uffizi]], [[Firenze]]. ]]
 
 
 
 
 
== Opere ==
 
  
==== ''L'Africa'' ====
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considerato il precursore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il ''Canzoniere'', patrocinato quale modello di eccellenza stilistica da Pietro Bembo nei primi del Cinquecento.
  
==== Il ''Bucolicum carmen'' ====
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Uomo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come ''mater'' e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e operò una rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli ''studia humanitatis'' in senso antropocentrico (e non più in chiave assolutamente teocentrica), Petrarca (che ottenne la laurea poetica a Roma nel 1341) spese l'intera sua vita nella riproposta culturale della poetica e filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima del ''Canzoniere'', infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per Laura de Noves che una storia d'amore, e in quest'ottica si deve valutare anche l'opera latina del ''Secretum''.
  
==== Le ''Epistolae metricae'' ====
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Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, diedero avvio al fenomeno del ''petrarchismo'', teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare dell'Aretino.
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==Pensiero e poetica==
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[[File:Francesco Petrarca nello studio.JPG|thumb|Anonimo, ''Francesco Petrarca nello studium'', affresco murale, ultimo quarto del secolo XIV, Reggia Carrarese, Sala dei Giganti, Padova.]]
  
==== I ''Psalmi penitentiales'' ====
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===Il messaggio petrarchesco===
  
=== Opere latine in prosa ===
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====Il concetto di ''humanitas''====
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Petrarca, fin dalla giovinezza, manifestò sempre un'insofferenza innata nei confronti della cultura a lui coeva. Come già ricordato nella sezione biografica, la sua passione per l'agostinismo da un lato, e per i classici latini "liberati" dalle interpretazioni allegoriche medievali dall'altro, pongono Petrarca come l'iniziatore dell'umanesimo che, nel corso del XV secolo, si svilupperà prima in Italia, e poi nel resto d'Europa<ref>Ricchissima la bibliografia al proposito: si ricordino i libri citati in bibliografia; i saggi curati da Giuseppe Billanovich (tra cui l'opera sua più importante), uno dei maggiori studiosi del Petrarca.</ref>. Nel ''De remediis utriusque fortune'', ciò che interessa maggiormente a Petrarca è l'''humanitas'', cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori più  umani della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed esistenziale intesa ad indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature. Di conseguenza, Petrarca pone al centro della sua riflessione intellettuale l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto teocentrismo (tipico della cultura medievale) all'antropocentrismo moderno.
  
==== Il ''De viris illustribus'' ====
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====Petrarca e i classici====
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Fondamentale, nel pensiero petrarchesco, è la riscoperta dei classici. Già conosciuti nel Medioevo, erano stati oggetto però di una rivisitazione in chiave cristiana, che non teneva quindi conto del contesto storico-culturale in cui le opere erano state scritte. Per esempio, la figura di Virgilio fu vista come quella di un mago/profeta, capace di adombrare, nell'''Ecloga IV'' delle ''Bucoliche'', la nascita di Cristo, anziché quella di Asinio Gallo, figlio del politico romano Asinio Pollione: un'ottica che Dante accolse pienamente nel Virgilio della ''Commedia''. Petrarca, rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il travisamento dei classici operato fino a quel momento, ridando loro quella patina di storicità e di inquadramento culturale necessaria per stabilire con essi un colloquio costante, come fece nel libro XXIV delle ''Familiares:''
  
==== I ''Rerum memorandarum libri'' ====
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Oltre alle epistole, all'''Africa'' e al ''De viris illustribus'', Petrarca operò tale riscoperta attraverso il metodo filologico da lui ideato tra il 1325 e il 1337 e la ricostruzione dell'opera liviana e la composizione del ''Virgilio ambrosiano''. Altro aspetto da cui traspare questo innovativo approccio alle fonti e alle testimonianze storico-letterarie si avverte, anche, nell'ambito della numismatica, della quale Petrarca è ritenuto il precursore.
  
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=====La ricostruzione delle ''Decadi liviane''=====
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[[File:Simone Martini - Petrarch's Virgil, title page - WGA21445.jpg|thumb|Primo foglio del ''Virgilio ambrosiano'' di Petrarca, miniato da Simone Martini e conservato presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano.]]
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Per quanto riguarda la prima opera, Petrarca decise di riunire le varie decadi (cioè i libri di cui l'opera è composta) allora conosciute (I, III e IV decade) in un unico codice, l'attuale ''codice Harleiano 2193'', conservato ora al British Museum di Londra. Il giovane Petrarca si dedicò a quest'opera di collazione per cinque anni, dal 1325 al 1330, grazie ad un lavoro di ricerca e di enorme pazienza<ref>Per la datazione cronologica: «Il Petrarca formò tra i venti e i venticinque anni il Livio Harleiano»; e ''Ivi'', p. 330: «Le scoperte e i restauri degli ''Ab Urbe condita'' eseguiti dal Petrarca sul palcoscenico europeo di Avignone press'a poco tra il 1325 e il 1330...»</ref>. Nel 1326, Petrarca prese la terza decade (tramandata da un manoscritto risalente al XIII secolo), correggendola e integrandola ora con un manoscritto veronese del X secolo vergato dal dotto vescovo Raterio, ora con una lezione conservata nella Biblioteca Capitolare della Cattedrale di Chartres, il ''Parigino Latino 5690'' acquistato dal vecchio canonico Landolfo Colonna, contenente anche la quarta decade. Quest'ultima fu poi corretta su di un codice risalente al secolo precedente e appartenuto al preumanista padovano Lovato Lovati (1240-1309). Infine, dopo aver raccolto anche la prima decade, Petrarca poté procedere a riunire gli sparsi lavori di recupero nel 1330.
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=====Il ''Virgilio Ambrosiano''=====
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L'impresa riguardante la costruzione del ''Virgilio ambrosiano'' è invece molto più complessa. Iniziato già quand'era in vita il padre Petracco, il lavoro di collazione portò alla nascita di un codice composto di 300 fogli manoscritti che conteneva l''<nowiki/>'omnia'' virgiliana (''Bucoliche'', ''Georgiche'' ed ''Eneide'' commentati dal grammatico Servio del VI secolo), al quale furono aggiunte quattro ''Odi'' di Orazio e l'''Achilleide'' di Stazio. Le vicende di tale manoscritto sono assai travagliate. Sottrattogli nel 1326 dagli esecutori testamentari del padre, il ''Virgilio ambrosiano'' verrà recuperato solo nel 1338, data in cui Petrarca commissionò al celebre pittore Simone Martini una serie di miniature che lo abbellirono esteticamente. Alla morte del Petrarca il manoscritto finì nella biblioteca dei Carraresi a Padova, tuttavia, nel 1388, Gian Galeazzo Visconti conquistò Padova ed il codice fu inviato, insieme ad altri manoscritti del Petrarca, a Pavia, nella Biblioteca Visconteo-Sforzesca situata nel castello di Pavia. Nel 1471 Galeazzo Maria Sforza ordinò al castellano di Pavia di prestare, per 20 giorni, il manoscritto allo zio Alessandro signore di Pesaro, poi il Virgilio Ambrosiano tornò a Pavia. Nel 1499, Luigi XII conquistò il Ducato di Milano e la biblioteca Visconteo-Sforzesca venne trasferita in Francia, dove ancora si conservano, nella Bibliothèque nationale de France, circa 400 manoscritti provenienti da Pavia. Tuttavia il Virgilio Ambrosiano fu sottratto al saccheggio francese da un certo Antonio di Pirro. Sappiamo che a fine Cinquecento si trovava a Roma, ed era di proprietà del cardinal Agostino Cusani, fu poi acquistato da Federico Borromeo per l'Ambrosiana.
  
==== Il ''Secretum'' ====
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=====Legame tra ''oratio'' e ''vita''=====
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La forte vena morale che percorre tutte le opere petrarchesche, sia latine che volgari, tende a trasmettere un messaggio di perfezione morale: il ''Secretum'', il ''De remediis,'' le raccolte epistolari e lo stesso ''Canzoniere'' sono impregnati di questa tensione etica volta a risanare le deviazioni dell'anima attraverso la via della virtù<ref>confrontando Dante, il quale non ha trasmesso ai posteri dati biografici della propria vita, e Petrarca, afferma che quest'ultimo «fornendoci una grande quantità di informazioni dettagliate sulla sua vita quotidiana, vere o false che siano, mira a trasmettere di sé un'immagine concreta».</ref>. Tale applicazione etica negli scritti (l'<nowiki/>''oratio''), però, deve corrispondere alla vita quotidiana (la ''vita'', appunto) se l'umanista vuole trasmettere un'etica credibile ai destinatari. Prova di questo binomio essenziale è, per esempio, la ''Familiare'' XXIV, 3 indirizzata a Marco Tullio Cicerone<ref group="N">Il ventiquattresimo libro delle ''Familiari'' è composto da lettere indirizzate a vari personaggi dell'antichità classica. Per Petrarca, infatti, gli antichi non sono lontani e irraggiungibili: la costante lettura delle loro opere fa sì che Cicerone, Orazio, Seneca, Virgilio vivano attraverso queste ultime, rendendo i rapporti tra Petrarca e i suoi ammirati scrittori classici vicini per la comunanza di sentimento.</ref>. In essa il poeta esprime, in un tono di amarezza e di rabbia al contempo, la scelta dell'oratore romano di essersi allontanato dall'''otium'' letterario di Tuscolo per addentrarsi nuovamente nell'agone politico dopo la morte di Cesare e schierarsi a fianco del giovane Ottaviano contro Marco Antonio, tradendo così i principi etici esposti nei suoi trattati filosofici:
  
==== Il ''De vita solitaria'' ====
 
  
==== Il ''De otio religioso'' ====
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====L'impegno "civile" del letterato====
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La declinazione dell'impegno morale nella vita attiva delinea una vocazione "civile" del letterato. Tale attributo, prima ancora di intendersi come impegno nella vita politica del tempo, dev'essere compreso nella sua declinazione prettamente sociale, quale impegno del letterato nell'aiutare gli uomini contemporanei a migliorarsi costantemente attraverso il dialogo e il senso di carità nei confronti del prossimo<ref>sulla base della ''Familiare'' I, 9, delinea il senso del messaggio umanistico lanciato da Petrarca.</ref>. Oltre ai trattati morali, scritti per questo fine, si deve però anche registrare che cosa significasse per Petrarca, nella sua stessa vita, l'impegno civile. Il servizio presso i potenti di turno (i Colonna, i Da Correggio, i Visconti e poi i Da Carrara) spinse gli amici di Petrarca ad avvertirlo della minaccia che tali regnanti avrebbero potuto costituire per la sua indipendenza intellettuale; egli, però, nella famosa ''Epistola posteritati'' (Epistola ai Posteri), ribadì la sua proclamata indipendenza dagli intrighi di corte.[[File:Altichiero, ritratto di Francesco Petrarca.jpg|thumb|Altichiero, ''Ritratto di Francesco Petrarca'', dal ms. lat. 6069 f della Bibliotèque Nationale de France (Parigi), contenente il ''De viris illustribus.'']]Nonostante l'intento autocelebrativo proprio dell'''Epistola,'' Petrarca rimarca il fatto che i potenti vollero averlo di fianco a sé per questioni di prestigio, facendo sì che il poeta finisse «per non identificarsi mai fino in fondo con le loro prese di posizioni». Il legame con le corti signorili, scelte per motivazioni economiche e di protezione, gettò pertanto le basi per la figura dell'intellettuale cortigiano, modello per gli uomini di cultura nei secoli successivi. Se Dante, costretto a vagare per le corti dell'Italia centro-settentrionale, soffrì sempre per la lontananza da Firenze<ref>Si ricordino i celebri versi di ''Pd' XVII, 58-60, in cui l'avo Cacciaguida gli profetizza la durezza dell'esilio: ''Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e 'l salir per l'altrui scale</ref>, Petrarca fondò, con la sua scelta di vita, il modello dell'intellettuale cosmopolita, segnando così il tramonto dell'ideologia comunale che era stata fondamento della sensibilità dantesca prima, e che in parte fu propria del contemporaneo Boccaccio.
  
==== Il ''De remediis utriusque fortunae'' ====
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====L'''otium'' letterario====
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Altra caratteristica propria dell'intellettuale petrarchesco è l'''otium'', vale a dire il riposo. Parola latina indicante, in generale, il riposo dei patrizi romani dalle attività proprie del ''negotium''<ref group="N">L'<nowiki/>''Otium'' degli antichi romani non consisteva unicamente nel riposo dagli impegni quotidiani, indicati sotto il sostantivo di ''negotium''. Per Cicerone, l'''otium'' non era soltanto il riposo dalle attività forensi e politiche, ma soprattutto il ritiro nella propria intimità domestica col fine di dedicarsi alla letteratura (''De officiis,'' III, 1). In questo caso, il modello petrarchesco è affine a quello stoicheggiante dell'oratore romano. </ref>, Petrarca la riprende rivestendola però di un significato diverso: non più riposo assoluto, ma attività intellettuale nella tranquillità di un rifugio appartato, solitario ove potersi concentrare e portare, poi, agli uomini il messaggio morale nato da questo ritiro. Questo ritiro, come è esposto nei trattati ascetici del ''De vita solitaria'' e del ''De otio religioso'', è vicino, per sensibilità del Petrarca, ai ritiri ascetico-spirituali dei Padri della Chiesa, dimostrando quindi come l'attività letteraria sia, nel contempo, fortemente intrisa di carica religiosa.
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[[File:Francesco Petrarca2.jpg|thumb|Andrea Leoni, ''statua di Francesco Petrarca'', Loggiato degli Uffizi, Firenze. ]]
  
==== ''Invectivarum contra medicum quendam libri IV'' ====
 
  
==== ''De sui ipsius et multorum ignorantia'' ====
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==Opere==
  
==== ''Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia'' ====
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*''L'Africa''
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*Il ''Bucolicum carmen''
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*Le ''Epistolae metricae''
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*I ''Psalmi penitentiales''
  
=== Raccolte epistolari ===
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===Opere latine in prosa===
  
=== Opere in volgare ===
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*Il ''De viris illustribus''
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*I ''Rerum memorandarum libri''
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*Il ''Secretum''
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*Il ''De vita solitaria''
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*Il ''De otio religioso''
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*Il ''De remediis utriusque fortunae''
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*''Invectivarum contra medicum quendam libri IV''
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*''De sui ipsius et multorum ignorantia''
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*''Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia''
  
==== Il ''Canzoniere'' ====
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===Raccolte epistolari===
  
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===Opere in volgare===
  
==== I ''Trionfi'' ====
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*Il ''Canzoniere''
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*I ''Trionfi''
  
  
== Note ==
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Versione attuale delle 21:33, 1 nov 2019

Francesco Petrarca. (24 ottobre 2019). Wikipedia, L'enciclopedia libera. Tratto il 1 novembre 2019, 21:33 da //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Francesco_Petrarca&oldid=108443226.


Francesco Petrarca è nato ad Arezzo il 20 luglio 1304 ed è morto ad Arquà il 19 luglio 1374.

Scrittore, poeta, filosofo e filologo.

considerato il precursore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il Canzoniere, patrocinato quale modello di eccellenza stilistica da Pietro Bembo nei primi del Cinquecento.

Uomo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e operò una rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropocentrico (e non più in chiave assolutamente teocentrica), Petrarca (che ottenne la laurea poetica a Roma nel 1341) spese l'intera sua vita nella riproposta culturale della poetica e filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima del Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per Laura de Noves che una storia d'amore, e in quest'ottica si deve valutare anche l'opera latina del Secretum.

Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, diedero avvio al fenomeno del petrarchismo, teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare dell'Aretino.

Pensiero e poetica

Anonimo, Francesco Petrarca nello studium, affresco murale, ultimo quarto del secolo XIV, Reggia Carrarese, Sala dei Giganti, Padova.

Il messaggio petrarchesco

Il concetto di humanitas

Petrarca, fin dalla giovinezza, manifestò sempre un'insofferenza innata nei confronti della cultura a lui coeva. Come già ricordato nella sezione biografica, la sua passione per l'agostinismo da un lato, e per i classici latini "liberati" dalle interpretazioni allegoriche medievali dall'altro, pongono Petrarca come l'iniziatore dell'umanesimo che, nel corso del XV secolo, si svilupperà prima in Italia, e poi nel resto d'Europa[1]. Nel De remediis utriusque fortune, ciò che interessa maggiormente a Petrarca è l'humanitas, cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori più umani della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed esistenziale intesa ad indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature. Di conseguenza, Petrarca pone al centro della sua riflessione intellettuale l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto teocentrismo (tipico della cultura medievale) all'antropocentrismo moderno.

Petrarca e i classici

Fondamentale, nel pensiero petrarchesco, è la riscoperta dei classici. Già conosciuti nel Medioevo, erano stati oggetto però di una rivisitazione in chiave cristiana, che non teneva quindi conto del contesto storico-culturale in cui le opere erano state scritte. Per esempio, la figura di Virgilio fu vista come quella di un mago/profeta, capace di adombrare, nell'Ecloga IV delle Bucoliche, la nascita di Cristo, anziché quella di Asinio Gallo, figlio del politico romano Asinio Pollione: un'ottica che Dante accolse pienamente nel Virgilio della Commedia. Petrarca, rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il travisamento dei classici operato fino a quel momento, ridando loro quella patina di storicità e di inquadramento culturale necessaria per stabilire con essi un colloquio costante, come fece nel libro XXIV delle Familiares:

Oltre alle epistole, all'Africa e al De viris illustribus, Petrarca operò tale riscoperta attraverso il metodo filologico da lui ideato tra il 1325 e il 1337 e la ricostruzione dell'opera liviana e la composizione del Virgilio ambrosiano. Altro aspetto da cui traspare questo innovativo approccio alle fonti e alle testimonianze storico-letterarie si avverte, anche, nell'ambito della numismatica, della quale Petrarca è ritenuto il precursore.

La ricostruzione delle Decadi liviane
Primo foglio del Virgilio ambrosiano di Petrarca, miniato da Simone Martini e conservato presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano.

Per quanto riguarda la prima opera, Petrarca decise di riunire le varie decadi (cioè i libri di cui l'opera è composta) allora conosciute (I, III e IV decade) in un unico codice, l'attuale codice Harleiano 2193, conservato ora al British Museum di Londra. Il giovane Petrarca si dedicò a quest'opera di collazione per cinque anni, dal 1325 al 1330, grazie ad un lavoro di ricerca e di enorme pazienza[2]. Nel 1326, Petrarca prese la terza decade (tramandata da un manoscritto risalente al XIII secolo), correggendola e integrandola ora con un manoscritto veronese del X secolo vergato dal dotto vescovo Raterio, ora con una lezione conservata nella Biblioteca Capitolare della Cattedrale di Chartres, il Parigino Latino 5690 acquistato dal vecchio canonico Landolfo Colonna, contenente anche la quarta decade. Quest'ultima fu poi corretta su di un codice risalente al secolo precedente e appartenuto al preumanista padovano Lovato Lovati (1240-1309). Infine, dopo aver raccolto anche la prima decade, Petrarca poté procedere a riunire gli sparsi lavori di recupero nel 1330.

Il Virgilio Ambrosiano

L'impresa riguardante la costruzione del Virgilio ambrosiano è invece molto più complessa. Iniziato già quand'era in vita il padre Petracco, il lavoro di collazione portò alla nascita di un codice composto di 300 fogli manoscritti che conteneva l'omnia virgiliana (Bucoliche, Georgiche ed Eneide commentati dal grammatico Servio del VI secolo), al quale furono aggiunte quattro Odi di Orazio e l'Achilleide di Stazio. Le vicende di tale manoscritto sono assai travagliate. Sottrattogli nel 1326 dagli esecutori testamentari del padre, il Virgilio ambrosiano verrà recuperato solo nel 1338, data in cui Petrarca commissionò al celebre pittore Simone Martini una serie di miniature che lo abbellirono esteticamente. Alla morte del Petrarca il manoscritto finì nella biblioteca dei Carraresi a Padova, tuttavia, nel 1388, Gian Galeazzo Visconti conquistò Padova ed il codice fu inviato, insieme ad altri manoscritti del Petrarca, a Pavia, nella Biblioteca Visconteo-Sforzesca situata nel castello di Pavia. Nel 1471 Galeazzo Maria Sforza ordinò al castellano di Pavia di prestare, per 20 giorni, il manoscritto allo zio Alessandro signore di Pesaro, poi il Virgilio Ambrosiano tornò a Pavia. Nel 1499, Luigi XII conquistò il Ducato di Milano e la biblioteca Visconteo-Sforzesca venne trasferita in Francia, dove ancora si conservano, nella Bibliothèque nationale de France, circa 400 manoscritti provenienti da Pavia. Tuttavia il Virgilio Ambrosiano fu sottratto al saccheggio francese da un certo Antonio di Pirro. Sappiamo che a fine Cinquecento si trovava a Roma, ed era di proprietà del cardinal Agostino Cusani, fu poi acquistato da Federico Borromeo per l'Ambrosiana.

Legame tra oratio e vita

La forte vena morale che percorre tutte le opere petrarchesche, sia latine che volgari, tende a trasmettere un messaggio di perfezione morale: il Secretum, il De remediis, le raccolte epistolari e lo stesso Canzoniere sono impregnati di questa tensione etica volta a risanare le deviazioni dell'anima attraverso la via della virtù[3]. Tale applicazione etica negli scritti (l'oratio), però, deve corrispondere alla vita quotidiana (la vita, appunto) se l'umanista vuole trasmettere un'etica credibile ai destinatari. Prova di questo binomio essenziale è, per esempio, la Familiare XXIV, 3 indirizzata a Marco Tullio Cicerone[N 1]. In essa il poeta esprime, in un tono di amarezza e di rabbia al contempo, la scelta dell'oratore romano di essersi allontanato dall'otium letterario di Tuscolo per addentrarsi nuovamente nell'agone politico dopo la morte di Cesare e schierarsi a fianco del giovane Ottaviano contro Marco Antonio, tradendo così i principi etici esposti nei suoi trattati filosofici:


L'impegno "civile" del letterato

La declinazione dell'impegno morale nella vita attiva delinea una vocazione "civile" del letterato. Tale attributo, prima ancora di intendersi come impegno nella vita politica del tempo, dev'essere compreso nella sua declinazione prettamente sociale, quale impegno del letterato nell'aiutare gli uomini contemporanei a migliorarsi costantemente attraverso il dialogo e il senso di carità nei confronti del prossimo[4]. Oltre ai trattati morali, scritti per questo fine, si deve però anche registrare che cosa significasse per Petrarca, nella sua stessa vita, l'impegno civile. Il servizio presso i potenti di turno (i Colonna, i Da Correggio, i Visconti e poi i Da Carrara) spinse gli amici di Petrarca ad avvertirlo della minaccia che tali regnanti avrebbero potuto costituire per la sua indipendenza intellettuale; egli, però, nella famosa Epistola posteritati (Epistola ai Posteri), ribadì la sua proclamata indipendenza dagli intrighi di corte.

Altichiero, Ritratto di Francesco Petrarca, dal ms. lat. 6069 f della Bibliotèque Nationale de France (Parigi), contenente il De viris illustribus.

Nonostante l'intento autocelebrativo proprio dell'Epistola, Petrarca rimarca il fatto che i potenti vollero averlo di fianco a sé per questioni di prestigio, facendo sì che il poeta finisse «per non identificarsi mai fino in fondo con le loro prese di posizioni». Il legame con le corti signorili, scelte per motivazioni economiche e di protezione, gettò pertanto le basi per la figura dell'intellettuale cortigiano, modello per gli uomini di cultura nei secoli successivi. Se Dante, costretto a vagare per le corti dell'Italia centro-settentrionale, soffrì sempre per la lontananza da Firenze[5], Petrarca fondò, con la sua scelta di vita, il modello dell'intellettuale cosmopolita, segnando così il tramonto dell'ideologia comunale che era stata fondamento della sensibilità dantesca prima, e che in parte fu propria del contemporaneo Boccaccio.

L'otium letterario

Altra caratteristica propria dell'intellettuale petrarchesco è l'otium, vale a dire il riposo. Parola latina indicante, in generale, il riposo dei patrizi romani dalle attività proprie del negotium[N 2], Petrarca la riprende rivestendola però di un significato diverso: non più riposo assoluto, ma attività intellettuale nella tranquillità di un rifugio appartato, solitario ove potersi concentrare e portare, poi, agli uomini il messaggio morale nato da questo ritiro. Questo ritiro, come è esposto nei trattati ascetici del De vita solitaria e del De otio religioso, è vicino, per sensibilità del Petrarca, ai ritiri ascetico-spirituali dei Padri della Chiesa, dimostrando quindi come l'attività letteraria sia, nel contempo, fortemente intrisa di carica religiosa.

Andrea Leoni, statua di Francesco Petrarca, Loggiato degli Uffizi, Firenze.


Opere

  • L'Africa
  • Il Bucolicum carmen
  • Le Epistolae metricae
  • I Psalmi penitentiales

Opere latine in prosa

  • Il De viris illustribus
  • I Rerum memorandarum libri
  • Il Secretum
  • Il De vita solitaria
  • Il De otio religioso
  • Il De remediis utriusque fortunae
  • Invectivarum contra medicum quendam libri IV
  • De sui ipsius et multorum ignorantia
  • Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia

Raccolte epistolari

Opere in volgare

  • Il Canzoniere
  • I Trionfi


Note

  1. Ricchissima la bibliografia al proposito: si ricordino i libri citati in bibliografia; i saggi curati da Giuseppe Billanovich (tra cui l'opera sua più importante), uno dei maggiori studiosi del Petrarca.
  2. Per la datazione cronologica: «Il Petrarca formò tra i venti e i venticinque anni il Livio Harleiano»; e Ivi, p. 330: «Le scoperte e i restauri degli Ab Urbe condita eseguiti dal Petrarca sul palcoscenico europeo di Avignone press'a poco tra il 1325 e il 1330...»
  3. confrontando Dante, il quale non ha trasmesso ai posteri dati biografici della propria vita, e Petrarca, afferma che quest'ultimo «fornendoci una grande quantità di informazioni dettagliate sulla sua vita quotidiana, vere o false che siano, mira a trasmettere di sé un'immagine concreta».
  4. sulla base della Familiare I, 9, delinea il senso del messaggio umanistico lanciato da Petrarca.
  5. Si ricordino i celebri versi di Pd' XVII, 58-60, in cui l'avo Cacciaguida gli profetizza la durezza dell'esilio: Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e 'l salir per l'altrui scale
  1. Il ventiquattresimo libro delle Familiari è composto da lettere indirizzate a vari personaggi dell'antichità classica. Per Petrarca, infatti, gli antichi non sono lontani e irraggiungibili: la costante lettura delle loro opere fa sì che Cicerone, Orazio, Seneca, Virgilio vivano attraverso queste ultime, rendendo i rapporti tra Petrarca e i suoi ammirati scrittori classici vicini per la comunanza di sentimento.
  2. L'Otium degli antichi romani non consisteva unicamente nel riposo dagli impegni quotidiani, indicati sotto il sostantivo di negotium. Per Cicerone, l'otium non era soltanto il riposo dalle attività forensi e politiche, ma soprattutto il ritiro nella propria intimità domestica col fine di dedicarsi alla letteratura (De officiis, III, 1). In questo caso, il modello petrarchesco è affine a quello stoicheggiante dell'oratore romano.