Cinema e poesia

Cinema e poesia

di Giuliana Legnani

Lo dico sempre nei miei seminari che ogni parola rappresenta un universo a sé stante, universo che trova la sua origine nel momento in cui gesti, movimenti labiali o gutturali non sono più sufficienti all’uomo per trasmettere la propria idea.

I gesti vengono sostituiti da semplici segni e suoni prima, da codici sonori e segni grafici più convenzionali poi, fino ad arrivare a composizioni di lettere e simboli sempre più specializzate; si arriva più tardi alla creazione di un linguaggio articolato e complesso, ancora oggi in continua evoluzione.

Legata ad immagini fuggenti, sbiadite nella nebbia o nitide come una mattina di primavera, ogni parola ci regala un sospiro, un'emozione, suscita terrore, paura, rabbia o devozione. Ogni parola trascina nel suo mondo misterioso fatto di legami, intrecci, un susseguirsi di pensieri errabondi e visioni frammentate, un film che scorre ogni frazione millesimale di secondo davanti a noi, rarefatto, sognante, erratico, irreale, onirico.

La parola è la tessera di un mosaico in una costruzione di suoni e segni a formare dei versi: la poesia.

Poesia è invenzione, composizione  ma per altri è produzione, un fare, secondo l’interpretazione della parola greca poiesis  da cui deriva. Si comprende quanto labile e sottile sia il confine di questa parola e quanto sfumati i suoi margini remoti. Si intuisce quanto ampio e vario sia il contenuto e quanta possibilità nell’uso venga lasciata agli autori.

Cinema da kinemata, in greco significa movimento.  Il movimento è un’azione, un fare, come ente sinteticamente insito nella poesia.

“Il cinema è una dimensione della parola” (Freud), e l’immagine è nella parola stessa. Tu dici ‘casa’ e il cinema te la mostra.

S’intravede un intreccio amoroso tra i due.

Mentre nel cinema le immagini si susseguono in un avvicendarsi più o meno ritmico, veloce, armonioso, romantico, terrificante, nella poesia la parola gioca un ruolo fondamentale e determinante nella creazione di ritmi, stili, espressioni metaforiche, creazione di versi armoniosi, melodiosi e sonanti.

Leggendo una poesia, il lettore vaga con la mente, prende le sue immagini e le compone seguendo i versi, sogna, pensa, costruisce e conclude le sue emozioni in un appagante silenzio meditativo. Ha srotolato la sua bobina ed ora è lì per sempre o finché non decide di liberarsene, per sempre.  

Guardando un film lo spettatore si trova immagini e parole già pronte,  composte, ma ciò non gli impedisce di pensare, collegare ciò che vede a ciò che ha nella sua mente e creare poesia, le emozioni che prova.  In modo speculare, poesia è cinema, cinema è poesia.

C'è uno scambio osmotico tra i due che ammiccano e s'intendono, in un susseguirsi d'immagini l'uno e a suon di parole l'altra.

“Il cinema è strumento di poesia con tutto ciò che questa parola può contenere di significato liberatorio, di sovversione, di soglia attraverso cui si accede al mondo meraviglioso del subconscio”, ha scritto Luis Buñuel.  Tanto cinema è poesia.

Sono poesia le frasi del film "La vita è bella", le scenografie di John Ford ne "Il grande sentiero" , il volto espressivo di Anna Magnani e i suoi aforismi, la bellezza prorompente di Sofia Loren, per citare solo alcuni esempi.

Molti poeti, dall’inizio degli anni Venti, da D’Annunzio a Gozzano, Saba, Montale, Ungaretti, Calvino,  ad oggi, hanno dibattuto e saputo dimostrare il legame tra poeti e cinema. Italo Calvino, per esempio, nel commentare alcuni versi di Montale in  Forse un mattino – tratta dalla raccolta Ossi di Seppia-, riconosce che: “La ricostruzione del mondo avviene come s’uno schermo”.

A dimostrare questo indissolubile legame profondo, che trova le sue radici in ambiti meno tangibili, ecco poesie e poeti che convivono in maniera più o meno apparente ne Il postino, dove il poeta Pablo Neruda è interpretato da Philippe Noiret, mentre il postino da Massimo Troisi;

Wystan Hugh Auden, “Funeral Blues” citata sia ne “L’attimo fuggente”, sia in “Quattro matrimoni e un funerale;

Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,

fate tacere il cane con un osso succulento,

chiudete i pianoforte, e tra un rullio smorzato

portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

Incrocino aeroplani lamentosi lassù

e scrivano sul cielo il messaggio Lui È Morto,

allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,

i vigili si mettano guanti di tela nera.

Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest,

la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,

il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;

pensavo che l'amore fosse eterno: e avevo torto.

Non servono più le stelle: spegnetele anche tutte;

imballate la luna, smontate pure il sole;

svuotatemi l'oceano e sradicate il bosco;

perché ormai più nulla può giovare.  (Traduzione di Gilberto Forti)

Ferzan Özpetek nel film “Le fate ignoranti” fa citare ai suoi personaggi la poesia “Le tue parole erano uomini” di Nâzım Hikmet, il più importante poeta turco del Novecento:

Erano tristi, amare

erano allegre, piene di speranza

erano coraggiose, eroiche

le tue parole

erano uomini.

In “Ragazze interrotte” il film di James Mangold con Winona Ryder e Angelina Jolie, viene citata “Resumé” di Dorothy Parker del 1926.

Il rasoio fa male,

il fiume è troppo basso,

l’acido è bestiale,

la droga dà il collasso,

la corda si spezza,

la pistola è proibita,

il gas puzza,

allora viva la vita.


Più recentemente, nel 2014, Mario Martone ha diretto il film “Il giovane favoloso”, biografia romantica di Giacomo Leopardi, a conferma di quanta poesia ci può stare nel cinema.

E poi Vittorio Gassman , Fellini, Benigni, Troisi, memorabili poeti, registi e attori che ben hanno saputo incarnare il connubio immagine-parola. Non ultimo e certamente il più poetico di tutti, Charlie Chaplin, che solo con le sue patetiche e pregne immagini ha dato al cinema più poesia di chiunque altro.

Parola-poesia-cinema, cinema-poesia-parola,  immagini e linguaggio che si rincorrono verso la sublimazione estetica di un universo che rimane solo tale per chi lo origina; dall’altro capo della linea il destinatario si è già perso, forse, la maggior parte di quell’universo.  

Dott.ssa Giuliana Legnani