Giovannino Guareschi

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È uno degli scrittori italiani più venduti nel mondo: oltre 20 milioni di copie,[1] nonché lo scrittore italiano più tradotto in assoluto[2].

La sua creazione più nota, anche per le trasposizioni cinematografiche, è don Camillo, il "robusto" parroco che ha come antagonista l'agguerrito sindaco Peppone, le cui vicende si svolgono in un paesello immaginario della bassa padana emiliana. Il nome del paese, Ponteratto, è presente solo nel primo racconto della serie, Don Camillo. Negli altri racconti viene sostituito con un più generico "borgo"; i film tratti dall'opera di Guareschi sono stati invece girati a Brescello e Boretto, cosicché Brescello è divenuto universalmente noto come "il paese di Don Camillo".

Biografia

Primi anni

Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi (Guareschi scherzava sempre sul fatto che un omone come lui fosse stato battezzato come "Giovannino")Template:Senza fonte nacque a Fontanelle, frazione di Roccabianca, il 1º maggio 1908, in una famiglia della classe media. Il padre, Primo Augusto Guareschi, di ideali politici legati al socialismo cristiano[3], era commerciante, mentre la madre, Lina Maghenzani, era la maestra elementare del paese.

Finite le scuole superiori, si iscrisse all'Università di Parma. Riuscì a entrare nel convitto nazionale Maria Luigia di Parma, l'antico collegio dei nobili, che offriva vitto e alloggio agli studenti universitari in difficoltà economiche, che venivano occupati come istitutori e assistenti dei convittori. Qui conobbe, nel 1922, Cesare Zavattini. L'incontro fu decisivo per lo sviluppo della sua tecnica e della sua arte.

Giovannino Guareschi a Parma negli anni trenta.

Nel 1925 l'attività del padre fallì e Guareschi non poté più continuare gli studi. Dopo aver provato alcuni lavori saltuari, entrò alla «Gazzetta di Parma», come correttore di bozze, chiamato da Zavattini, caporedattore del quotidiano. Nel 1931 entrò in redazione come aiuto-cronista (nel periodo 1927-1941 la «Gazzetta di Parma» assunse il nome di «Corriere Emiliano»), con un contratto di collaborazione fissa. Alla fine dell'anno andò a vivere da solo, in Borgo del Gesso. Aveva ventitré anni. In poco tempo fu promosso cronista, poi capo-cronista; scrisse articoli, novelle e rubriche, oltre a fare disegni (anche su temi politici).

Nel 1934 partì per il servizio militare a Potenza, dove frequentò il corso allievi ufficiali. L'anno dopo i proprietari del «Corriere» lo licenziarono per esubero di personale. Finito il corso, nel 1936 venne trasferito a Modena, dove a maggio fu promosso sottotenente di complemento. Poi ricevette un'altra proposta da Cesare Zavattini, che nel frattempo si era trasferito a Milano dalla Rizzoli Editore: quella di entrare in un giornale umoristico che stava per nascere.

Il «Bertoldo» (1936-1943)

Finito il servizio militare, Guareschi si trasferì a Milano, andando a vivere con la fidanzata Ennia Pallini (1906 - 1984) in un monolocale in via Gustavo Modena. Nel 1938 la coppia trovò un appartamento più grande in via Ciro Menotti.

Dopo un periodo di apprendistato al settimanale «Il Secolo Illustrato»[4], dal 1936 al 1943 Guareschi lavorò in una testata destinata ad un'ampia notorietà, il quindicinale «Bertoldo», rivista satirica diretta da Cesare Zavattini. Il primo numero apparve nelle edicole il 14 luglio 1936, giorno dedicato a San Camillo de Lellis. Guareschi vi collaborò inizialmente in qualità di illustratore.

Si trattava di una nuova rivista, pungente (pur nell'ambito del regime) e diretta a strati sociali medio-alti, in concorrenza con il popolarissimo bisettimanale «Marc'Aurelio». Vi collaboravano importanti giornalisti e illustratori del tempo. Dopo la partenza di Cesare Zavattini, a causa di forti contrasti interni, la direzione venne affidata a Giovanni Mosca, con Giovannino Guareschi caporedattore (febbraio 1937). In capo a tre anni la rivista divenne settimanale, con tirature di 500-600 000 copie, e primo tra tutti i giornali umoristici.[5] Fedele al suo carattere di "bastian contrario", Guareschi, contrapponendosi alla dilagante moda del momento che voleva, anche sul «Bertoldo», ubiquitarie illustrazioni di eleganti figure femminili, iniziò a disegnare la serie delle vedovone, grasse e per nulla sensuali donne d'Italia.

Il protrarsi della seconda guerra mondiale portò alla chiusura del «Bertoldo» nel settembre 1943, dopo un bombardamento anglo-americano che coinvolse la sede della Rizzoli.

La guerra

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Guareschi al tempo in cui era internato militare in Polonia e Germania.

Durante la guerra Guareschi - carattere ribelle, pronto ad attaccare senza paura o riverenza i bersagli che più gli sembravano meritevoli di critica - sotto l'effetto di una sbornia, procuratasi a causa della disperazione per la notizia (poi rivelatasi falsa) della scomparsa di suo fratello sul fronte russo, insultò e inveì a lungo contro Benito Mussolini: venne arrestato a causa di una delazione fatta da un convinto fascista che voleva farlo passare per le armi.[6] Riconosciutegli le attenuanti, nel 1943 venne condannato al richiamo nell'esercito.

Quando, l'8 settembre 1943, fu dato l'annuncio dell'armistizio dell'Italia con gli Alleati, egli si trovava in caserma ad Alessandria. Come ufficiale, col grado di tenente di artiglieria, rifiutò di combattere per la Repubblica Sociale: fu arrestato dai Tedeschi il 9 settembre e imprigionato nella Cittadella di Alessandria. Venne quindi inviato nei campi di prigionia tedeschi di Częstochowa e Beniaminów in Polonia e poi in Germania, a Wietzendorf e Sandbostel, dove rimase due anni assieme ad altri soldati italiani. Qui compose La favola di Natale, racconto musicato di un sogno di libertà nel suo Natale da prigioniero. Riguardo al duro periodo di prigionia, disse: «Non abbiamo vissuto come i bruti. Non ci siamo rinchiusi nel nostro egoismo. La fame, la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l'infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti. Non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, con un passato e un avvenire»[7]. Tornò dal lager che pesava 40 chili. In seguito, descrisse il periodo di prigionia nel Diario clandestino.

«Candido» (1945-1957)

Giovannino Guareschi nel 1945.

«Qualcuno si ostinerà a voler trovare che Candido ha vaghe tendenze destrorse, il che non è vero per niente in quanto Candido è di destra nel modo più deciso e inequivocabile»

(Dalla presentazione della rivista.)

Dopo la guerra Guareschi fece ritorno in Italia e fondò, con Giovanni Mosca e Giacinto "Giaci" Mondaini, una rivista indipendente con simpatie monarchiche, il «Candido, settimanale del sabato». Condirettore della rivista con Giovanni Mosca fino al 1950, Guareschi rimase poi unico direttore fino al 1957, anno in cui gli subentrò Alessandro Minardi[8]. Nella rivista, insieme ad altre famose penne della satira italiana, curava numerose rubriche tra cui quella a firma "Il Forbiciastro", che spigolava nella cronaca spicciola italiana.

Guareschi era rimasto un irriducibile monarchico e non lo nascondeva. In occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 sostenne apertamente la monarchia e denunciò i brogli che secondo lui avevano ribaltato l'esito del voto popolare.[9]

Oltre a fare satira, Guareschi denuncia gli omicidi politici compiuti dai partigiani comunisti nel cosiddetto "triangolo della morte"[10]:

«Noi chiamammo poco tempo fa l'Emilia "Messico d'Italia", ma ciò è ingiusto perché piuttosto si deve dire che il Messico è l'Emilia d'America. Cose terribili succedono a Castelfranco Emilia e gente ci manda lettere piene di terrore elencando assassinii. Quarantadue persone sono già state soppresse misteriosamente per cause di politica o di vendetta, in uno spazio di pochi chilometri quadrati, in piena pianura. E la gente sa, ma non parla perché ha paura.»

Nel 1948 uscì il primo romanzo su Don Camillo e Peppone. Fu il primo episodio di una saga ventennale in 346 puntate e 5 film conosciuta in tutto il mondo.

I "trinariciuti"

«Perché nel mio concetto base, la terza narice ha una sua funzione completamente indipendente dalle altre due: serve di scarico in modo da tener sgombro il cervello dalla materia grigia e permette nello stesso tempo l'accesso al cervello delle direttive di partito che, appunto, debbono sostituire il cervello. Il quale cervello, lo si vede, appartiene oramai ad un altro secolo.»

(Candido del 14-15 aprile 1947)

La profonda fede cattolica, l'attaccamento alla monarchia e il fervente anticomunismo fecero di Guareschi uno dei più acuti critici del Partito Comunista Italiano. Famosissime le sue vignette intitolate "Obbedienza cieca, pronta, assoluta", dove sbeffeggiava i militanti comunisti che lui definiva trinariciuti (vedi sopra), i quali prendevano alla lettera le direttive che arrivavano dall'alto, nonostante i chiari errori di stampa, poi corretti con la frase "Contrordine compagni!".

«Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: 'Bisogna fare opera di rieducazione dei compagni insetti', contiene un errore di stampa e pertanto va letta: 'Bisogna fare opera di rieducazione dei compagni inetti'.»

Per la celebre prima vignetta del compagno con tre narici, Togliatti lo insultò con l'appellativo di "tre volte idiota moltiplicato per tre" e definendolo "l'uomo più cretino del mondo", durante un comizio a La Spezia.[10] Per tutta risposta, Guareschi scrisse su «Candido» di ritenerlo un "ambito riconoscimento".[11]

Le elezioni del 1948 e il contributo di Guareschi

Nelle elezioni politiche del 1948 Guareschi s'impegnò moltissimo affinché fosse sconfitto il Fronte Democratico Popolare (alleanza PCI-PSI) che in un racconto definisce "Fronte Pecorale Democratico". Molti slogan, come "Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no", e il manifesto con lo scheletro di un soldato dietro i reticolati russi, che dice "100.000 prigionieri italiani non sono tornati dalla Russia. Mamma, votagli contro anche per me", furono coniati da lui.[12]

Anche dopo la vittoria della DC e dei suoi alleati, Guareschi non abbassò certo la sua penna: anzi criticò anche la Democrazia Cristiana, che a suo parere non seguiva i principi cui si era ispirata.

I processi Einaudi e De Gasperi

Guareschi con la vignetta su Einaudi pubblicata sul Candido.

Nel 1950 una vignetta pubblicata sul «Candido» (n. 25 del 18 giugno), disegnata da Carletto Manzoni, costò a Guareschi, all'epoca condirettore del settimanale, la prima condanna per vilipendio al Capo dello Stato, Luigi Einaudi[13]. La vignetta, intitolata "Al Quirinale", raffigurava una doppia fila di bottiglie con, sul fondo, la figurina di un uomo col bastone, come un grande ufficiale che passava in rassegna due schiere di corazzieri ("I corazzieri" era la didascalia della vignetta). «Candido» aveva messo in risalto il fatto che Einaudi, sulle etichette del vino di sua produzione (un Nebbiolo), permetteva che venisse messa in evidenza la sua carica pubblica di "senatore". Condannato ad otto mesi di carcere, l'esecuzione della condanna fu sospesa in quanto Guareschi era incensurato[14].

Il 15 aprile 1954 Guareschi venne condannato per il reato di diffamazione a mezzo stampa su denuncia di Alcide De Gasperi, capo del governo per oltre sette anni dal dicembre 1945 all'agosto 1953. Guareschi venne in possesso di due lettere (poi rivelatesi false) del politico trentino risalenti al 1944. In una di esse De Gasperi avrebbe chiesto agli Alleati anglo-americani di bombardare i centri nevralgici della capitale «per infrangere l'ultima resistenza morale del popolo romano» nei confronti dei fascisti e degli occupanti tedeschi[15].

Sebbene molti colleghi - come Indro Montanelli, che si rivolse ad Angelo Rizzoli, l'editore di «Candido» - avessero cercato in ogni modo di dissuaderlo dal proposito di pubblicarle, per Guareschi le missive - che egli ricevette da Emilio De Tonna, sottotenente della Guardia Nazionale Repubblicana della RSI - erano autentiche. Prima di diffonderle aveva sottoposto le lettere a una perizia calligrafica affidandosi a un'autorità in materia, il dottor Umberto Focaccia. Il 24 e il 31 gennaio 1954 le missive uscirono sul «Candido». Al processo affermò di aver agito in buona fede. Focaccia, perito dello stesso Tribunale di Milano, affermò in aula di avere effettuato un “lungo, attento e scrupoloso esame di confronto con molti altri scritti sicuramente autentici del De Gasperi…”, per poi dichiarare “in piena coscienza, di riconoscere per autentiche del De Gasperi la scrittura del testo e la firma di cui sopra”[16], con riguardo alla seconda lettera, e di riconoscere per autentica anche la firma apposta in calce alla prima[17]. Sul piano probatorio, mentre la prima lettera era dattiloscritta e risultava autografa solamente nella firma, la seconda era integralmente autografa, risultava di pochi giorni successiva alla prima ed era strettamente connessa alla precedente, anche sotto il profilo contenutistico. Il fatto che, a differenza del primo documento, fosse qui peritabile non solo una firma, ma un manoscritto interamente vergato a mano, avrebbe potuto potentemente comprovare, o al contrario demolire, le tesi di Guareschi.

Da parte sua, lo statista trentino, che aveva dapprima concesso la più ampia facoltà di prova in ordine alla genuinità dei documenti in contestazione, in seguito si smentì a più riprese attraverso il proprio difensore, l'avvocato Delitala. A giudizio del penalista, non aveva infatti senso – questa la chiave di volta del processo – effettuare perizie sui documenti[18]. Delitala fece il possibile per eludere ogni verifica sulle lettere: ben più del giudizio di altri periti, affermò l'avvocato, rilevavano, sul piano processuale, il giuramento[19] dello stesso De Gasperi e le prove - di cui una chiara, l'altra, di contro, equivocabile - fornite dai graduati inglesi che avevano sostenuto la tesi dell'onorevole democristiano[20]. Se il Tribunale proprio ritiene di non poterne fare a meno, faccia pure, ma una perizia - perorò Delitala, appellandosi “alla coscienza” dei magistrati milanesi – sconta pur sempre il rischio di un errore peritale[21], ma soprattutto l'avvocato di De Gasperi si oppose alla perizia per evitare ritardi nel processo che si svolgeva per direttissima.

Guareschi, di contro, mise argomentatamente in dubbio l'attendibilità delle dichiarazioni di provenienza britannica, facendo presente di essere sgradito al Governo inglese per la sua polemica sulla contesa di Trieste fra l'Italia e la Jugoslavia di Tito; evidenziò, ex adverso, che De Gasperi era un vecchio, fedele alleato degli angloamericani[22].

Il Tribunale di Milano non diede alcun peso a queste deduzioni e accogliendo senz'altro le richieste formulate dal difensore di De Gasperi non mostrò neppure alcuna curiosità per i documenti agli atti: negò a Guareschi l'effettuazione della perizia calligrafica e della perizia chimica; negò persino la possibilità di escutere le testimonianze potenzialmente favorevoli allo scrittore in ordine alla provenienza e all'attendibilità dei documenti attribuiti a De Gasperi, tra cui anche quelle di persone vicine allo stesso De Gasperi, come Giulio Andreotti[23]. La motivazione del Collegio giudicante in ordine alle perizie, fu la seguente: «le richieste perizie chimiche e grafiche si appalesano del tutto inutili, essendo la causa sufficientemente istruita ai fini del decidere»[23]. Il 15 aprile Guareschi fu condannato in primo grado a dodici mesi di carcere. De Gasperi commentò: «Sono stato in galera anch'io e ci può andare anche Guareschi». Che non presentò ricorso in appello poiché ritenne di avere subito un'ingiustizia:

«No, niente Appello. Qui non si tratta di riformare una sentenza, ma un costume. (...) Accetto la condanna come accetterei un pugno in faccia: non mi interessa dimostrare che mi è stato dato ingiustamente.[23]»

Prese la via della galera, così come, è lui stesso a dirlo, aveva preso quella del lager per non avere voluto collaborare con il fascismo e il nazionalsocialismo[24]. Commentando la condanna, il padre di don Camillo e Peppone si affidò ad una citazione di dantesca memoria, “E il modo ancor mi offende”[25].

Dopo il primo processo, un altro collegio, che doveva pronunciarsi per il reato di "falso", decise la distruzione del corpo del reato, cioè delle lettere originali[26]. Divenuta esecutiva la sentenza, alla pena fu accumulata anche la precedente condanna ricevuta nel 1950 per vilipendio al Capo dello Stato.

Nel 2014, studiando i documenti rimasti con l'esperta Nicole Ciacco, lo storico Mimmo Franzinelli ha concluso che le lettere furono sicuramente dei falsi (anche se probabilmente Guareschi ne fu ingannato, così come Focaccia[27]). Lo confermano la presenza di errori grossolani: il protocollo indicato nella lettera del 12 gennaio 1944 (297/4/55) non corrispondeva ai criteri di protocollo della Segreteria di Stato Vaticana; il colonnello inglese Bonham Carter e il generale britannico Harold Alexander avevano escluso categoricamente che quelle presunte lettere fossero mai pervenute agli inglesi; infine, De Gasperi non lavorava più alla Segreteria Vaticana dal luglio 1943 ed è dunque impossibile che abbia protocollato lettere nel 1944.[28]

Successivamente al processo, l'ideatore della campagna diffamatoria versus De Gasperi e della produzione delle false lettere fu individuato nel tenente Enrico De Toma, di simpatie neofasciste[27], che riuscì a sfuggire all'arresto nel novembre 1954, scappando in Sud America dall'aeroporto parigino di Orly.[29] De Gasperi era ormai morto lo stesso anno, poco dopo la fine del processo.

Il 26 maggio 1954 Guareschi venne recluso nel carcere di San Francesco del Prato a Parma, dove rimase per 409 giorni. Lo scrittore uscì dal carcere il 4 luglio 1955[30]. Ottenne per buona condotta il beneficio della libertà vigilata per sei mesi, con l'obbligo di risiedere presso la sua abitazione di Roncole. Sempre per coerenza, rifiutò in ogni momento di chiedere la grazia. Dalla nascita della Repubblica, Guareschi è stato il primo e unico giornalista italiano a scontare interamente una pena detentiva in carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa.[31]

Nel 1956, segnato nel fisico e nell'animo dalla reclusione nel carcere di Parma, le condizioni di salute di Guareschi si erano deteriorate ed egli iniziò a trascorrere lunghi periodi al Kurhaus di Cademario in Svizzera per curarsi.

Dopo il «Candido»

«Arrivato sul finire del 1963, tiro le somme e mi accorgo che, mentre io continuo ad avere soltanto due anni in meno di mia moglie, mio figlio e mia figlia sono arrivati ad avere rispettivamente 32 e 35 anni meno di me. Cosa che, anche solo dieci anni fa, era profondamente diversa.»

(Giovannino Guareschi)

Nel 1957 Guareschi si ritirò da direttore del «Candido», rimanendo tuttavia collaboratore della rivista.
Nel giugno 1961 fu colto da un infarto, da cui si riprese con fatica. Il 7 ottobre dello stesso anno uscì il quarto film della famosa saga di don Camillo: Don Camillo monsignore... ma non troppo. Il film era prodotto dalla Cineriz di Angelo Rizzoli, che era anche editore del «Candido». Lo scrittore giudicò la sceneggiatura lontanissima dallo spirito del romanzo. Ne nacque una dura discussione con Rizzoli. Il dissidio non si ricompose: pertanto Guareschi decise di interrompere definitivamente la collaborazione al «Candido»[32]. Successivamente Rizzoli chiuse il settimanale.

Dopo la chiusura del suo settimanale, Guareschi ebbe difficoltà nel trovare delle nuove collaborazioni. Si fece avanti solo Nino Nutrizio, direttore del quotidiano milanese del pomeriggio «La Notte». Guareschi rispose favorevolmente alla sua proposta di lavoro:

«Ritengo «La Notte» l'ultima isola di resistenza rimasta in campo nemico e mi auguro, come italiano, come giornalista e come amico, che tu possa ancora resistere ai "liberatori" di Milano.»

Accettò anche la proposta di collaborare al settimanale «Oggi», sul quale tenne una rubrica di critica televisiva, intitolata "Telecorrierino delle famiglie" (1962-1966) [33]. Dal 1963 iniziò a collaborare con «Il Borghese» di Mario Tedeschi con disegni e articoli.

Negli stessi anni Papa Giovanni XXIII chiese a Guareschi di collaborare alla stesura del nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica. Guareschi declinò cortesemente l'invito non ritenendosi degno di tale onore[34]. Prese una radicale posizione di contrarietà verso i governi di centrosinistra, ovvero verso quell'alleanza tra DC e PSI detta centro-sinistra "organico" che, a partire dalla metà degli anni Sessanta, doveva improntare per oltre un ventennio la politica italiana.

Guareschi realizzò anche, con l'aiuto di Gianna Preda, caporedattrice del «Borghese», il film La rabbia. L'opera era divisa in due parti: la prima curata da Pier Paolo Pasolini, la seconda dallo stesso Guareschi. Film molto particolare, fu essenzialmente un documentario in bianco e nero, montato con materiale di repertorio tratto dai cinegiornali e con fotografie su un preciso interrogativo: "Perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza, dall'angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra?". Il film venne travolto subito dalle polemiche, Pasolini ritirò la firma, il film fu rapidamente tolto dalla circolazione per poi essere dimenticato per decenni. Commentò Guareschi: "Se la figura del fesso l'avessi fatta io, quel film avrebbero fatto in modo di proiettarlo anche ai pinguini dell'Alaska"[35].

Nel 1968 gli fu riproposta la direzione del «Candido» da parte di Giorgio Pisanò ma prima di poter ricominciare morì a causa di un secondo fatale attacco cardiaco, lunedì mattina 22 luglio, nella sua piccola residenza estiva a Cervia. I funerali di Guareschi, svoltisi con la bara avvolta dalla bandiera monarchica con lo stemma di Casa Savoia, furono disertati da tutte le autorità ufficiali del mondo politico e intellettuale, a parte Angelo Tonna, il sindaco socialista di Fontanelle di Roccabianca, il paese natale di Guareschi. A rendere l'estremo saluto furono, oltre ai figli Alberto e Carlotta (la moglie Ennia non se la sentì) e agli amici di paese, c'erano pochi personaggi noti: il direttore della Gazzetta di Parma Baldassarre Molossi, Giovanni Mosca, Carlo Manzoni, Nino Nutrizio, Enzo Biagi, Enzo Ferrari. Fu seppellito al piccolo camposanto di Roncole Verdi sotto una fitta pioggia. A Guareschi, scrittore italiano tra i più venduti e letti al mondo, la Rai dedicò pochi secondi; i giornali relegarono notizie e servizi nelle pagine interne, mentre «l'Unità» si distinse per un commento velenoso: scrisse di "melanconico tramonto dello scrittore che non era mai nato". Unica voce controcorrente la «Gazzetta di Parma»: parlò di "Italia meschina e vile"[36].

Guareschi e il potere

Il conflittuale rapporto di Guareschi con il potere costituito ha sempre dato adito a controversie. Quello che è certo è che il suo carattere irriverente, irruente e sanguigno gli abbia procurato sovente dei guai con le istituzioni.

Non c'è dubbio che egli dovette sopportare da un lato l'ostracismo prevedibile della sinistra, data la sua dichiarata ostilità alle idee e alla visione politica del partito comunista; dall'altro è evidente l'assoluta mancanza di riconoscenza da parte di chi la sua penna aveva numerose volte enormemente favorito, ovvero il centrismo cattolico rappresentato in Italia dalla DC. I rapporti con il fascismo furono ugualmente alternanti e dibattuti. Probabilmente, gestire uno spazio satirico sotto un regime autoritario avrebbe in ogni caso richiesto un sottile gioco di compromessi per sopravvivere.

Nel periodo delle vicende giudiziarie del primissimo secondo dopoguerra, «Azione giovanile», rivista della Gioventù italiana di Azione Cattolica, titolò un'intera pagina con: "Guareschi ovvero lo scarafaggio". A corredo dell'articolo la foto di una mano con uno scarafaggio con la didascalia: Quando certi individui ti danno la mano ti succede di provare un senso di ribrezzo.

Umberto II di Savoia dall'esilio lo insignì dell'onorificenza di Grand'Ufficiale della Corona d'Italia.[23]

Dissero di lui

Targa ricordo nel centro di Parma

«Per comporre la biografia civile di Guareschi bisogna riconoscere i suoi tre paradossi: dopo due anni nei campi di concentramento nazisti, passò per un fascista; dopo aver vinto la battaglia nel '48, appoggiando la Dc di De Gasperi, finì in galera per la querela del medesimo De Gasperi; dopo aver umanizzato i comunisti, fondò il settimanale più efficace nella lotta al comunismo e là scrisse il primo libro nero del comunismo.»

(Marcello Veneziani, Prefazione a Marco Ferrazzoli, Non solo Don Camillo, edizioni L'uomo libero.)

Secondo alcuni critici, Template:Citazione necessaria

Opere

La saga Mondo piccolo

Altre opere

Programmi radio Rai

  • Signori, entra la corte! (radio-processo settimanale con radiogiuria popolare), 1948.

Filmografia

Onorificenze

Grand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Grand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia

Note

  1. Pier Mario Fasanotti, "Il coraggio di Guareschi", Liberal, 26 aprile 2008, pag. 8.
  2. Per un elenco degli idiomi in cui Guareschi è stato tradotto, cfr. il libro di Guido Conti citato in bibliografia.
  3. Giovannino, che sarà sempre su posizioni opposte, dichiararerà di commuoversi ascoltando l'Inno dei lavoratori
  4. G. C. Ferretti, G. Iannuzzi, Storie di uomini e libri, minimum fax, Roma 2014.
  5. dati della fondazione Mondadori
  6. La storia di Giovannino senza paura (1940-1943)
  7. Michele Brambilla, «Un candido reazionario. Cinquant'anni fa moriva Giovannino Guareschi. L'italiano più tradotto all'estero andò quasi solo al cimitero», Il Foglio Quotidiano, 7-8 luglio 2018, p.IX
  8. Alberto e Carlotta Guareschi, «Giovannino Guareschi - Note Bibliografiche», in Giovannino Guareschi, Don Camillo, Guareschi. Opere, 1 Don Camillo, Rizzoli-Corriere della Sera, Milano 2014
  9. Vignette dedicate a Umberto II
  10. 10,0 10,1 Le duecento parole di Guareschi
  11. Ambito riconoscimento, dalla rubrica "Giro d'Italia"
  12. Gian Luigi Falabrino, I comunisti mangiano i bambini La storia dello slogan politico, Vallardi, 1994, ISBN 88-11-90425-0.
  13. Mario Bozzi Sentieri, Dal neofascismo alla nuova destra. Le riviste 1944-1994, Roma, Nuove Idee. Pag. 30.
  14. Vincenzo Pezzella, La diffamazione: responsabilità penale e civile, 2009, p. 564
  15. L'opera postuma “Chi sogna nuovi gerani”, edita nel 1993 per i tipi della BUR, riporta numerosissimi stralci degli articoli di stampa del tempo e degli atti del processo che vide Guareschi condannato per la diffamazione dell'onorevole De Gasperi.
  16. Ibidem, pag. 355.
  17. Ibidem, pag. 344.
  18. Pagg. 425, 443, 445, op. cit.
  19. A favore di se medesimo.
  20. Ibidem pag. 445.
  21. Ibidem, pag. 445.
  22. Ibidem, pag. 436.
  23. 23,0 23,1 23,2 23,3 Tesi di laurea sul processo a Guareschi di Sacha Emiliani.
  24. Ibidem pag. 457.
  25. Ibidem, pag. 455.
  26. Giovanni Lugaresi, «La Voce di Romagna», 14 gennaio 2011.
  27. 27,0 27,1 Guareschi e De Gasperi, galantuomini contro
  28. Mimmo Franzinelli, Bombardate Roma!, Milano, Mondadori, 2014.
  29. M. Franzinelli, Bombardate Roma!, Milano, Mondadori, 2014, p. 122-130.
  30. Mario Bozzi Sentieri, op.cit., pagg. 30-31.
  31. Sallusti rischia l'arresto e 14 mesi di carcere per un articolo scritto da un altro
  32. Egidio Bandini su «Libero» del 5 marzo 2014.
  33. Vedi: Affaritaliani.libero.it[collegamento interrotto]
  34. Alessandro Gnocchi, Il catechismo secondo Guareschi, Milano Edizioni Piemme, 2003. ISBN 978-88-384-6595-6.
  35. Alberto Mazzuca, Penne al vetriolo, Bologna, Minerva, 2017, pp. 266-267.
  36. Alberto Mazzuca, op.cit. pp. 340-341.

Bibliografia

  • Gian Franco Venè, Don Camillo, Peppone e il compromesso storico, Sugarco, 1977
  • Beppe Gualazzini, Guareschi, Editoriale Nuova, 1981
  • AA, VV, Giovannino Guareschi e il suo mondo, Antologia per le Medie di Cassinotti, Gilli, Airoldi (Atlas, Bg), 1991
  • Alberto & Carlotta Guareschi, Chi sogna nuovi gerani? Autobiografia Giovannino Guareschi (dalle sue carte, riordinate dai figli), RCS Libri, Rizzoli, Milano 1993
  • Alberto & Carlotta Guareschi, Milano '36-'43: Guareschi e il Bertoldo, RCS Libri, Rizzoli, Milano 1994
  • Alberto & Carlotta Guareschi, Fantasie della Bionda, RCS Libri, Rizzoli, Milano 1995
  • Alberto & Carlotta Guareschi, La famiglia Guareschi. Racconti di una famiglia qualunque, 1939-1952. Rizzoli, 2010.
  • Alberto & Carlotta Guareschi, La famiglia Guareschi. Racconti di una famiglia qualunque II, 1952-1968. Rizzoli, 2010.
  • Marco Ferrazzoli, Guareschi. L'eretico della risata, Costantino Marco, Cosenza, 2001, ISBN 8885350801
  • Giorgio Torelli, I baffi di Guareschi, Àncora, 2006, ISBN 9788851404055
  • Stefano Beltrami, Elena Bertoldi, Bicarbonato e mentine. Giovannino Guareschi, l'amico dei giorni difficili, GAM Editore, 2007, ISBN 9788889044339
  • Guido Conti, Giovannino Guareschi. Biografia di uno scrittore, Rizzoli, 2008, ISBN 9788817019491
  • Giorgio Casamatti, Guido Conti, Giovannino Guareschi, nascita di un umorista. Bazar e la satira a Parma dal 1908 al 1937. MUP, Parma 2008
  • Riccardo F. Esposito, Don Camillo e Peppone. Cronache cinematografiche dalla Bassa Padana 1951-1965, Le Mani - Microart's, Recco, 2008 ISBN 9788880124559.
  • Marco Ferrazzoli, Non solo Don Camillo, l'Uomo Libero, Arco, 2008
  • Giuliano Guareschi Montagna, Una vita per mio padre, Giovannino Guareschi (cartonato alla olandese), 1ª ed., Reggio Emilia, Diabasis, aprile 2009, p. 256, ISBN 978-88-8103-545-8. (versione digitalizzata)
  • Giuseppe Polimeni, a cura di, Camminare su e giù per l'alfabeto. L'italiano tra Peppone e don Camillo, Edizioni Santa Caterina, Pavia, 2010
  • Ubaldo Giuliani-Balestrino Il Carteggio Churchill-Mussolini alla luce del processo Guareschi Settimo Sigillo, 2010.
  • Mario Bussoni, A spasso con Don Camillo. Guida al mondo piccolo di Giovannino Guareschi, Mattioli 1885, Fidenza 2010, ISBN 978-88-6261-127-5.
  • Alberto Mazzuca, Penne al vetriolo. I grandi giornalisti raccontano la Prima Repubblica, Minerva, Bologna, 2017. ISBN 978-88-7381-849-6.
  • Ubaldo Giuliani, Guareschi aveva ragione, I libri del borghese, Roma, 2018.
  • Giulio Vignoli, Repubblica Italiana. Dai brogli e dal Colpo di Stato del 1946 ai giorni nostri. Settimo Sigillo, II ed., Roma, 2018, passim.

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