Francesco Petrarca: differenze tra le versioni

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Francesco Petrarca è nato ad Arezzo il 20 luglio 1304 ed è morto ad Arquà il 19 luglio 1374.
'''Francesco Petrarca''' è nato ad Arezzo il 20 luglio 1304 ed è morto ad Arquà il 19 luglio 1374.


Scrittore, poeta, filosofo e filologo.
Scrittore, poeta, filosofo e filologo.
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[[File:Francesco Petrarca2.jpg|thumb|Andrea Leoni, ''statua di Francesco Petrarca'', [[Galleria degli Uffizi|Loggiato degli Uffizi]], [[Firenze]]. ]]
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=== Dante e Petrarca ===
{{Vedi anche|Influenza culturale di Dante Alighieri#Petrarca e Boccaccio}}Dalle considerazioni fatte, emerge chiaramente la profonda differenza esistente tra Petrarca e Dante: se il primo è un uomo che supera il teocentrismo medievale incentrato sulla Scolastica in nome del recupero agostiniano e dei classici "depurati" dall'interpretazione allegorica cristiana indebitamente appostavi dai commentatori medievali, Dante mostra invece di essere un uomo totalmente medievale. Oltre alle considerazioni filosofiche, i due uomini sono antitetici anche per la scelta linguistica cui legare la propria fama, per la concezione dell'amore, per l'attaccamento alla patria. Illuminante sul sentimento che Petrarca nutrì per l'Alighieri è la ''Fam.'' XXI, 15, scritta in risposta all'amico Boccaccio, incredulo delle dicerie secondo cui Petrarca odiasse Dante. In tale lettera, Petrarca afferma che non può odiare qualcuno che egli conobbe appena e che affrontò con onore e sopportazione l'esilio, ma prende le distanze dall'ideologia dantesca, esprimendo il timore di essere "influenzato" da un così grande esempio poetico se avesse deciso di scrivere liriche in volgare, liriche che sono facilmente sottoposte allo storpiamento da parte del volgo<ref>{{Cita|Fracassetti, 4|pp. 390-411}}; {{Cita|Pulsoni|pp. 155-208}}</ref>.


== Opere ==
== Opere ==


=== Opere latine in versi ===
==== ''L'Africa'' ====
==== ''L'Africa'' ====
{{Vedi anche|Africa (Petrarca)}}
[[File:Ritratto di francesco petrarca, altichiero, 1376 circa, padova.jpg|thumb|[[Altichiero]], ''Ritratto di Francesco Petrarca'' (in primo piano) ''e di Lombardo della Seta'', particolare tratto dall'affresco rappresentante l'episodio di ''San Giorgio battezza re Servio di Cirene'', [[Oratorio di San Giorgio (Padova)|Oratorio di San Giorgio]], 1376, Padova<ref>{{Cita web|cognome=g.pizzimenti@glauco.it|nome=Giuseppe Pizzimenti -|url=http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/scheda.jsp?decorator=layout_S2&apply=true&tipo_scheda=OA&id=6109&titolo=Altichiero%250A%2509%2509%2509%250A%2509%2509+++++%252c+San+Giorgio+battezza+Servio+re+di+Cirene|titolo=FONDAZIONE ZERI {{!}} CATALOGO : Opera : Altichiero , San Giorgio battezza Servio re di Cirene|accesso=29 febbraio 2016|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160305225057/http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/scheda.jsp?decorator=layout_S2&apply=true&tipo_scheda=OA&id=6109&titolo=Altichiero%250A%2509%2509%2509%250A%2509%2509+++++%252c+San+Giorgio+battezza+Servio+re+di+Cirene|dataarchivio=5 marzo 2016}}</ref>.]]
Scritto fra il 1339 e il 1342 e in seguito corretto e ritoccato, ''Africa'' è un poema epico che tratta della [[seconda guerra punica]] e in particolare delle gesta di [[Publio Cornelio Scipione|Scipione]]. Rimasto incompiuto, è formato da nove libri, mentre avrebbe dovuto essere composto di 12 libri, secondo il modello dell''<nowiki/>'Eneide'' virgiliana<ref>Si veda, per maggiori informazioni, {{Cita|Pacca|pp. 45-54}}.</ref>.


==== Il ''Bucolicum carmen'' ====
==== Il ''Bucolicum carmen'' ====
{{Vedi anche|Bucolicum carmen}}
 
Composto fra il 1346 e il 1358 e costituito da dodici [[Egloga|egloghe]], gli argomenti spaziano fra amore, politica e morale. Anche in questo caso, l'ascendenza virgiliana è evidente dal titolo, che richiama fortemente lo stile e gli argomenti delle ''[[Bucoliche]]''. Attualmente, la lezione del ''Bucolicum'' petrarchesco è riportata dal codice Vaticano lat. 3358<ref>Per maggior informazioni, si veda il saggio di {{Cita|Fenzi}}.</ref>.
==== Le ''Epistolae metricae'' ====
==== Le ''Epistolae metricae'' ====
{{Vedi anche|Epistolae metricae}}
Scritte fra il 1333 e il 1361 e dedicate all'amico [[Barbato da Sulmona]], sono 66 lettere in [[Esametro dattilico|esametri]], di cui alcune trattano d'amore, mentre per la maggior parte si occupano di politica, morale o di materie letterarie<ref>Si veda il saggio di {{Cita|Dotti}} sulle ''Epistolae metricae''.</ref>.


==== I ''Psalmi penitentiales'' ====
==== I ''Psalmi penitentiales'' ====
Scritti nel 1347, Petrarca ne accenna nella ''Sen.'' X, 1 a Sagremor de Pommiers. Sono una raccolta di sette preghiere basate sul modello stilistico-linguistico dei [[Salmi|salmi davidici]] della [[Bibbia]], in cui Petrarca chiede perdono per i suoi peccati e aspira al perdono della Misericordia divina<ref>{{Cita|Pacca|pp. 131-132}}.</ref>.
 
=== Opere latine in prosa ===
=== Opere latine in prosa ===
[[File:Petrarch, De viris illustribus, Paris Lat. 5784.jpg|thumb|Petrarca, ''De viris illustribus'', [[Autografo|codice autografo]] custodito alla [[Bibliothèque nationale de France|Bibliothèque Nationale de France]] di Parigi, classificato come MS Lat. 5784, fol. 4r.]]


==== Il ''De viris illustribus'' ====
==== Il ''De viris illustribus'' ====
{{Vedi anche|De viris illustribus (Petrarca)}}
 
Il ''De viris illustribus'' è una raccolta di 36 biografie di uomini illustri in prosa latina, redatta a partire dal 1338 e dedicata a [[Francesco I da Carrara]] signore di Padova nel 1358. Nell'intenzione originale dell'autore l'opera doveva trattare la vita di personaggi della storia di Roma da [[Romolo]] a [[Tito (imperatore romano)|Tito]], ma arrivò solo fino a [[Nerone]]. In seguito Petrarca aggiunse personaggi di tutti i tempi, cominciando da [[Adamo]] e arrivando a [[Ercole]]. L'opera rimase incompiuta e fu continuata dall'amico e discepolo padovano di Petrarca, [[Lombardo della Seta]], fino alla vita di [[Traiano]]<ref>{{Cita|Pacca|pp. 36-45}}.</ref>.
==== I ''Rerum memorandarum libri'' ====
==== I ''Rerum memorandarum libri'' ====
{{Vedi anche|Rerum memorandarum libri}}
 
I ''Rerum memorandarum libri'' (''Libri delle gesta memorabili'') sono una raccolta di esempi storici e aneddoti a scopo d'educazione morale in prosa latina, basati sui ''Factorum et dictorum memorabilium libri'' dello scrittore latino [[Valerio Massimo]]<ref name="Fer14">{{Cita|Ferroni|p. 14}}.</ref>. Iniziati verso il 1343 in Provenza, furono continuati fino al 1345, allorché Petrarca scoprì le orazioni ciceroniane a Verona, e ne fu indotto al progetto delle ''Familiares''. Difatti, furono lasciati incompiuti dall'autore, che ne scrisse soltanto i primi 4 libri e alcuni frammenti del quinto libro<ref>{{Cita|Amaturo|pp. 117-119}}.</ref>.


==== Il ''Secretum'' ====
==== Il ''Secretum'' ====
{{Vedi anche|Secretum}}
 
[[File:Secretum.jpg|thumb|Petrarca, ''Secretum'', Grootseminaire ([[Bruges]]), tratto dal MS 113/78 fol. Ir., realizzato nel 1470 per Jan Crabble.]]
Il ''Secretum'' o ''De secreto conflictu curarum mearum'' è una delle opere più celebri di Petrarca e fu composta tra il 1347 e il 1353, anche se in seguito fu riveduta. Articolato come un dialogo immaginario in tre libri tra il poeta stesso (che si fa chiamare semplicemente ''Francesco'') e [[Agostino d'Ippona|sant'Agostino]], alla presenza di una donna muta che simboleggia la Verità, il ''Secretum'' consiste in una sorta di esame di coscienza personale nel quale si affrontano temi intimi del poeta, da cui il titolo dell'opera. Come emerge però nel corso della trattazione, Francesco non si mostra mai del tutto contrito dei suoi peccati (l'[[accidia]] e l'[[Lussuria|amore carnale]] per Laura): al termine dell'esame egli non risulterà guarito o pentito, dando così forma a quell'irrequietezza d'animo che contraddistinse la vita del Petrarca<ref>{{Cita|Cappelli|p. 49}}.</ref>.
==== Il ''De vita solitaria'' ====
==== Il ''De vita solitaria'' ====
{{Vedi anche|De vita solitaria}}
 
Il ''De vita Solitaria'' ("La vita solitaria") è un trattato di carattere religioso e morale. Fu elaborato nel 1346, ma venne successivamente ampliato nel 1353 e nel 1366. L'autore vi esalta la solitudine, tema caro anche all'ascetismo medioevale, ma il punto di vista con cui la osserva non è strettamente religioso: al rigore della vita monastica Petrarca contrappone l'isolamento operoso dell'intellettuale, dedito alle letture e alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e di altri intellettuali. L'isolamento dello studioso in una cornice naturale che favorisce la concentrazione è l'unica forma di solitudine e di distacco dal mondo che Petrarca riuscì a conseguire, non considerandola in contrasto con i valori spirituali cristiani, in quanto riteneva che la saggezza contenuta nei libri, soprattutto nei testi classici, fosse in perfetta sintonia con quelli. Da questa sua posizione è derivata l'espressione di "umanesimo cristiano" di Petrarca<ref name="Gug177" />.
==== Il ''De otio religioso'' ====
==== Il ''De otio religioso'' ====
{{Vedi anche|De otio religioso}}
Redatto all'incirca tra il 1347 e il 1356/57, il ''De otio religioso'' è un'esaltazione della vita monastica, dedicata al fratello Gherardo. Simile al ''De vita solitaria'', esalta però soprattutto la solitudine legata alle regole degli ordini religiosi, definita come la migliore condizione di vita possibile<ref name="Fer14" />.


[[File:Petrarch-ranks-of-man-remediis-milan-braidense-ad-xiii-30-f1-c1400.jpg|thumb|Foglio manoscritto riportante il ''De Remediis Utriusque Fortune'' di Francesco Petrarca, databile intorno al [[1400]] e conservato attualmente nella [[Biblioteca Nazionale Braidense]], MS AD XIII 30. Attribuito al miniatore [[Pietro da Pavia|Fra Pietro da Pavia]], il dipinto rappresenta le varie categorie sociali degli uomini.]]
==== Il ''De remediis utriusque fortunae'' ====
==== Il ''De remediis utriusque fortunae'' ====
{{Vedi anche|De remediis utriusque fortunae}}
Il ''De remediis'' è una raccolta di brevi dialoghi scritti in prosa latina, redatta all'incirca tra il 1356 e il 1366, anno in cui fu diffusa. Basata sul modello del ''De remediis fortuitorum'', trattato pseudo-senechiano composto nel Medioevo, l'opera è composta da 254 scambi di battute tra entità allegoriche: prima il "Gaudio" e la "Ragione", poi il "Dolore" e la "Ragione". Simile ai precedenti ''Rerum memorandarum libri'', questi dialoghi hanno scopi educativi e moralistici, proponendosi di rafforzare l'individuo contro i colpi della fortuna sia buona che avversa<ref>{{Cita|Ferroni|pp. 14-15}}.</ref>. Il ''De remediis'' riporta anche una delle più esplicite condanne della cultura trecentensca da parte del Petrarca, vista come sciocca e superflua:


{{Citazione|Perché persista pienamente l'integrità degli scrittori antichi, chi tra i copisti guarirà ogni cosa dall'ignoranza, dall'inerzia, dalla rovina e dal caos? Per il timore di ciò si indebolirono, come prevedo, molti celebri ingegni dalle grandi opere, e quest'epoca indolentissima permette ciò, dedita alla culinaria, ignorante delle lettere e che valuta i cuochi, e non i copisti.|{{Cita|Petrarca|cap. 43}}|Ut ad plenum auctorum constet integritas, quis scriptorum inscitie inertieque medebitur corrumpenti omnia miscentique? Cuius metu multa iam, ut auguror, a magnis operibus clara ingenia refrixerunt meritoque id patitur ignavissima etas hec, culine sollicita, literarum negligens et coquos examinans, non scriptores.|lingua=la}}
==== ''Invectivarum contra medicum quendam libri IV'' ====


==== ''Invectivarum contra medicum quendam libri IV'' ====
{{Vedi anche|Invectivarum contra medicum quendam libri IV}}
L'occasione per la scrittura di questa serie di accuse nei confronti dei medici fu la malattia che colpì papa Clemente VI nel 1352. Nella ''Fam.'' V, 19, Petrarca consigliava al pontefice di non fidarsi dei suoi archiatri, accusati di essere dei ciarlatani dalle idee contrastanti fra di loro. Davanti alle forti rimostranze dei medici pontifici nei confronti di Petrarca, questi scrisse quattro libri di accuse, una copia dei quali fu inviata poi al Boccaccio nel 1357<ref>{{Cita|Pacca|pp. 163-167}}.</ref>.
==== ''De sui ipsius et multorum ignorantia'' ====
==== ''De sui ipsius et multorum ignorantia'' ====
{{Vedi anche|De sui ipsius et multorum ignorantia}}
[[File:Trionfo della Morte, miniatura fiorentina.jpg|thumb|Scuola fiorentina, ''Il Trionfo della Morte'' tratta da ''I Trionfi di Petrarca'', XV secolo, [[miniatura]], ms. Palat.192, f.22r, [[Biblioteca Medicea Laurenziana]], [[Firenze]].]]
L'opera, come ricordato prima nella sezione biografica relativa al periodo veneziano, fu scritta in seguito alle accuse di ignoranza che quattro giovani aristotelici rivolsero a Petrarca, in quanto alieno dalla terminologia e dalle questioni delle scienze naturali. In quest'apologia del pensiero umanistico, Petrarca rispose come lui fosse interessato alle scienze che interessassero il benessere dell'anima umana, e non alle discussioni tecniche e dogmatiche proprie del [[nominalismo]] della [[Scolastica (filosofia)|tarda scolastica]]<ref name=":9"/>.


==== ''Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia'' ====
==== ''Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia'' ====
{{Vedi anche|Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia}}
Opera di carattere politico scritta nel 1373, l'invettiva era rivolta ad un monaco e teologo francese, Jean de Hesdin, sostenitore della necessità che la sede del Papato rimanesse ad Avignone. Per tutta risposta Petrarca sostenne la necessità che il papa ritornasse a Roma, sua sede diocesana e simbolo dell'antica gloria romana<ref name=":3" />.


=== Raccolte epistolari ===
=== Raccolte epistolari ===

Versione delle 21:18, 1 nov 2019

Francesco Petrarca è nato ad Arezzo il 20 luglio 1304 ed è morto ad Arquà il 19 luglio 1374.

Scrittore, poeta, filosofo e filologo.

considerato il precursore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il Canzoniere, patrocinato quale modello di eccellenza stilistica da Pietro Bembo nei primi del Cinquecento |Immagine = Petrarch by Bargilla.jpg |Didascalia = Andrea del Castagno, Francesco Petrarca, particolare del Ciclo degli uomini e donne illustri, affresco, 1450, Galleria degli Uffizi, Firenze


Uomo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e operò una rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropocentrico (e non più in chiave assolutamente teocentrica), Petrarca (che ottenne la laurea poetica a Roma nel 1341) spese l'intera sua vita nella riproposta culturale della poetica e filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima del Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per Laura che una storia d'amore, e in quest'ottica si deve valutare anche l'opera latina del Secretum.

Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, diedero avvio al fenomeno del petrarchismo, teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare dell'Aretino.


Pensiero e poetica

Anonimo, Francesco Petrarca nello studium, affresco murale, ultimo quarto del secolo XIV, Reggia Carrarese, Sala dei Giganti, Padova.

Il messaggio petrarchesco

Il concetto di humanitas

Petrarca, fin dalla giovinezza, manifestò sempre un'insofferenza innata nei confronti della cultura a lui coeva. Come già ricordato nella sezione biografica, la sua passione per l'agostinismo da un lato, e per i classici latini "liberati" dalle interpretazioni allegoriche medievali dall'altro, pongono Petrarca come l'iniziatore dell'umanesimo che, nel corso del XV secolo, si svilupperà prima in Italia, e poi nel resto d'Europa[1]. Nel De remediis utriusque fortune, ciò che interessa maggiormente a Petrarca è l'humanitas, cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori più umani della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed esistenziale intesa ad indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature[2]. Di conseguenza, Petrarca pone al centro della sua riflessione intellettuale l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto teocentrismo (tipico della cultura medievale) all'antropocentrismo moderno.

Petrarca e i classici

Fondamentale, nel pensiero petrarchesco, è la riscoperta dei classici. Già conosciuti nel Medioevo, erano stati oggetto però di una rivisitazione in chiave cristiana, che non teneva quindi conto del contesto storico-culturale in cui le opere erano state scritte[3]. Per esempio, la figura di Virgilio fu vista come quella di un mago/profeta, capace di adombrare, nell'Ecloga IV delle Bucoliche, la nascita di Cristo, anziché quella di Asinio Gallo, figlio del politico romano Asinio Pollione: un'ottica che Dante accolse pienamente nel Virgilio della Commedia[4]. Petrarca, rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il travisamento dei classici operato fino a quel momento, ridando loro quella patina di storicità e di inquadramento culturale necessaria per stabilire con essi un colloquio costante, come fece nel libro XXIV delle Familiares[5]:

«Scrivere a Cicerone o a Seneca, celebrandone l'opera o magari deplorandone con benevolenza mancanze e contraddizioni, era per lui un modo letterariamente tangibile (e per noi assai significativo simbolicamente) di mostrare quanto a loro dovesse, quanto li sentisse, appunto, idealmente suoi contemporanei.»

(Guglielmino-Grosser, p. 182)

Oltre alle epistole, all'Africa e al De viris illustribus, Petrarca operò tale riscoperta attraverso il metodo filologico da lui ideato tra il 1325 e il 1337 e la ricostruzione dell'opera liviana e la composizione del Virgilio ambrosiano. Altro aspetto da cui traspare questo innovativo approccio alle fonti e alle testimonianze storico-letterarie si avverte, anche, nell'ambito della numismatica, della quale Petrarca è ritenuto il precursore[6].

La ricostruzione delle Decadi liviane
Primo foglio del Virgilio ambrosiano di Petrarca, miniato da Simone Martini e conservato presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano.

Per quanto riguarda la prima opera, Petrarca decise di riunire le varie decadi (cioè i libri di cui l'opera è composta) allora conosciute (I, III e IV decade) in un unico codice, l'attuale codice Harleiano 2193, conservato ora al British Museum di Londra[7]. Il giovane Petrarca si dedicò a quest'opera di collazione per cinque anni, dal 1325 al 1330, grazie ad un lavoro di ricerca e di enorme pazienza[8]. Nel 1326, Petrarca prese la terza decade (tramandata da un manoscritto risalente al XIII secolo[9]), correggendola e integrandola ora con un manoscritto veronese del X secolo vergato dal dotto vescovo Raterio[9], ora con una lezione conservata nella Biblioteca Capitolare della Cattedrale di Chartres[10], il Parigino Latino 5690 acquistato dal vecchio canonico Landolfo Colonna[11], contenente anche la quarta decade[9]. Quest'ultima fu poi corretta su di un codice risalente al secolo precedente e appartenuto al preumanista padovano Lovato Lovati (1240-1309)[9]. Infine, dopo aver raccolto anche la prima decade, Petrarca poté procedere a riunire gli sparsi lavori di recupero nel 1330[12].

Il Virgilio Ambrosiano

L'impresa riguardante la costruzione del Virgilio ambrosiano è invece molto più complessa. Iniziato già quand'era in vita il padre Petracco, il lavoro di collazione portò alla nascita di un codice composto di 300 fogli manoscritti che conteneva l'omnia virgiliana (Bucoliche, Georgiche ed Eneide commentati dal grammatico Servio del VI secolo), al quale furono aggiunte quattro Odi di Orazio e l'Achilleide di Stazio[13]. Le vicende di tale manoscritto sono assai travagliate. Sottrattogli nel 1326 dagli esecutori testamentari del padre, il Virgilio ambrosiano verrà recuperato solo nel 1338, data in cui Petrarca commissionò al celebre pittore Simone Martini una serie di miniature che lo abbellirono esteticamente[14]. Alla morte del Petrarca il manoscritto finì nella biblioteca dei Carraresi a Padova, tuttavia, nel 1388, Gian Galeazzo Visconti conquistò Padova ed il codice fu inviato, insieme ad altri manoscritti del Petrarca, a Pavia, nella Biblioteca Visconteo-Sforzesca situata nel castello di Pavia[15]. Nel 1471 Galeazzo Maria Sforza ordinò al castellano di Pavia di prestare, per 20 giorni, il manoscritto allo zio Alessandro signore di Pesaro, poi il Virgilio Ambrosiano tornò a Pavia. Nel 1499, Luigi XII conquistò il Ducato di Milano e la biblioteca Visconteo-Sforzesca venne trasferita in Francia, dove ancora si conservano, nella Bibliothèque nationale de France, circa 400 manoscritti provenienti da Pavia. Tuttavia il Virgilio Ambrosiano fu sottratto al saccheggio francese da un certo Antonio di Pirro. Sappiamo che a fine Cinquecento si trovava a Roma, ed era di proprietà del cardinal Agostino Cusani, fu poi acquistato da Federico Borromeo per l'Ambrosiana[16].


Legame tra oratio e vita

La forte vena morale che percorre tutte le opere petrarchesche, sia latine che volgari, tende a trasmettere un messaggio di perfezione morale: il Secretum, il De remediis, le raccolte epistolari e lo stesso Canzoniere sono impregnati di questa tensione etica volta a risanare le deviazioni dell'anima attraverso la via della virtù[17]. Tale applicazione etica negli scritti (l'oratio), però, deve corrispondere alla vita quotidiana (la vita, appunto) se l'umanista vuole trasmettere un'etica credibile ai destinatari. Prova di questo binomio essenziale è, per esempio, la Familiare XXIV, 3 indirizzata a Marco Tullio Cicerone[N 1]. In essa il poeta esprime, in un tono di amarezza e di rabbia al contempo, la scelta dell'oratore romano di essersi allontanato dall'otium letterario di Tuscolo per addentrarsi nuovamente nell'agone politico dopo la morte di Cesare e schierarsi a fianco del giovane Ottaviano contro Marco Antonio, tradendo così i principi etici esposti nei suoi trattati filosofici:

«Ma qual furore a danno di Antonio ti mosse? Risponderai per l'amore alla Repubblica, che dicevi caduta in fondo. Ma se codesta fede, se amore di libertà ti sprone (come di sì grand'uomo stimare si converrebbe), ond'è che tanto fosti amico di Augusto? [... ] Io ti compiango, amico, e di sì grandi tuoi falli sento vergogna [...] Oh! Quanto era meglio ad un filosofo tuo pari nel silenzio dei campi, pensoso, come tu dici, non della breve e caduca presente vita, ma della eterna, passar tranquilla vecchiezza...»

(Fraccassetti, 5,  p. 141)

L'impegno "civile" del letterato

La declinazione dell'impegno morale nella vita attiva delinea una vocazione "civile" del letterato. Tale attributo, prima ancora di intendersi come impegno nella vita politica del tempo, dev'essere compreso nella sua declinazione prettamente sociale, quale impegno del letterato nell'aiutare gli uomini contemporanei a migliorarsi costantemente attraverso il dialogo e il senso di carità nei confronti del prossimo[18]. Oltre ai trattati morali, scritti per questo fine, si deve però anche registrare che cosa significasse per Petrarca, nella sua stessa vita, l'impegno civile. Il servizio presso i potenti di turno (i Colonna, i Da Correggio, i Visconti e poi i Da Carrara) spinse gli amici di Petrarca ad avvertirlo della minaccia che tali regnanti avrebbero potuto costituire per la sua indipendenza intellettuale; egli, però, nella famosa Epistola posteritati (Epistola ai Posteri), ribadì la sua proclamata indipendenza dagli intrighi di corte:

Altichiero, Ritratto di Francesco Petrarca, dal ms. lat. 6069 f della Bibliotèque Nationale de France (Parigi), contenente il De viris illustribus[19].

«I più grandi monarchi dell'età mia m'ebbero in grazia, e fecero a gara per trarmi a loro, né so perché. Questo so, che alcuni di loro parevan piuttosto essere favoriti della mia, che non favorirmi della loro dimestichezza: sì che dall'alto loro grado io molti vantaggi, ma nessun fastidio giammai ebbi ritratto. Tanto peraltro in me fu forte l'amore della mia libertà, che da chiunque di loro avesse nome di avversarla mi tenni studiosamente lontano.»

(Fracassetti, 1, p. 203)

Nonostante l'intento autocelebrativo proprio dell'Epistola, Petrarca rimarca il fatto che i potenti vollero averlo di fianco a sé per questioni di prestigio, facendo sì che il poeta finisse «per non identificarsi mai fino in fondo con le loro prese di posizioni»[20]. Il legame con le corti signorili, scelte per motivazioni economiche e di protezione, gettò pertanto le basi per la figura dell'intellettuale cortigiano, modello per gli uomini di cultura nei secoli successivi[20]. Se Dante, costretto a vagare per le corti dell'Italia centro-settentrionale, soffrì sempre per la lontananza da Firenze[21], Petrarca fondò, con la sua scelta di vita, il modello dell'intellettuale cosmopolita, segnando così il tramonto dell'ideologia comunale che era stata fondamento della sensibilità dantesca prima, e che in parte fu propria del contemporaneo Boccaccio[22].

L'otium letterario

Altra caratteristica propria dell'intellettuale petrarchesco è l'otium, vale a dire il riposo. Parola latina indicante, in generale, il riposo dei patrizi romani dalle attività proprie del negotium[N 2], Petrarca la riprende rivestendola però di un significato diverso: non più riposo assoluto, ma attività intellettuale nella tranquillità di un rifugio appartato, solitario ove potersi concentrare e portare, poi, agli uomini il messaggio morale nato da questo ritiro. Questo ritiro, come è esposto nei trattati ascetici del De vita solitaria e del De otio religioso, è vicino, per sensibilità del Petrarca, ai ritiri ascetico-spirituali dei Padri della Chiesa, dimostrando quindi come l'attività letteraria sia, nel contempo, fortemente intrisa di carica religiosa[23].

Andrea Leoni, statua di Francesco Petrarca, Loggiato degli Uffizi, Firenze.


Opere

L'Africa

Il Bucolicum carmen

Le Epistolae metricae

I Psalmi penitentiales

Opere latine in prosa

Il De viris illustribus

I Rerum memorandarum libri

Il Secretum

Il De vita solitaria

Il De otio religioso

Il De remediis utriusque fortunae

Invectivarum contra medicum quendam libri IV

De sui ipsius et multorum ignorantia

Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia

Raccolte epistolari

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Epistole.

Di estrema importanza sono le epistole latine. Raccolte "d'autore" delle lettere inviate da Petrarca, disposte in ordine cronologico, le epistole contribuiscono a costruire l'immagine autobiografica che il poeta stesso ha voluto offrire di sé ai posteri e quindi la sua eternizzazione. Basate sul modello ciceroniano-senecano ricavato dalla scoperta delle Epistulae ad Atticum a Verona del 1345[24], le epistole (che si dividono, a parte la Epistola posteritati che è rimasta intenzionalmente esclusa dalle raccolte epistolari, nei gruppi delle Familiares, delle Seniles, delle Sine nomine e delle Variae[25]) spaziano dagli anni bolognesi fino alla fine della vita del Petrarca[26]. Delle lettere petrarchesche, indirizzate a vari personaggi suoi contemporanei (a Ludwig van Kempen, sotto lo pseudonimo di Socrate, è dedicata la raccolta delle Familiares; a Francesco Nelli, sotto lo pseudonimo di Simonide, sono dedicate le Seniles, iniziate dopo la morte di Ludwig van Kempen nel 1361[27]) e, nel caso del XXIV libro delle Familiares, le lettere sono rivolte a vari personaggi dell'antichità. Delle Familiares, è celebre in particolar modo la Familiare IV, 1 incentrata sull'ascesa del Monte Ventoso.

Opere in volgare

Francesco Petrarca, Rime, codice membranaceo ms. I 12, c. 1r. conservato al Museo Petrarchesco Piccolomineo, Trieste, risalente ai secoli fine XV, inizio XVI. Il particolare riporta il primo sonetto del Canzoniere.

Il Canzoniere

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Canzoniere (Petrarca).

«Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono / di quei sospiri ond’io nudriva ’l core / in sul mio primo giovenile errore / quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono...»

(Petrarca, Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, prima quartina della lirica d'apertura del Canzoniere)

Il Canzoniere, il cui titolo originale è Francisci Petrarchae laureati poetae Rerum vulgarium fragmenta, è la storia poetica della vita interiore del Petrarca vicina, per introspezione e tematiche, al Secretum. La raccolta comprende 366 componimenti (365 più uno introduttivo: "Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono"): 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali, divisi tra rime in vita e rime in morte di Madonna Laura [N 3], celebrata quale donna superiore, senza però raggiungere il livello della donna angelo della Beatrice dantesca. Difatti, Laura invecchia, subisce il corso del tempo, e non è portatrice di alcun attributo divino nel senso teologico stilnovista-dantesco[28]. Anzi, la storia del Canzoniere, più che la celebrazione di un amore, è il percorso di una progressiva conversione dell'anima: si passa, infatti, dal giovanil errore (l'amore terreno per Laura) ricordato nel sonetto introduttivo Voi ch'ascoltate in rime sparse, alla canzone Vergine bella, che di sol vestita in cui Petrarca affida la sua anima alla protezione di Maria perché trovi finalmente pietà e riposo[N 4].

L'opera, che richiese a Petrarca quasi quarant'anni di continue rivisitazioni stilistiche (da qui la cosiddetta limatio petrarchesca[N 5]), prima di trovare la forma definitiva subì, secondo gli studi compiuti da Wilkins, ben nove fasi di redazioni, di cui la prima risale al 1336-38, e l'ultima al 1373-74, che è quella contenuta nel codice Vaticano Latino 3195[29].

I Trionfi

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: I Trionfi.

I "Trionfi" (la titolazione originale è in latino, Triumphi) sono un poemetto allegorico in volgare toscano, in terzine dantesche, incominciato da Petrarca nel 1351, durante il periodo milanese, e mai portato a termine.

Il poema è ambientato in una dimensione onirica e irreale (strettissimo, per scelta metrica e tematica, è il legame con la Comedia): Petrarca viene visitato da Amore, che gli mostra tutti gli uomini illustri che hanno ceduto alle passioni del cuore (Triumphus Cupidinis). Annoverato tra questi ultimi, Petrarca verrà poi liberato da Laura, simboleggiante la Pudicizia (Triumphus Pudicitie), che cadrà poi per mano della Morte (Triumphus Mortis). Petrarca scoprirà dalla stessa Laura, apparsagli in sogno, che ella si trova nella beatitudine celeste, e che egli stesso potrà contemplarla nella gloria divina soltanto dopo che la morte lo avrà liberato dal corpo caduco in cui si ritrova.

La Fama poi sconfigge la morte (Triumphus Fame) e celebra il proprio trionfo, accompagnata da Laura e da tutti i più celebri personaggi della storia antica e recente. Il moto rapido del sole suggerisce al poeta alcune riflessioni sulla vanità della fama terrena, cui fa seguito una vera e propria visione, nella quale al poeta appare il Tempo trionfante (Triumphus Temporis). Infine il poeta, sbigottito per la precedente visione, è confortato dal suo stesso cuore, che gli dice di confidare in Dio: gli appare allora l'ultima visione, un «mondo novo, in etate immobile ed eterna», un mondo al di fuori del tempo dove trionferanno i beati e dove un giorno Laura gli riapparirà, questa volta per sempre (Triumphus Eternitatis).

Fortuna e critica letteraria

Ritratto di Leonardo Bruni.

L'età dell'umanesimo

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Umanesimo rinascimentale.

Già quand'era in vita Petrarca fu riconosciuto immediatamente quale maestro e guida per tutti coloro che volevano intraprendere lo studio delle discipline umanistiche. Grazie ai suoi numerosi viaggi in tutta Italia, gettò il seme del suo messaggio presso i principali centri della Penisola, in particolar modo a Firenze. Qui, oltre ad aver conquistato alla causa dell'umanesimo Giovanni Boccaccio (autore, tra l'altro, di un De vita et moribus domini Francisci Petracchi de Florentia[30]), Petrarca trasmise la sua passione a Coluccio Salutati, dal 1375 cancelliere della Repubblica di Firenze e vero trait d'union tra la generazione petrarchesco-boccacciana e quella attiva nella prima metà del XV secolo[31]. Coluccio, infatti, fu il maestro di due dei principali umanisti del '400: Poggio Bracciolini, il più grande scopritore di codici latini del secolo ed esportatore dell'umanesimo a Roma; e Leonardo Bruni, il più notevole rappresentante dell'umanesimo civile insieme al maestro Salutati. Fu il Bruni a consolidare la fama di Petrarca, allorché nel 1436 redasse una Vita di Petrarca[32], seguita da quelle di Filippo Villani, Giannozzo Manetti, Sicco Polenton e Pier Paolo Vergerio[30].

Oltre a Firenze, i soggiorni del poeta in Lombardia e a Venezia favorirono la nascita di movimenti culturali locali destinati a declinare i princìpi umanistici a seconda delle esigenze della classe politica locale: a Milano, dove operarono letterati del calibro di Pier Candido Decembrio e di Francesco Filelfo, nacque un umanesimo cortigiano destinato a diventare il prototipo per tutte le corti principesche italianeCappelli|pp._227-250-38|[33]; a Venezia si diffuse, invece, un umanesimo educativo destinato a formare la nuova classe dirigente della Serenissima, grazie all'attività di Leonardo Giustinian e di Francesco Barbaro prima, e di Ermolao il Vecchio e dell'omonimo detto il Giovane poiCappelli|pp._227-250-38|[33].

Andrea del Sarto, Dama col petrarchino, olio su tela, 1528, Galleria degli Uffizi, Firenze. La datazione del dipinto mostra come già pochissimi anni dopo la promozione bembiana il nome di Petrarca fosse divenuto già assai rinomato presso i lirici e gli appassionati di letteratura.

Pietro Bembo e il petrarchismo

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Pietro Bembo e Petrarchismo.

Se nel '400 Petrarca era visto soprattutto come capostipite della rinascita delle lettere antiche, grazie al letterato e cardinale veneziano Pietro Bembo divenne anche il modello del cosiddetto classicismo volgare, definendo una tendenza che si stava progressivamente già delineando nella lirica italiana[N 6]. Difatti Bembo, nel dialogo Prose della volgar lingua del 1525, sostenne la necessità di prendere come modelli stilistici e linguistici Petrarca per la lirica, Boccaccio invece per la prosa, scartando Dante per il suo plurilinguismo che lo rendeva difficilmente accessibile:

«Requisito necessario per la nobilitazione del volgare era dunque un totale rifiuto della popolarità. Ecco perché Bembo non accettava integralmente il modello della Commedia di Dante, di cui non apprezzava le discese verso il basso nelle quali noi moderni riconosciamo un accattivante mistilinguismo. Da questo punto di vista, il modello del Canzoniere di Petrarca non presentava difetti, per la sua assoluta selezione linguistico-lessicale.»

(Marazzini, p. 265)
Gianfranco Contini, grande estimatore di Francesco Petrarca e suo commentatore nel XX secolo.

La proposta bembiana risultò, nelle diatribe relative alla questione della lingua, quella vincente. Già negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione delle Prose, si diffuse presso i circoli poetici italiani una passione per le tematiche e lo stile della poesia petrarchesca (stimolata anche dal commento al Canzoniere di Alessandro Vellutello del 1525[34]), chiamata poi petrarchismo, favorita anche dalla diffusione dei petrarchini, cioè edizioni tascabili del Canzoniere[35].

Dal Seicento ai giorni nostri

A fianco del petrarchismo, però, si sviluppò anche un movimento avverso alla canonizzazione poetica operata dal Bembo: prima nel corso del Cinquecento, allorché letterati come Francesco Berni e Pietro Aretino svilupparono polemicamente il fenomeno dell'antipetrarchismo; poi, nel corso del Seicento, la temperie barocca, ostile all'idea di classicismo in nome della libertà formale, declassò il valore dell'opera petrarchesca. Riabilitato parzialmente nel corso del Settecento da Ludovico Antonio Muratori, Petrarca ritornò pienamente in auge in seno alla temperie romantica, quando Ugo Foscolo prima e Francesco De Sanctis poi, nelle loro lezioni universitarie di letteratura tenute dal primo a Pavia, e dal secondo a Napoli e a Zurigo, furono in grado di operare un'analisi complessiva della produzione petrarchesca e ritrovarne l'originalità[36]. Dopo gli studi compiuti da Giosuè Carducci e dagli altri membri della Scuola storica compiuti tra fine '800 e inizi '900, il secolo scorso vide, per l'area italiana, Gianfranco Contini e Giuseppe Billanovich tra i maggiori studiosi del Petrarca.

Note

  1. Ricchissima la bibliografia al proposito: si ricordino i libri citati in bibliografia, tra cui Cappelli, L'umanesimo italiano da Petrarca a Valla; i saggi curati da Giuseppe Billanovich (tra cui l'opera sua più importante, Billanovich, 1947, Petrarca letterato), uno dei maggiori studiosi del Petrarca; i libri di Pacca, Ariani e Wilkins.
  2. Pacca, p. 189 e Cappelli, p. 38
  3. Garin, p. 21.
  4. Si veda il lungo articolo di Lamendola al riguardo, in cui si espone anche la chiave di lettura dei classici latini nel corso dell'età medioevale.
  5. Dotti, 1987, p. 430.
  6. Magdi A. M. Nassar, Numismatica e Petrarca: una nuova idea di collezionismo, Il collezionismo numismatico italiano. Una storica e illuminata tradizione. Un patrimonio culturale del nostro Paese., Milano, Numismatici Italiani Professionisti, 2013, pp. 47-49.
  7. Billanovich 1953, p. 313.
  8. Per la datazione cronologica, cfr. Billanovich 1953, p. 325: «Il Petrarca formò tra i venti e i venticinque anni il Livio Harleiano»; e Ivi, p. 330: «Le scoperte e i restauri degli Ab Urbe condita eseguiti dal Petrarca sul palcoscenico europeo di Avignone press'a poco tra il 1325 e il 1330...»
  9. 9,0 9,1 9,2 9,3 Cappelli, p. 42.
  10. Billanovich 1953, pp. 313-314.
  11. Billanovich 1953, p. 325.
  12. Un riassunto veloce è esposto anche da Ariani, p. 63.
  13. Cappelli, p. 42 e Ariani, p. 62.
  14. Cappelli, pp. 42-43.
  15. Albertini Ottolenghi, pp. 35-37.
  16. Albertini Ottolenghi, p. 37.
  17. Guglielmino-Grosser, p. 172, confrontando Dante, il quale non ha trasmesso ai posteri dati biografici della propria vita, e Petrarca, afferma che quest'ultimo «fornendoci una grande quantità di informazioni dettagliate sulla sua vita quotidiana, vere o false che siano, mira a trasmettere di sé un'immagine concreta».
  18. Dotti, p. 532, sulla base della Familiare I, 9, delinea il senso del messaggio umanistico lanciato da Petrarca:

    «...parlare con il proprio animo non serve: bisogna affaticarsi ad ceterorum utilitatem quibuscum vivimus, per l'utilità di coloro con i quali viviamo in questa terrena società, ed è certo che con le nostre parole possiamo giovare: quorum animos nostris collucutionibus plurimum adiuvari posse non ambigitur (Fam. I, 9, 4). Il colloquio umano è dunque lo strumento dell'autentico processo umanistico...Sua mercé si saldano e si congiungono gli spazi più lontani...I comuni principi morali, dunque, e l'indagine costante e irreversibile sono la molla di un processo che non può aver fine se non con la morte dell'umanità medesima, e il discorso, il colloquio e la cultura ne sono il filo conduttore.»

  19. Viaggi nel Testo - Autori della letteratura Italiana, su internetculturale.it. URL consultato il 27 febbraio 2016 (archiviato dall'url originale il 24 giugno 2013).
  20. 20,0 20,1 Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :8
  21. Si ricordino i celebri versi di Pd' XVII, 58-60, in cui l'avo Cacciaguida gli profetizza la durezza dell'esilio: Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e 'l salir per l'altrui scale
  22. Guglielmino-Grosser, p. 175.
  23. Guglielmino-Grosser, p. 177.
  24. Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore PacCap
  25. Amaturo, pp. 167-168.
  26. Le epistolae retrodatate al 1345 furono, secondo Santagata, p. 45, probabilmente scritte ex novo perché fossero aderenti al progetto culturale-esistenziale idealizzato dal Petrarca.
  27. Santagata, p. 45.
  28. Guglielmino-Grosser, p. 185.
  29. Ferroni, p. 19.
  30. 30,0 30,1 Ariani, p. 358.
  31. Dionisotti: «[Salutati] fu per trent'anni, dopo la morte del Petrarca e del Boccaccio, il più autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi.»
  32. Dionisotti, 1970: «Dopo lungo intervallo, probabilmente nel 1436, il B[occaccio] compose in volgare una succinta vita di D[ante], cui fece seguire un'assai più succinta vita del Petrarca e un conclusivo paragone fra i due poeti.»
  33. Cappelli|pp._227-250_38-0|33,0 Cappelli|pp._227-250_38-1|33,1 Cappelli, pp. 227-250.
  34. Di Benedetto, p. 174.
  35. Si veda la voce enciclopedica curata da Praz e Di Benedetto, p. 177.
  36. Ariani, pp. 362-364.


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