Dante Alighieri: differenze tra le versioni

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===Il matrimonio con Gemma Donati===
===Il matrimonio con Gemma Donati===
Quando Dante aveva dodici anni, nel [[1277]], fu concordato il suo matrimonio con [[Gemma Donati|Gemma]], figlia di Messer [[Manetto Donati]], che successivamente sposò all'età di vent'anni nel [[1285]]<ref name=":1">{{Cita|Piattoli}}.</ref>. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza comune a quell'epoca; lo si faceva con una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti davanti a un [[notaio]]. La famiglia a cui Gemma apparteneva – i [[Donati]] – era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale e in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, vale a dire i ''[[Guelfi bianchi e neri|guelfi neri]]''.
Quando Dante aveva dodici anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con [[Gemma Donati|Gemma]], figlia di Messer [[Manetto Donati]], che successivamente sposò all'età di vent'anni nel 1285<ref name=":1">{{Cita|Piattoli}}.</ref>. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza comune a quell'epoca; lo si faceva con una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti davanti a un [[notaio]]. La famiglia a cui Gemma apparteneva – i Donati – era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale e in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, vale a dire i ''guelfi neri''.


Il matrimonio tra i due non dovette essere molto felice, secondo la tradizione raccolta dal Boccaccio e fatta propria poi nell'[[XIX secolo|Ottocento]] da [[Vittorio Imbriani]]. Dante non scrisse infatti un solo verso alla moglie, mentre di costei non ci sono pervenute notizie sulla effettiva presenza al fianco del marito durante l'esilio. Comunque sia, l'unione generò due figli e una figlia: [[Jacopo Alighieri|Jacopo]], [[Pietro Alighieri|Pietro]], [[Antonia Alighieri|Antonia]] e un possibile quarto, Giovanni<ref>Un atto del 21 ottobre [[1308]] a [[Lucca]] testimonia che Giovanni fosse figlio suo, in quanto vi si trova scritto di un "''Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia''".</ref>. Dei tre certi, Pietro fu giudice a [[Verona]] e l'unico che continuò la stirpe degli [[Alighieri]], in quanto Jacopo scelse di seguire la carriera ecclesiastica, mentre Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice, sembra nel convento delle [[Congregazione olivetana|Olivetane]] a [[Ravenna]].
Il matrimonio tra i due non dovette essere molto felice, secondo la tradizione raccolta dal Boccaccio e fatta propria poi nell'Ottocento da Vittorio Imbriani. Dante non scrisse infatti un solo verso alla moglie, mentre di costei non ci sono pervenute notizie sulla effettiva presenza al fianco del marito durante l'esilio. Comunque sia, l'unione generò due figli e una figlia: Jacopo, Pietro, Antonia e un possibile quarto, Giovanni<ref>Un atto del 21 ottobre [[1308]] a [[Lucca]] testimonia che Giovanni fosse figlio suo, in quanto vi si trova scritto di un "''Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia''".</ref>. Dei tre certi, Pietro fu giudice a Verona e l'unico che continuò la stirpe degli Alighieri, in quanto Jacopo scelse di seguire la carriera ecclesiastica, mentre Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice, sembra nel convento delle Olivetane a Ravenna.


===Impegni politici e militari===
===Impegni politici e militari===
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[[File:Corso Donati, Nova Cronica.jpg|miniatura|Giovanni Villani, ''Corso Donati fa liberare dei prigionieri'', in ''Cronaca'', XIV secolo. Corso Donati, esponente di punta dei ''Neri'', fu acerrimo nemico di Dante, il quale lancerà contro di lui violenti attacchi nei suoi scritti<ref>Dante accenna alla morte violenta di Corso Donati nel [[s:Divina Commedia/Purgatorio/Canto XXIV|''Purgatorio'' XXIV, vv. 82-84]], mettendo la profezia ''post eventum'' in bocca al fratello di lui, [[Forese Donati|Forese]]: «"Or va", diss'el; "che quei che più n'ha colpa,/vegg'ïo a coda d'una bestia tratto/inver' la valle ove mai non si scolpa./La bestia ad ogne passo va più ratto,/crescendo sempre, fin ch'ella il percuote,/e lascia il corpo vilmente disfatto». La tematica della cavalcata infernale è un ''topos'' letterario ben noto nella letteratura medievale: verrà ripreso, infatti, sia da Giovanni Boccaccio, sia da Jacopo Passavanti.</ref>.]]
[[File:Corso Donati, Nova Cronica.jpg|miniatura|Giovanni Villani, ''Corso Donati fa liberare dei prigionieri'', in ''Cronaca'', XIV secolo. Corso Donati, esponente di punta dei ''Neri'', fu acerrimo nemico di Dante, il quale lancerà contro di lui violenti attacchi nei suoi scritti<ref>Dante accenna alla morte violenta di Corso Donati nel [[s:Divina Commedia/Purgatorio/Canto XXIV|''Purgatorio'' XXIV, vv. 82-84]], mettendo la profezia ''post eventum'' in bocca al fratello di lui, [[Forese Donati|Forese]]: «"Or va", diss'el; "che quei che più n'ha colpa,/vegg'ïo a coda d'una bestia tratto/inver' la valle ove mai non si scolpa./La bestia ad ogne passo va più ratto,/crescendo sempre, fin ch'ella il percuote,/e lascia il corpo vilmente disfatto». La tematica della cavalcata infernale è un ''topos'' letterario ben noto nella letteratura medievale: verrà ripreso, infatti, sia da Giovanni Boccaccio, sia da Jacopo Passavanti.</ref>.]]
Poco dopo il matrimonio, Dante cominciò a partecipare come [[Cavalleria medievale|cavaliere]] ad alcune campagne militari che [[Firenze]] stava conducendo contro i suoi nemici esterni, tra cui [[Arezzo]] ([[battaglia di Campaldino]] dell'11 giugno [[1289]]) e [[Pisa]] (presa di [[Caprona]], 16 agosto 1289)<ref name=":2">{{Cita|Ferroni|p. 4}}.</ref>. Successivamente, nel [[1294]], avrebbe fatto parte della delegazione di cavalieri che scortò [[Carlo Martello d'Angiò]] (figlio di [[Carlo II di Napoli|Carlo II d'Angiò]]) quando questi si trovava a Firenze<ref>Dante stesso citerà [[Carlo Martello d'Angiò]] nella ''[[Divina Commedia]]'' ([[s:Divina Commedia/Paradiso/Canto VIII#30|''Paradiso'' VIII, v. 31]] e [[s:Divina Commedia/Paradiso/Canto IX|IX, v. 1]]).</ref>. L'attività politica prese Dante a partire dai primi [[anni 1290]], in un periodo quanto mai convulso per la [[Repubblica di Firenze|Repubblica]]. Nel [[1293]] entrarono in vigore gli ''[[Ordinamenti di giustizia|Ordinamenti di Giustizia]]'' di [[Giano Della Bella]], che escludevano l'antica nobiltà dalla politica e permettevano al [[Borghesia|ceto borghese]] di ottenere ruoli nella Repubblica, purché iscritti a un'[[Arti di Firenze|Arte]]. Dante, in quanto nobile, fu escluso dalla politica cittadina fino al 6 luglio del 1295, quando furono promulgati i ''Temperamenti'', leggi che ridiedero diritto ai nobili di rivestire ruoli istituzionali, purché si immatricolassero alle Arti. Dante, pertanto, si iscrisse all'[[Arte dei Medici e Speziali (Firenze)|Arte dei Medici e Speziali]].
Poco dopo il matrimonio, Dante cominciò a partecipare come cavaliere ad alcune campagne militari che Firenze stava conducendo contro i suoi nemici esterni, tra cui Arezzo (battaglia di Campaldino dell'11 giugno 1289) e Pisa (presa di Caprona, 16 agosto 1289)<ref name=":2">{{Cita|Ferroni|p. 4}}.</ref>. Successivamente, nel 1294, avrebbe fatto parte della delegazione di cavalieri che scortò Carlo Martello d'Angiò (figlio di Carlo II d'Angiò) quando questi si trovava a Firenze<ref>Dante stesso citerà [[Carlo Martello d'Angiò]] nella ''[[Divina Commedia]]'' ([[s:Divina Commedia/Paradiso/Canto VIII#30|''Paradiso'' VIII, v. 31]] e [[s:Divina Commedia/Paradiso/Canto IX|IX, v. 1]]).</ref>. L'attività politica prese Dante a partire dai primi anni 1290, in un periodo quanto mai convulso per la Repubblica. Nel 1293 entrarono in vigore gli ''Ordinamenti di Giustizia'' di Giano Della Bella, che escludevano l'antica nobiltà dalla politica e permettevano al ceto borghese di ottenere ruoli nella Repubblica, purché iscritti a un'Arte. Dante, in quanto nobile, fu escluso dalla politica cittadina fino al 6 luglio del 1295, quando furono promulgati i ''Temperamenti'', leggi che ridiedero diritto ai nobili di rivestire ruoli istituzionali, purché si immatricolassero alle Arti. Dante, pertanto, si iscrisse all'Arte dei Medici e Speziali.


L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta, poiché i verbali delle assemblee sono andati perduti. Comunque, attraverso altre fonti, si è potuta ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del popolo dal novembre [[1295]] all'aprile [[1296]]; fu nel gruppo dei "Savi", che nel dicembre 1296 rinnovarono le norme per l'elezione dei [[Priore#Il priorato municipale|priori]], i massimi rappresentanti di ciascuna Arte che avrebbero occupato, per un bimestre, il ruolo istituzionale più importante della Repubblica; dal maggio al dicembre del 1296 fece parte del [[Consiglio dei Cento]]. Fu inviato talvolta nella veste di ambasciatore, come nel maggio del [[1300]] a [[San Gimignano]]. Nel frattempo, all'interno del partito guelfo fiorentino si produsse una frattura gravissima tra il gruppo capeggiato dai [[Donati]], fautori di una politica conservatrice e aristocratica (''guelfi neri''), e quello invece fautore di una politica moderatamente popolare (''guelfi bianchi''), capeggiato dalla famiglia [[Cerchi]]. La scissione, dovuta anche a motivi di carattere politico ed economico (i Donati, esponenti dell'antica nobiltà, erano stati surclassati in potenza dai Cerchi, considerati dai primi dei ''[[Nuovi ricchi|parvenu]]''), generò una guerra intestina cui Dante non si sottrasse schierandosi, moderatamente, dalla parte dei ''guelfi bianchi''.
L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta, poiché i verbali delle assemblee sono andati perduti. Comunque, attraverso altre fonti, si è potuta ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del popolo dal novembre 1295 all'aprile 1296; fu nel gruppo dei "Savi", che nel dicembre 1296 rinnovarono le norme per l'elezione dei priori, i massimi rappresentanti di ciascuna Arte che avrebbero occupato, per un bimestre, il ruolo istituzionale più importante della Repubblica; dal maggio al dicembre del 1296 fece parte del Consiglio dei Cento. Fu inviato talvolta nella veste di ambasciatore, come nel maggio del [[1300]] a San Gimignano. Nel frattempo, all'interno del partito guelfo fiorentino si produsse una frattura gravissima tra il gruppo capeggiato dai Donati, fautori di una politica conservatrice e aristocratica (''guelfi neri''), e quello invece fautore di una politica moderatamente popolare (''guelfi bianchi''), capeggiato dalla famiglia Cerchi. La scissione, dovuta anche a motivi di carattere politico ed economico (i Donati, esponenti dell'antica nobiltà, erano stati surclassati in potenza dai Cerchi, considerati dai primi dei ''parvenu''), generò una guerra intestina cui Dante non si sottrasse schierandosi, moderatamente, dalla parte dei ''guelfi bianchi''.


====Lo scontro con Bonifacio VIII (1300)====
====Lo scontro con Bonifacio VIII (1300)====
[[File:Opera del duomo (FI), arnolfo di cambio, Bonifacio VIII , 1298 circa, 03.JPG|miniatura|Arnolfo di Cambio, ''statua di Bonifacio VIII'', 1298 ca, conservato presso il Museo dell'Opera del Duomo, Firenze.|alt=]]
[[File:Opera del duomo (FI), arnolfo di cambio, Bonifacio VIII , 1298 circa, 03.JPG|miniatura|Arnolfo di Cambio, ''statua di Bonifacio VIII'', 1298 ca, conservato presso il Museo dell'Opera del Duomo, Firenze.|alt=]]
Nell'anno [[1300]], Dante fu eletto uno dei sette [[Priorato delle Arti|priori]] per il bimestre 15 giugno-15 agosto. Nonostante l'appartenenza al partito guelfo, egli cercò sempre di osteggiare le ingerenze del suo acerrimo nemico [[papa Bonifacio VIII]], dal poeta intravisto come supremo emblema della decadenza morale della Chiesa. Con l'arrivo del [[cardinale]] [[Matteo d'Acquasparta]], inviato dal pontefice in qualità di paciere (ma in realtà spedito per ridimensionare la potenza dei ''guelfi bianchi'', in quel periodo in piena ascesa sui ''neri''), Dante riuscì ad ostacolare il suo operato. Sempre durante il suo priorato, Dante approvò il grave provvedimento con cui furono esiliati, nel tentativo di riportare la pace all'interno dello Stato, otto esponenti dei ''guelfi neri'' e sette di quelli ''bianchi'', compreso Guido Cavalcanti che di lì a poco morirà in [[Sarzana]]. Questo provvedimento ebbe serie ripercussioni sugli sviluppi degli eventi futuri: non solo si rivelò una disposizione inutile (i ''guelfi neri'' temporeggiarono prima di partire per l'[[Umbria]], il posto destinato al loro [[confino]]), ma fece rischiare un [[colpo di Stato]] da parte dei ''guelfi neri'' stessi, grazie al segreto supporto del cardinale d'Acquasparta. Inoltre, il provvedimento attirò sui suoi fautori (incluso Dante stesso) sia l'odio della parte nera che la diffidenza degli "amici" bianchi: i primi, ovviamente, per la ferita inferta; i secondi, per il colpo dato al loro partito da parte di un suo stesso membro. Nel frattempo, le relazioni tra Bonifacio e il governo dei bianchi peggiorarono ulteriormente a partire dal mese di settembre, allorché i nuovi priori (succeduti al collegio di cui fece parte Dante) revocarono immediatamente il bando per i bianchi, mostrando la loro partigianeria e dando così al legato papale cardinale d'Acquasparta modo di scagliare l'[[anatema]] su Firenze. Con l'invio di [[Carlo di Valois]] a Firenze, mandato dal papa come nuovo paciere (ma di fatto conquistatore) al posto del cardinale d'Acquasparta, la Repubblica spedì a [[Roma]], nel tentativo di distogliere il papa dalle sue mire egemoniche, un'[[Ambasciata|ambasceria]] di cui faceva parte essenziale anche Dante, accompagnato da Maso Minerbetti e da Corazza da Signa.
Nell'anno 1300, Dante fu eletto uno dei sette priori per il bimestre 15 giugno-15 agosto. Nonostante l'appartenenza al partito guelfo, egli cercò sempre di osteggiare le ingerenze del suo acerrimo nemico papa Bonifacio VIII, dal poeta intravisto come supremo emblema della decadenza morale della Chiesa. Con l'arrivo del cardinale Matteo d'Acquasparta, inviato dal pontefice in qualità di paciere (ma in realtà spedito per ridimensionare la potenza dei ''guelfi bianchi'', in quel periodo in piena ascesa sui ''neri''), Dante riuscì ad ostacolare il suo operato. Sempre durante il suo priorato, Dante approvò il grave provvedimento con cui furono esiliati, nel tentativo di riportare la pace all'interno dello Stato, otto esponenti dei ''guelfi neri'' e sette di quelli ''bianchi'', compreso Guido Cavalcanti che di lì a poco morirà in Sarzana. Questo provvedimento ebbe serie ripercussioni sugli sviluppi degli eventi futuri: non solo si rivelò una disposizione inutile (i ''guelfi neri'' temporeggiarono prima di partire per l'Umbria, il posto destinato al loro confino), ma fece rischiare un colpo di Stato da parte dei ''guelfi neri'' stessi, grazie al segreto supporto del cardinale d'Acquasparta. Inoltre, il provvedimento attirò sui suoi fautori (incluso Dante stesso) sia l'odio della parte nera che la diffidenza degli "amici" bianchi: i primi, ovviamente, per la ferita inferta; i secondi, per il colpo dato al loro partito da parte di un suo stesso membro. Nel frattempo, le relazioni tra Bonifacio e il governo dei bianchi peggiorarono ulteriormente a partire dal mese di settembre, allorché i nuovi priori (succeduti al collegio di cui fece parte Dante) revocarono immediatamente il bando per i bianchi, mostrando la loro partigianeria e dando così al legato papale cardinale d'Acquasparta modo di scagliare l'anatema su Firenze. Con l'invio di Carlo di Valois a Firenze, mandato dal papa come nuovo paciere (ma di fatto conquistatore) al posto del cardinale d'Acquasparta, la Repubblica spedì a Roma, nel tentativo di distogliere il papa dalle sue mire egemoniche, un'ambasceria di cui faceva parte essenziale anche Dante, accompagnato da Maso Minerbetti e da Corazza da Signa.


===L'inizio dell'esilio (1301-1304)===
===L'inizio dell'esilio (1301-1304)===
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[[File:Benedictus XI Tommaso da Modena.jpg|miniatura|Tommaso da Modena, ''Benedetto XI'', affresco, anni '50 del XIV secolo, Sala del Capitolo, Seminario di Treviso. Il beato papa Boccasini, trevigiano, nel suo breve pontificato cercò di riportare la pace all'interno di Firenze, inviando il cardinale Niccolò da Prato come paciere. È l'unico pontefice su cui Dante non proferì alcuna condanna, ma neanche verso il quale manifestò pieno apprezzamento, tanto da non comparire nella ''Commedia''<ref>{{Cita|Pizzinat|p. 323}}{{citazione|... Benedetto XI: l'unico papa di quel periodo che non ebbe giudizi negativi da parte dell'Alighieri...}}
[[File:Benedictus XI Tommaso da Modena.jpg|miniatura|Tommaso da Modena, ''Benedetto XI'', affresco, anni '50 del XIV secolo, Sala del Capitolo, Seminario di Treviso. Il beato papa Boccasini, trevigiano, nel suo breve pontificato cercò di riportare la pace all'interno di Firenze, inviando il cardinale Niccolò da Prato come paciere. È l'unico pontefice su cui Dante non proferì alcuna condanna, ma neanche verso il quale manifestò pieno apprezzamento, tanto da non comparire nella ''Commedia''<ref>{{Cita|Pizzinat|p. 323}}{{citazione|... Benedetto XI: l'unico papa di quel periodo che non ebbe giudizi negativi da parte dell'Alighieri...}}
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Dante si trovava quindi a Roma, sembra trattenuto oltre misura da Bonifacio VIII, quando [[Carlo di Valois]], al primo subbuglio cittadino, prese pretesto per mettere a ferro e fuoco Firenze con un colpo di mano. Il 9 novembre [[1301]] i conquistatori imposero come [[podestà (medioevo)|podestà]] [[Cante Gabrielli]] da [[Gubbio]]. Questi, appartenente alla fazione dei ''guelfi neri'' della sua città natia, diede inizio a una politica di sistematica persecuzione degli esponenti politici di parte bianca ostili al papa, fatto che si risolse alla fine nella loro uccisione o nell'espulsione da Firenze. Con due condanne successive, quella del 27 gennaio e quella del 10 marzo [[1302]], che colpirono inoltre numerosi esponenti delle famiglie dei [[Cerchi]], il poeta fu condannato, in contumacia, al [[Morte sul rogo|rogo]] e alla distruzione delle case. Da quel momento, Dante non rivide più la sua patria.{{Citazione|Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia”|Libro del chiodo - Archivio di Stato di Firenze - 10 marzo 1302<ref>Il testo integrale delle sentenze di condanna è stato pubblicato nel volume a cura di Dante Ricci ''Il processo di Dante'', Firenze, Arnaud editore, 1967 (nuova edizione con una presentazione di [[Morris L. Ghezzi]], Udine, Mimesi, 2011).</ref>}}
Dante si trovava quindi a Roma, sembra trattenuto oltre misura da Bonifacio VIII, quando Carlo di Valois, al primo subbuglio cittadino, prese pretesto per mettere a ferro e fuoco Firenze con un colpo di mano. Il 9 novembre 1301 i conquistatori imposero come podestà Cante Gabrielli da Gubbio. Questi, appartenente alla fazione dei ''guelfi neri'' della sua città natia, diede inizio a una politica di sistematica persecuzione degli esponenti politici di parte bianca ostili al papa, fatto che si risolse alla fine nella loro uccisione o nell'espulsione da Firenze. Con due condanne successive, quella del 27 gennaio e quella del 10 marzo 1302, che colpirono inoltre numerosi esponenti delle famiglie dei Cerchi, il poeta fu condannato, in contumacia, al rogo e alla distruzione delle case. Da quel momento, Dante non rivide più la sua patria.


====I tentativi di rientro e la battaglia di Lastra (1304)====
====I tentativi di rientro e la battaglia di Lastra (1304)====
Dopo i falliti tentati colpi di mano del 1302, Dante, in qualità di capitano dell'esercito degli esuli, organizzò insieme a [[Scarpetta Ordelaffi]], capo del partito ghibellino e signore di [[Forlì]] (presso il quale Dante si era rifugiato), un nuovo tentativo di rientrare a Firenze. L'impresa fu però sfortunata: il podestà di Firenze, [[Fulcieri da Calboli]] (un altro forlivese, nemico degli [[Ordelaffi]]), riuscì ad avere la meglio nella battaglia di Castel Pulciano. Fallita anche l'azione diplomatica, nell'estate del [[1304]], del cardinale [[Niccolò Alberti|Niccolò da Prato]]<ref>«... 10 giugno: Niccolò da Prato lascia Firenze; ultima decade di giugno: i Neri consolidano il loro potere in città impadronendosi di tutte le cariche pubbliche». ({{Cita|Petrocchi|p. 97}}).</ref>, [[legato pontificio]] di [[papa Benedetto XI]] (sul quale Dante aveva riposto molte speranze), il 20 luglio dello stesso anno i bianchi, riuniti alla [[Lastra]], una località a pochi chilometri da Firenze, decisero di intraprendere un nuovo attacco militare contro i neri<ref name="Pet97">{{Cita|Petrocchi|p. 97}}.</ref>. Dante, ritenendo corretto aspettare un momento politicamente più favorevole, si schierò contro l'ennesima lotta armata, trovandosi in minoranza al punto che i più intransigenti formularono su di lui dei sospetti di tradimento; pertanto decise di non partecipare alla battaglia e di prendere le distanze dal gruppo. Come preventivato dallo stesso, la [[Battaglia della Lastra|battaglia di Lastra]] fu un vero e proprio fallimento con la morte di quattrocento uomini fra ghibellini e bianchi.  
Dopo i falliti tentati colpi di mano del 1302, Dante, in qualità di capitano dell'esercito degli esuli, organizzò insieme a Scarpetta Ordelaffi, capo del partito ghibellino e signore di Forlì (presso il quale Dante si era rifugiato), un nuovo tentativo di rientrare a Firenze. L'impresa fu però sfortunata: il podestà di Firenze, Fulcieri da Calboli (un altro forlivese, nemico degli Ordelaffi), riuscì ad avere la meglio nella battaglia di Castel Pulciano. Fallita anche l'azione diplomatica, nell'estate del 1304, del cardinale Niccolò da Prato<ref>«... 10 giugno: Niccolò da Prato lascia Firenze; ultima decade di giugno: i Neri consolidano il loro potere in città impadronendosi di tutte le cariche pubbliche». ({{Cita|Petrocchi|p. 97}}).</ref>, legato pontificio di papa Benedetto XI (sul quale Dante aveva riposto molte speranze), il 20 luglio dello stesso anno i bianchi, riuniti alla Lastra, una località a pochi chilometri da Firenze, decisero di intraprendere un nuovo attacco militare contro i neri<ref name="Pet97">{{Cita|Petrocchi|p. 97}}.</ref>. Dante, ritenendo corretto aspettare un momento politicamente più favorevole, si schierò contro l'ennesima lotta armata, trovandosi in minoranza al punto che i più intransigenti formularono su di lui dei sospetti di tradimento; pertanto decise di non partecipare alla battaglia e di prendere le distanze dal gruppo. Come preventivato dallo stesso, la battaglia di Lastra fu un vero e proprio fallimento con la morte di quattrocento uomini fra ghibellini e bianchi.  


===La prima fase dell'esilio (1304-1310)===
===La prima fase dell'esilio (1304-1310)===
====Tra Forlì e la Lunigiana dei Malaspina====
====Tra Forlì e la Lunigiana dei Malaspina====
[[File:Castelnuovo Magra - Castello2.JPG|miniatura|Il castello-palazzo vescovile di Castelnuovo dove Dante nel 1306 pacificò i rapporti tra i Marchesi Malaspina e i Vescovi-Conti di Luni.]]
[[File:Castelnuovo Magra - Castello2.JPG|miniatura|Il castello-palazzo vescovile di Castelnuovo dove Dante nel 1306 pacificò i rapporti tra i Marchesi Malaspina e i Vescovi-Conti di Luni.]]
Dante fu, dopo la battaglia della Lastra, ospite di diverse corti e famiglie della [[Romagna]], fra cui gli stessi [[Ordelaffi]]. Il soggiorno forlivese non durò a lungo, in quanto l'esule si spostò prima a [[Bologna]] (1305), poi a [[Padova]] nel 1306 e infine nella [[Marca Trevigiana]] presso [[Gherardo III da Camino]]. Da qui, Dante fu chiamato in [[Lunigiana]] da [[Moroello Malaspina]] (quello di Giovagallo, visto che più membri della famiglia portavano questo nome), col quale il poeta entrò forse in contatto grazie all'amico comune, il poeta [[Cino da Pistoia]]. In Lunigiana (regione in cui giunse nella primavera del 1306), Dante ebbe l'occasione di negoziare la missione diplomatica per un'ipotesi di pace tra i Malaspina e il [[Diocesi di Luni|vescovo-conte di Luni]], [[Antonio Nuvolone da Camilla]] (1297 – 1307). In qualità di procuratore plenipotenziario dei [[Malaspina]], Dante riuscì a far firmare da ambo le parti la [[pace di Castelnuovo]] del 6 ottobre del 1306, successo che gli fece guadagnare la stima e la gratitudine dei suoi protettori. L'ospitalità malaspiniana è celebrata nel [[Purgatorio - Canto ottavo|Canto VIII del ''Purgatorio'']], dove al termine del componimento Dante formula alla figura di [[Corrado Malaspina (il Giovane)|Corrado Malaspina il Giovane]] l'elogio del casato: {{citazione|[...] e io vi giuro.../... che vostra gente onrata.../ sola và dritta e 'l mal cammin dispregia.|[[s:https://it.wikisource.org/wiki/Divina_Commedia/Purgatorio/Canto_VIII|Pg VIII, vv. 127-132]]}}
Dante fu, dopo la battaglia della Lastra, ospite di diverse corti e famiglie della Romagna, fra cui gli stessi Ordelaffi. Il soggiorno forlivese non durò a lungo, in quanto l'esule si spostò prima a Bologna (1305), poi a Padova nel 1306 e infine nella Marca Trevigiana presso Gherardo III da Camino. Da qui, Dante fu chiamato in Lunigiana da Moroello Malaspina (quello di Giovagallo, visto che più membri della famiglia portavano questo nome), col quale il poeta entrò forse in contatto grazie all'amico comune, il poeta Cino da Pistoia. In Lunigiana (regione in cui giunse nella primavera del 1306), Dante ebbe l'occasione di negoziare la missione diplomatica per un'ipotesi di pace tra i Malaspina e il vescovo-conte di Luni, Antonio Nuvolone da Camilla (1297 – 1307). In qualità di procuratore plenipotenziario dei Malaspina, Dante riuscì a far firmare da ambo le parti la pace di Castelnuovo del 6 ottobre del 1306, successo che gli fece guadagnare la stima e la gratitudine dei suoi protettori.  


Nel 1307, dopo aver lasciato la Lunigiana, Dante si trasferì nel [[Casentino]], dove fu ospite dei conti Guidi, conte di Battifolle e signori di [[Poppi]], presso i quali iniziò a stendere la cantica dell'''[[Inferno (Divina Commedia)|Inferno]]''.
Nel 1307, dopo aver lasciato la Lunigiana, Dante si trasferì nel Casentino, dove fu ospite dei conti Guidi, conte di Battifolle e signori di Poppi, presso i quali iniziò a stendere la cantica dell'''Inferno''.


===La discesa di Arrigo VII (1310-1313)===
===La discesa di Arrigo VII (1310-1313)===
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====Il ''Ghibellin fuggiasco''====
====Il ''Ghibellin fuggiasco''====


Il soggiorno nel casentino durò pochissimo tempo: tra il 1308 e il 1310 si può infatti ipotizzare che il poeta risiedesse prima a [[Lucca]] e poi a Parigi, anche se non è possibile valutare con certezza il soggiorno transalpino come già precedentemente esposto. Dante, molto più probabilmente, si trovava a [[Forlì]] nel [[1310]], dove ebbe la notizia, nel mese di ottobre, della discesa in [[Italia]] del nuovo imperatore [[Enrico VII di Lussemburgo|Arrigo VII]]. Dante guardò a quella spedizione con grande speranza, in quanto vi intravedeva non soltanto la fine dell'anarchia politica italiana<ref>Già da parecchi anni, l'Italia era stravolta da guerre civili tra le fazioni dei [[guelfi e ghibellini]]. Inoltre, dal 1305, [[papa Clemente V]] trasferì la sua corte ad [[Avignone]], mentre l'imperatore [[Alberto I d'Asburgo]] preferiva non intromettersi nelle questioni italiane, suscitando la violenza indignazione dantesca nella celebra apostrofe politica in ''[[s:Divina Commedia/Purgatorio/Canto VI|Pg]]'' [[s:Divina Commedia/Purgatorio/Canto VI|VI, 97-99]]: «O Alberto tedesco ch'abbandoni/costei [l'Italia] ch'è fatta indomita e selvaggia,/e dovresti inforcar li suoi arcioni...»</ref>, ma anche la concreta possibilità di rientrare finalmente a Firenze. Infatti l'imperatore fu salutato dai [[Guelfi e ghibellini|ghibellini]] italiani e dai fuoriusciti politici guelfi, connubio che spinse il poeta ad avvicinarsi alla fazione imperiale italiana capeggiata dagli [[Della Scala|Scaligeri]] di [[Verona]]. Dante, che tra il 1308 e il 1311 stava scrivendo il ''[[Monarchia (Dante)|De Monarchia]]'', manifestò le sue aperte simpatie imperiali, scagliando una violenta lettera contro i fiorentini il 31 marzo del 1311 e giungendo, sulla base di quanto affermato nell'''[[Epistole (Dante Alighieri)|epistola]]'' indirizzata ad Arrigo VII, a incontrare l'imperatore stesso in un colloquio privato. Non sorprende, pertanto, che [[Ugo Foscolo]] giungerà a definire Dante come un ghibellino: {{Citazione|E tu prima, Firenze, udivi il carme<br />Che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco.|[[Ugo Foscolo]], ''[[Dei sepolcri]]'', [[s:Pagina:Opere scelte di Ugo Foscolo II.djvu/70|vv. 173-174]]}}
Il soggiorno nel casentino durò pochissimo tempo: tra il 1308 e il 1310 si può infatti ipotizzare che il poeta risiedesse prima a Lucca e poi a Parigi, anche se non è possibile valutare con certezza il soggiorno transalpino come già precedentemente esposto. Dante, molto più probabilmente, si trovava a Forlì nel 1310, dove ebbe la notizia, nel mese di ottobre, della discesa in Italia del nuovo imperatore Arrigo VII. Dante guardò a quella spedizione con grande speranza, in quanto vi intravedeva non soltanto la fine dell'anarchia politica italiana<ref>Già da parecchi anni, l'Italia era stravolta da guerre civili tra le fazioni dei [[guelfi e ghibellini]]. Inoltre, dal 1305, [[papa Clemente V]] trasferì la sua corte ad [[Avignone]], mentre l'imperatore [[Alberto I d'Asburgo]] preferiva non intromettersi nelle questioni italiane, suscitando la violenza indignazione dantesca nella celebra apostrofe politica in ''[[s:Divina Commedia/Purgatorio/Canto VI|Pg]]'' [[s:Divina Commedia/Purgatorio/Canto VI|VI, 97-99]]: «O Alberto tedesco ch'abbandoni/costei [l'Italia] ch'è fatta indomita e selvaggia,/e dovresti inforcar li suoi arcioni...»</ref>, ma anche la concreta possibilità di rientrare finalmente a Firenze. Infatti l'imperatore fu salutato dai ghibellini italiani e dai fuoriusciti politici guelfi, connubio che spinse il poeta ad avvicinarsi alla fazione imperiale italiana capeggiata dagli Scaligeri di Verona. Dante, che tra il 1308 e il 1311 stava scrivendo il ''De Monarchia'', manifestò le sue aperte simpatie imperiali, scagliando una violenta lettera contro i fiorentini il 31 marzo del 1311 e giungendo, sulla base di quanto affermato nell'''epistola'' indirizzata ad Arrigo VII, a incontrare l'imperatore stesso in un colloquio privato.  


Il sogno dantesco di una ''[[Renovatio Imperii]]'' si infrangerà il 24 agosto del [[1313]], quando l'imperatore venne a mancare, improvvisamente, a [[Buonconvento]]. Se già la morte violenta di [[Corso Donati]], avvenuta il 6 ottobre del 1308 per mano di [[Rossellino Della Tosa]] (l'esponente più intransigente dei guelfi neri), aveva fatto crollare le speranze di Dante, la morte dell'imperatore diede un colpo mortale ai tentativi del poeta di rientrare definitivamente a Firenze.
Il sogno dantesco di una ''Renovatio Imperii'' si infrangerà il 24 agosto del 1313, quando l'imperatore venne a mancare, improvvisamente, a Buonconvento. Se già la morte violenta di Corso Donati, avvenuta il 6 ottobre del 1308 per mano di Rossellino Della Tosa (l'esponente più intransigente dei guelfi neri), aveva fatto crollare le speranze di Dante, la morte dell'imperatore diede un colpo mortale ai tentativi del poeta di rientrare definitivamente a Firenze.


===Gli ultimi anni===
===Gli ultimi anni===
[[File:Cangrande.portrait.png|miniatura|''Cangrande della Scala'', in un ritratto immaginario del XVII secolo. Abilissimo politico e grande condottiero, Cangrande fu mecenate della cultura e dei letterati in particolare, stringendo amicizia con Dante]]
[[File:Cangrande.portrait.png|miniatura|''Cangrande della Scala'', in un ritratto immaginario del XVII secolo. Abilissimo politico e grande condottiero, Cangrande fu mecenate della cultura e dei letterati in particolare, stringendo amicizia con Dante]]
====Il soggiorno veronese (1313-1318)====
====Il soggiorno veronese (1313-1318)====
All'indomani della morte improvvisa dell'imperatore, Dante accolse l'invito di [[Cangrande I della Scala|Cangrande della Scala]] a risiedere presso la sua corte di [[Verona]]<ref name=":7">{{Cita |Ferroni|p. 6}}.</ref>. Dante ebbe già modo, in passato, di risiedere nella città veneta, in quegli anni nel pieno della sua potenza. Petrocchi, come delineato prima nel suo saggio ''Itinerari danteschi'' e poi nella ''Vita di Dante''<ref>{{Cita|Petrocchi|p. 94|}}.</ref> ricorda come Dante fosse già stato ospite, per pochi mesi tra il [[1303]] e il [[1304]], presso [[Bartolomeo I della Scala|Bartolomeo della Scala]], fratello maggiore di Cangrande. Quando poi Bartolomeo morì, nel marzo del 1304, Dante fu costretto a lasciare Verona in quanto il suo successore, [[Alboino della Scala|Alboino]], non era in buoni rapporti col poeta<ref>Dante stesso, in ''[[s:Convivio/Trattato quarto|Convivio]]'' [[s:Convivio/Trattato quarto|IV, XVI, 6]], non ne elogia le qualità umane. Si veda:{{Cita|Varanini}}</ref>. Alla morte di Alboino, nel 1312, divenne suo successore il fratello Cangrande<ref name=":9">{{Cita web|autore=Andrea Mazzucchi|url=http://www.internetculturale.it/opencms/directories/ViaggiNelTesto/dante/a25.html|titolo=Cangrande della Scala|accesso=18 maggio 2015|editore=Internet Culturale|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150924035639/http://www.internetculturale.it/opencms/directories/ViaggiNelTesto/dante/a25.html#|dataarchivio=24 settembre 2015|urlmorto=sì}}</ref>, tra i capi dei ghibellini italiani e protettore (oltreché amico) di Dante<ref name=":9" />. Fu in virtù di questo legame che Cangrande chiamò a sé l'esule fiorentino e i suoi figli, dando loro sicurezza e protezione dai vari nemici che si erano fatti negli anni. L'amicizia e la stima tra i due uomini fu tale che Dante esaltò, nella cantica del ''Paradiso.''
All'indomani della morte improvvisa dell'imperatore, Dante accolse l'invito di Cangrande della Scala a risiedere presso la sua corte di Verona<ref name=":7">{{Cita |Ferroni|p. 6}}.</ref>. Dante ebbe già modo, in passato, di risiedere nella città veneta, in quegli anni nel pieno della sua potenza. Petrocchi, come delineato prima nel suo saggio ''Itinerari danteschi'' e poi nella ''Vita di Dante'' ricorda come Dante fosse già stato ospite, per pochi mesi tra il 1303 e il 1304, presso Bartolomeo della Scala, fratello maggiore di Cangrande. Quando poi Bartolomeo morì, nel marzo del 1304, Dante fu costretto a lasciare Verona in quanto il suo successore, Alboino, non era in buoni rapporti col poeta<ref>Dante stesso, in ''[[s:Convivio/Trattato quarto|Convivio]]'' [[s:Convivio/Trattato quarto|IV, XVI, 6]], non ne elogia le qualità umane. Si veda:{{Cita|Varanini}}</ref>. Alla morte di Alboino, nel 1312, divenne suo successore il fratello Cangrande, tra i capi dei ghibellini italiani e protettore (oltreché amico) di Dante. Fu in virtù di questo legame che Cangrande chiamò a sé l'esule fiorentino e i suoi figli, dando loro sicurezza e protezione dai vari nemici che si erano fatti negli anni. L'amicizia e la stima tra i due uomini fu tale che Dante esaltò, nella cantica del ''Paradiso.''


Nel 2018 viene scoperta da Paolo Pellegrini, docente dell'Università di Verona una nuova lettera, scritta probabilmente proprio da Dante nel mese di agosto del 1312 e spedita da Cangrande al nuovo imperatore Enrico VII; essa modificherebbe sostanzialmente la data del soggiorno veronese del poeta anticipando il suo arrivo al 1312 ed escluderebbe le ipotesi che volevano Dante a Pisa o in Lunigiana tra il 1312 ed il 1316<ref>{{Cita news|url=https://www.repubblica.it/scienze/2018/10/17/news/dante_docente_uinversitario_veronese_scopre_una_nuova_lettera_del_poeta-209179843/|titolo=Scoperta una nuova lettera di Dante che riscrive il suo esilio|pubblicazione=Repubblica|accesso=17 ottobre 2018}}</ref>.
Nel 2018 viene scoperta da Paolo Pellegrini, docente dell'Università di Verona una nuova lettera, scritta probabilmente proprio da Dante nel mese di agosto del 1312 e spedita da Cangrande al nuovo imperatore Enrico VII; essa modificherebbe sostanzialmente la data del soggiorno veronese del poeta anticipando il suo arrivo al 1312 ed escluderebbe le ipotesi che volevano Dante a Pisa o in Lunigiana tra il 1312 ed il 1316.


====Il soggiorno ravennate (1318-1321)====
====Il soggiorno ravennate (1318-1321)====
[[File:Andrea Pierini - Dante alla corte di Guido Novello.jpg|miniatura|Andrea Pierini, ''Dante legge la Divina Commedia alla corte di Guido Novello'', 1850, dipinto a olio, Palazzo Pitti-Galleria D'Arte Moderna, Firenze|alt=]]
[[File:Andrea Pierini - Dante alla corte di Guido Novello.jpg|miniatura|Andrea Pierini, ''Dante legge la Divina Commedia alla corte di Guido Novello'', 1850, dipinto a olio, Palazzo Pitti-Galleria D'Arte Moderna, Firenze|alt=]]
Dante, per motivi ancora sconosciuti, si allontanò da Verona per approdare, nel 1318, a [[Ravenna]], presso la corte di [[Guido Novello da Polenta]]. I critici hanno cercato di comprendere le cause dell'allontanamento di Dante dalla città scaligera, visti gli ottimi rapporti che intercorrevano tra Dante e Cangrande. Augusto Torre ipotizzò una missione politica a Ravenna, affidatagli dallo stesso suo protettore<ref>{{Cita|Torre}}.</ref> altri pongono le cause in una crisi momentanea tra Dante e Cangrande, oppure nell'attrattiva di far parte di una corte di letterati tra i quali il signore stesso (cioè Guido Novello), che si professava tale<ref>{{Cita web|autore=Marco Santagata|url=http://www.lavitadidante.it/cronologia-della-vita-di-dante-alighieri/|titolo=Cronologia della vita di Dante|accesso=18 maggio 2015|editore=Mondadori|data=2012|citazione=Le cause della partenza sono ignote: forse un accresciuto disagio per l’ambiente scaligero (di cui resterebbe testimonianza nell’aneddoto riferito da Petrarca, Rerum memorandarum libri II 83: Cangrande chiede a Dante come mai non riesce a rendersi gradito al pari di un buffone di corte, il poeta risponde che gli uomini apprezzano chi è simile a loro), forse la fama di amico delle lettere goduta dal nuovo signore o la possibilità di trovare una sistemazione ai figli (in questo periodo Pietro ottiene il rettorato di due chiese ravennati, S. Maria in Zenzanigola e S. Simone del Muro).}}</ref>. Tuttavia, i rapporti con Verona non cessarono del tutto, come testimoniato dalla presenza di Dante nella città veneta il 20 gennaio [[1320]], per discutere la ''[[Quaestio de aqua et terra]]'', l'ultima sua opera latina.
Dante, per motivi ancora sconosciuti, si allontanò da Verona per approdare, nel 1318, a Ravenna, presso la corte di Guido Novello da Polenta. I critici hanno cercato di comprendere le cause dell'allontanamento di Dante dalla città scaligera, visti gli ottimi rapporti che intercorrevano tra Dante e Cangrande. Augusto Torre ipotizzò una missione politica a Ravenna, affidatagli dallo stesso suo protettore altri pongono le cause in una crisi momentanea tra Dante e Cangrande, oppure nell'attrattiva di far parte di una corte di letterati tra i quali il signore stesso (cioè Guido Novello), che si professava tale. Tuttavia, i rapporti con Verona non cessarono del tutto, come testimoniato dalla presenza di Dante nella città veneta il 20 gennaio 1320, per discutere la ''Quaestio de aqua et terra'', l'ultima sua opera latina.


Gli ultimi tre anni di vita trascorsero relativamente tranquilli nella città romagnola, durante i quali Dante creò un [[Salotto letterario|cenacolo letterario]] frequentato dai figli [[Pietro Alighieri|Pietro]] e [[Jacopo Alighieri|Jacopo]]<ref>Come sottolineato da {{Cita |Petrocchi|pp. 198-199}}, Dante fu raggiunto dal resto della famiglia, compresa (forse) la moglie Gemma.</ref> e da alcuni giovani letterati locali, tra i quali [[Pieraccio Tedaldi]] e Giovanni Quirini<ref name="Pet198">{{Cita|Petrocchi|p. 198}}.</ref>. Per conto del signore di Ravenna svolse occasionali ambascerie politiche<ref>«... si può dedurre che il signore di Ravenna volle impegnarlo, e forse più volte, in ambascerie e relazioni cancelleresche, mai in un servizio continuo e ufficiale di segretario...» ({{Cita |Petrocchi|p. 198}}).</ref>, come quella che lo condusse a [[Repubblica di Venezia|Venezia]]. All'epoca, la città lagunare era in attrito con Guido Novello a causa di attacchi continui alle sue navi da parte delle [[Galea|galee]] ravennati<ref name="P221">{{Cita|Petrocchi|p. 221}}.</ref> e il [[Doge (Venezia)|doge]], infuriato, si alleò con [[Forlì]] per muovere guerra a Guido Novello; questi, ben sapendo di non disporre dei mezzi necessari per fronteggiare tale invasione, chiese a Dante di intercedere per lui davanti al [[Consiglio dei Pregadi|Senato veneziano]]. Gli studiosi si sono domandati perché Guido Novello avesse pensato proprio all'ultracinquantenne poeta come suo rappresentante: alcuni ritengono che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico degli [[Ordelaffi]], signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una via per comporre le divergenze in campo<ref>{{Cita|Dall'Onda|p. 158}}{{citazione|Tale fu la cagione dell'andata di Dante a Venezia che allora parve tanto più opportuna trattandosi di quistioni con gli Ordelaffi, giacché Dante era stato ''notario'' o segretario di Scarpetta Ordelaffi Signore di Forlì circa il 1307.}}
Gli ultimi tre anni di vita trascorsero relativamente tranquilli nella città romagnola, durante i quali Dante creò un [[Salotto letterario|cenacolo letterario]] frequentato dai figli Pietro e Jacopo<ref></ref> e da alcuni giovani letterati locali, tra i quali [[Pieraccio Tedaldi]] e Giovanni Quirini<ref name="Pet198">{{Cita|Petrocchi|p. 198}}.</ref>. Per conto del signore di Ravenna svolse occasionali ambascerie politiche<ref>«... si può dedurre che il signore di Ravenna volle impegnarlo, e forse più volte, in ambascerie e relazioni cancelleresche, mai in un servizio continuo e ufficiale di segretario...» ({{Cita |Petrocchi|p. 198}}).</ref>, come quella che lo condusse a [[Repubblica di Venezia|Venezia]]. All'epoca, la città lagunare era in attrito con Guido Novello a causa di attacchi continui alle sue navi da parte delle [[Galea|galee]] ravennati<ref name="P221">{{Cita|Petrocchi|p. 221}}.</ref> e il [[Doge (Venezia)|doge]], infuriato, si alleò con [[Forlì]] per muovere guerra a Guido Novello; questi, ben sapendo di non disporre dei mezzi necessari per fronteggiare tale invasione, chiese a Dante di intercedere per lui davanti al [[Consiglio dei Pregadi|Senato veneziano]]. Gli studiosi si sono domandati perché Guido Novello avesse pensato proprio all'ultracinquantenne poeta come suo rappresentante: alcuni ritengono che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico degli [[Ordelaffi]], signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una via per comporre le divergenze in campo<ref>{{Cita|Dall'Onda|p. 158}}{{citazione|Tale fu la cagione dell'andata di Dante a Venezia che allora parve tanto più opportuna trattandosi di quistioni con gli Ordelaffi, giacché Dante era stato ''notario'' o segretario di Scarpetta Ordelaffi Signore di Forlì circa il 1307.}}
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===''Vita Nova''===
===''Vita Nova''===
La ''Vita Nova'' può essere considerata il "romanzo" autobiografico di Dante, in cui si celebra l'amore per [[Beatrice Portinari|Beatrice]], presentata con tutte le caratteristiche proprie dello stilnovismo dantesco. Racconto della vita spirituale e della evoluzione poetica del Poeta, resa come ''exemplum'', la ''Vita nova'' è un [[prosimetro]] (brano caratterizzato dall'alternanza tra [[prosa]] e versi) e risulta strutturata in quarantadue (o trentuno)<ref>
La ''Vita Nova'' può essere considerata il "romanzo" autobiografico di Dante, in cui si celebra l'amore per [[Beatrice Portinari|Beatrice]], presentata con tutte le caratteristiche proprie dello stilnovismo dantesco. Racconto della vita spirituale e della evoluzione poetica del Poeta, resa come ''exemplum'', la ''Vita nova'' è un [[prosimetro]] (brano caratterizzato dall'alternanza tra [[prosa]] e versi) e risulta strutturata in quarantadue (o trentuno)<ref>
===''Convivio''===
===''Convivio''===
Il ''[[Convivio]]'' (scritta tra il [[1303]] e il [[1308]]) dal latino ''convivium'', ovvero "banchetto" (di sapienza), è la prima delle opere di Dante scritta subito dopo il forzato allontanamento di [[Firenze]] ed è il grande manifesto del fine "civile" che la letteratura deve avere nel consorzio umano. L'opera consiste in un commento a varie canzoni dottrinali poste all'''[[incipit]]'', una vera e propria [[enciclopedia]] dei saperi più importanti per coloro che vogliano dedicarsi all'attività pubblica e civile senza aver compiuto gli studi regolari. È pertanto scritta in volgare per essere appunto capita da chi non ha avuto la possibilità in precedenza di studiare il [[Lingua latina|latino]].  
Il ''[[Convivio]]'' (scritta tra il [[1303]] e il [[1308]]) dal latino ''convivium'', ovvero "banchetto" (di sapienza), è la prima delle opere di Dante scritta subito dopo il forzato allontanamento di [[Firenze]] ed è il grande manifesto del fine "civile" che la letteratura deve avere nel consorzio umano. L'opera consiste in un commento a varie canzoni dottrinali poste all'''[[incipit]]'', una vera e propria [[enciclopedia]] dei saperi più importanti per coloro che vogliano dedicarsi all'attività pubblica e civile senza aver compiuto gli studi regolari. È pertanto scritta in volgare per essere appunto capita da chi non ha avuto la possibilità in precedenza di studiare il [[Lingua latina|latino]].  


===''De vulgari eloquentia''===
===''De vulgari eloquentia''===
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===''Commedia''===
===''Commedia''===
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La ''Comedìa'' — titolo originale dell'opera: successivamente [[Giovanni Boccaccio]] attribuì l'aggettivo "Divina" al poema dantesco — è il capolavoro del poeta fiorentino ed è considerata la più importante testimonianza letteraria della civiltà medievale nonché una delle più grandi opere della letteratura universale. Viene definita "comedia" in quanto scritta in stile "comico", ovvero non aulico. Un'altra interpretazione si fonda sul fatto che il poema inizia da situazioni piene di dolore e paura e finisce con la pace e la sublimità della visione di Dio. Dante iniziò a lavorare all'opera intorno al [[1300]] ([[Giubileo universale della Chiesa cattolica|anno giubilare]], tanto che egli data al 7 aprile di quell'anno il suo viaggio nella ''selva oscura'') e la continuò nel resto della vita, pubblicando le cantiche man mano che le completava<ref>Secondo una notizia tramandata dal Boccaccio, da Benvenuto e dall'anonimo fiorentino, i primi sette canti sarebbero stati composti a Firenze prima dell'esilio. Rimasti a Firenze e ritrovati da sua moglie, sarebbero stati consegnati al poeta durante il suo soggiorno in Lunigiana, dove avrebbe ripreso la composizione dell'opera. Sulla questione si veda: {{Cita|Ferretti 1935}} e {{cita|Ferretti 1950|pagine=3-25}}</ref>. Si hanno notizie di copie manoscritte dell'[[Inferno (Divina Commedia)|''Inferno'']] intorno al [[1313]], mentre il [[Purgatorio (Divina Commedia)|''Purgatorio'']] fu pubblicato nei due anni successivi. Il [[Paradiso (Divina Commedia)|''Paradiso'']]''''', '''''iniziato forse nel [[1316]], fu pubblicato man mano che si completavano i canti negli ultimi anni di vita del poeta. Il poema è diviso in tre libri o [[Cantica|''cantiche'']], ciascuno formato da 33 [[canto (metrica)|canti]] (tranne l'Inferno che ne presenta 34, poiché il primo funge da [[proemio]] all'intero poema) e a cui corrispondono i tre stili della ''[[Rota Vergilii]]''<ref>Si guardi la sezione dedicata allo stile.</ref>; ogni canto si compone di terzine di endecasillabi (la [[terzina dantesca]]). [[File:Alighieri - Divina Commedia, Nel mille quatro cento septe et due nel quarto mese adi cinque et sei - 2384293 id00022000 Scan00006.jpg|miniatura|''Divina Commedia'', 1472.]]
La ''Comedìa'' — titolo originale dell'opera: successivamente [[Giovanni Boccaccio]] attribuì l'aggettivo "Divina" al poema dantesco — è il capolavoro del poeta fiorentino ed è considerata la più importante testimonianza letteraria della civiltà medievale nonché una delle più grandi opere della letteratura universale. Viene definita "comedia" in quanto scritta in stile "comico", ovvero non aulico. Un'altra interpretazione si fonda sul fatto che il poema inizia da situazioni piene di dolore e paura e finisce con la pace e la sublimità della visione di Dio. Dante iniziò a lavorare all'opera intorno al [[1300]] ([[Giubileo universale della Chiesa cattolica|anno giubilare]], tanto che egli data al 7 aprile di quell'anno il suo viaggio nella ''selva oscura'') e la continuò nel resto della vita, pubblicando le cantiche man mano che le completava<nowiki><ref>Secondo una notizia tramandata dal Boccaccio, da Benvenuto e dall'anonimo fiorentino, i primi sette canti sarebbero stati composti a Firenze prima dell'esilio. Rimasti a Firenze e ritrovati da sua moglie, sarebbero stati consegnati al poeta durante il suo soggiorno in Lunigiana, dove avrebbe ripreso la composizione dell'opera. Sulla questione si veda: </nowiki>{{Cita|Ferretti 1935}} e {{cita|Ferretti 1950|pagine=3-25}}</ref>. Si hanno notizie di copie manoscritte dell'[[Inferno (Divina Commedia)|''Inferno'']] intorno al [[1313]], mentre il [[Purgatorio (Divina Commedia)|''Purgatorio'']] fu pubblicato nei due anni successivi. Il [[Paradiso (Divina Commedia)|''Paradiso'']]''''', '''''iniziato forse nel [[1316]], fu pubblicato man mano che si completavano i canti negli ultimi anni di vita del poeta. Il poema è diviso in tre libri o [[Cantica|''cantiche'']], ciascuno formato da 33 [[canto (metrica)|canti]] (tranne l'Inferno che ne presenta 34, poiché il primo funge da [[proemio]] all'intero poema) e a cui corrispondono i tre stili della ''[[Rota Vergilii]]''<ref>Si guardi la sezione dedicata allo stile.</ref>; ogni canto si compone di terzine di endecasillabi (la [[terzina dantesca]]). [[File:Alighieri - Divina Commedia, Nel mille quatro cento septe et due nel quarto mese adi cinque et sei - 2384293 id00022000 Scan00006.jpg|miniatura|''Divina Commedia'', 1472.]]
La ''Commedia'' tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, ben lontana dalla pedante [[Poesia didascalica|poesia didattica]] medievale, ma intrisa di una spiritualità cristiana nuova che si mescola alla passione politica e agli interessi letterari del poeta. Si narra di un [[viaggio immaginario]] nei tre regni dell'aldilà, nei quali si proiettano il bene e il male del mondo terreno, compiuto dal poeta stesso, quale "simbolo" dell'umanità<ref name="Gu164" />, sotto la guida della [[ragione]] e della [[fede]]. Il percorso tortuoso e arduo di Dante, il cui linguaggio diventa sempre più complesso quanto più egli sale verso il ''Paradiso'', rappresenta, sotto [[metafora]], anche il difficile processo di maturazione linguistica del volgare illustre, che si emancipa dai confini angusti municipali per far assurgere il volgare fiorentino al di sopra delle altre varianti del volgare italiano, arricchiendolo nel contempo con il loro contatto''.'' Dante è accompagnato sia nell''<nowiki/>'Inferno'' che nel ''Purgatorio'' dal suo maestro Virgilio; in ''Paradiso'' da Beatrice e, infine, da [[Bernardo di Chiaravalle|san Bernardo]].
La ''Commedia'' tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, ben lontana dalla pedante [[Poesia didascalica|poesia didattica]] medievale, ma intrisa di una spiritualità cristiana nuova che si mescola alla passione politica e agli interessi letterari del poeta. Si narra di un [[viaggio immaginario]] nei tre regni dell'aldilà, nei quali si proiettano il bene e il male del mondo terreno, compiuto dal poeta stesso, quale "simbolo" dell'umanità<ref name="Gu164" />, sotto la guida della [[ragione]] e della [[fede]]. Il percorso tortuoso e arduo di Dante, il cui linguaggio diventa sempre più complesso quanto più egli sale verso il ''Paradiso'', rappresenta, sotto [[metafora]], anche il difficile processo di maturazione linguistica del volgare illustre, che si emancipa dai confini angusti municipali per far assurgere il volgare fiorentino al di sopra delle altre varianti del volgare italiano, arricchiendolo nel contempo con il loro contatto''.'' Dante è accompagnato sia nell''<nowiki/>'Inferno'' che nel ''Purgatorio'' dal suo maestro Virgilio; in ''Paradiso'' da Beatrice e, infine, da [[Bernardo di Chiaravalle|san Bernardo]].