Simone Consorti

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Simone Consorti.

Simone Consorti è nato a Roma il 4 aprile 1973.

E' scrittore, fotografo. Autore di opere teatrali e poesie.

Le sue opere teatrali  "Berlino kaputt mundi" e "Sterile come il nostro amore sono state rappresentate rispettivamente al Teatro Agorà e al Teatro Antigone di Roma tra il marzo ed il giugno del 2018. Come fotografo si occupa di street photography e ha tenuto mostre personali in Italia. In Francia ed in Russia ha partecipato a mostre collettive

Libri

  • L'uomo che scrive sull'acqua - 1999 Baldini e Castoldi Premio Euroclub, Premio Linus
  • Sterile come il tuo amore - 2008 Besa Editrice
  • In fuga dalla scuola e verso il mondo - 2009 Hacca Edizioni
  • A tempo di sesso - 2012 Besa Editrice
  • Da questa parte della morte - 2015 Besa Editrice
  • Otello ti presento Ofelia - 2018 L'erudita Editore
  • La pioggia a Cracovia - 2019 L'Ensemble Edizioni
  • Vi dichiaro marito e moglie - 2021 L'Ensemble Edizioni

Premi (Primi posti, elenco parziale)

  • Concorso Poetico di Bottega di idee con la poesia "Ti ho dato appuntamento senza dirtelo" 2022
  • Concorso Poetico Bottega di Idee con la silloge "Ti ho dato appuntamento  senza dirtelo"  2022

Intervista

(A cura di Maria Luisa Dezi, giugno 2022)

D.Hai vinto il primo premio. Te lo aspettavi?

R.Mi piace essere sorpreso. Sono felice quando mi capita qualcosa di bello che non mi aspetto. Sono uno che va avanti a passetti, fa progettini,  progetti, pianifica, ma, quando mi capita di realizzare ciò che ho in mente è una cosa diversa: una soddisfazione incompleta, niente di più; nulla a che fare con la vera felicità, che giunge sempre un po' inaspettata. Così anche con i premi. A volte mi dimentico apposta di avervi partecipato in modo che l'esito (in genere dopo tanti mesi) giunga inaspettato. Pure con le persone non è diverso; quando mi aspetto qualcosa, resto deluso. Come se, in quella sorta baratto che è ogni rapporto umano, fossi stato fregato. Invece la magia di un primo appuntamento, di un incontro al buio, di un amore che ritorna quando non ci credevi più, sono qualcosa di unico.

D. A chi è dedicata questa poesia? Chi stai aspettando che non verrà?

R. La poesia è costruita su di un paradosso. Darsi appuntamento è definire un tempo e uno spazio, un luogo e un orario. Dare appuntamento a una persona senza dirglielo e aspettarsi davvero che venga è come attendere un miracolo, e per i miracoli bisogna essere preparati, non ci si può presentare in ritardo o all'ultimo momento. Comunque la poesia è dedicata a un'amica, di cui mi sono innamorato perdutamente, nel senso che temo d'averla persa.

D.Comunque è una poesia in cui ognuno si può riconoscere, in cui ognuno può metterci dentro qualcosa. Non è forse questa l'arte? Quando l'opera ti risucchia

R, Quando ho scritto quella poesia di getto, pensavo a chi continua ad aspettare chi non torna più.  Chi rimane avviluppato in un amore finito. Immaginavo anche che a qualche lettore sarebbe venuto in mente il Godot di Beckett e ad altri l'attesa di Dio da parte di un fedele.

D.Come definiresti la tua poesia? A parte questa, di solito la tua poesia fa riferimento a momenti storici ben definiti.

R.La mia poesia è secca e musicale, un’idea che fa un bel suono. È il contenitore di una voce spesso dissacrante e insieme ironica, a cui piace prendere in giro le frasi fatte e gli stereotipi. Allo stesso tempo è un auto da fé; la voce di chi, per primo, prende in giro se stesso.

D.So che una poesia a cui tieni particolarmente è Come si scrive Auschwitz. Poesia molto triste ma per un motivo diverso da quello che ci si aspetterebbe.

R.Quella poesia è nata a scuola il 27 gennaio. In classe, gli alunni fanno sempre questa domanda asettica e ortografica. Non è perché siano insensibili a quello che hanno appena sentito o visto, ma è il loro modo per rimuoverlo. Parlare di spelling è una maniera per prendere le distanze da quelle atrocità. D’altra parte, lo è anche mangiare würstel o fare selfie in quei luoghi, pratica di tanti turisti: sono tutte, in un modo o nell’altro, rimozioni.

D.Le tue fotografie mi piacciono tantissimo. Le tue foto scattate per strada catturano attimi che raccontano una storia. Ci trovo anche tanta affinità per quegli  sconosciuti che inquadri, ma allora perchè definirle "sporche radiografie dell'anima"'? R. In realtà la definizione è di Ingmar Bergman, che definiva così i suoi primissimi piani che spesso rivelavano quel che era più in profondità di una maschera o una faccia. Anche io amo i primissimi piani. Con i miei scatti o con le mie poesie ho la presunzione di poter rivelare a volte qualcosa che può trapelare da un dettaglio o da un particolare. Nello specifico, per quanto riguarda le immagini, mi ritrovo nella definizione bergmaniana di “sporche”, perché la foto non si censura, non è qualcosa di edulcorato, in quanto consiste in un occhio sempre aperto, senza palpebre, su quel che ha davanti. D. Perché la scelta, tra l'altro molto indovinata, del bianco e nero?

R.Il bianco e nero dà l’idea di qualcosa fuori dal tempo. Sottraendo il colore, la foto in bianco e nero permette di concentrarsi di più sulla composizione. D’altra parte, la foto, ogni foto, offre la possibilità di cristallizzare un momento; è già ricordo nel momento in cui è scattata, qualcosa che è e qualcosa che, insieme, è stato. Il bianco e nero, tipico della fotografia e del cinema di un'altra epoca, permette di consegnare l’attimo che già sta passando al tempo a cui è destinato.

D.Tra l'altro la tua fotografia è legata indissolubilmente al viaggiare perché fotografi principalmente quando viaggi. Come nasce una tua fotografia? E' come se ti trovassi sempre al posto giusto al momento giusto.

R.Raramente, quando parto con la mia macchina, ho un progetto fotografico. Di solito vado dove so che troverò scene o visi interessanti, città dove si vive all’aperto, dove i visi non sono di plastica, Napoli, Palermo, Istanbul, Tibilisi. Scatto tutto, preoccupandomi giusto di costruire un’inquadratura, interessandomi soprattutto a quel che mi sembra essere una storia. Mi piace girare dall’alba al tramonto, come una specie di perdigiorno o di vagabondo e misurare le giornate per fotogrammi e scatti. A volte un singolo giro del sole può riservare tantissime storie; racconti di espressioni, di gesti, di azioni. Molti scatti sono semplici cartoline, pochi possono essere definiti foto, ma le storia sono un’altra cosa. Vere e proprie illuminazioni. Sono rivelazioni. Ogni foto che è una storia per me rappresenta un regalo, il corrispondente di quello che Valery chiamava “il verso gratis”.

D.Hai reso perfettamente l'idea..Qual è il luogo che più ti è rimasto nel cuore?

R. Tanti, in genere i posti dove arrivo al tramonto, quando la luce è accogliente, non troppo accecante né eccessivamente fredda. I posti in cui accade qualcosa di speciale, magari un incontro inaspettato. Amo, in particolare, le città d’acqua, i canali di Bruges; Istanbul e i suoi mari, le magiche città sul Baltico, per esempio Lubecca, con le sue case a guglie, dove sembra di ritrovare i borghesi raccontati così bene nei Buddenbrook di Thomas Mann. Ho nel cuore Cracovia, una delle città in assoluto più romantiche, che ho fotografato riflessa dalle sue pozzanghere. In definitiva, amo le città che hanno storie da raccontare e bei cimiteri. Londra per i suoi parchi, Salamanca per i suoi colori e Firenze perché ogni volta che ci ritorno, proprio ogni volta, mi succede qualcosa.

D. E c'è un posto in cui non sei ancora stato ed in cui vorresti andare?

R.Tantissimi. Le città coloniali del Messico, i paesi dell’ex Unione sovietica, e poi il Nilo. Vorrei farmi una bella camminata sul Nilo tra Luxor e Assuan. L’ho immaginata tante volte, questa camminata tra i templi, scrivendo di quel momento, quando non avevo la pazienza di attenderlo.

D.Scrivi anche romanzi e di uno di questi c'è stata una trasposizione teatrale: Berlino, kaputt mundi. in cui immagini un Hitler sopravvissuto a Berlino. Anche qui c'è un riferimento storico. Che cosa ti piace della storia?

R.Mi piace raccontare ciò di cui sono testimone oculare. Quel che ho vissuto o in qualche modo esperito. L’Hitler della mia piéce, in realtà, è un’allegoria. Il dittatore, nella mia opera, sopravvive alla guerra perdendo la memoria. Nessun senso di colpa; è un vecchio malato e inoffensivo, ma nessuno è veramente inoffensivo una volta che è diventato un simbolo. Questo è l’idea di fondo dello spettacolo integrale che si può trovare su Youtube. Quel periodo storico mi interessa molto. Hitler torna anche in altre poesie e nel mio racconto Eva Hitler, presente nel mio libro Otello ti presento Ofelia (L’erudita, 2018)

D.Quanto c'è di autobiografico invece negli altri romanzi che hai scritto?

R.Nei miei romanzi parto da un dato di realtà, e mi spingo con la fantasia dove non sono riuscito ad arrivare con l’esperienza. Diciamo che l’esperienza mi porta fino al punto in cui posso proseguire da solo, scegliendo tra diverse strade. Nel mio romanzo Sterile come il tuo amore (Besa, 2008), per esempio, parlo di una coppia che prova ad avere un figlio con la fecondazione assistita. Anch’io ho vissuto problemi di sterilità, ma rispetto a dove arrivano i personaggi del romanzo, mi sono fermato prima. Invece, In fuga dalla scuola e verso il mondo (Hacca, 2009), io, che nella vita faccio il professore, mi sdoppio nei due personaggi dell’insegnante e dell’alunno assegnando a ciascuno di loro una parte di me, oltre il coraggio, che mi è sempre mancato, di portare alle estreme conseguenze le loro idee.