O mio paese

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di Cheikh Tidiane Gaye

O mio paese

A tutti i Paesi in guerra

Il mio nuovo popolo dorme ai fianchi dei cimiteri
accoglie il vento dei sordi nella notte dei muti, per infine
elevarsi all’orizzonte dalle bocche del cratere.
Il mio paese sanguina e dal suo sangue tradisce le cantiche dei saggi,
sanguina e dal suo sangue asciuga i sorrisi, luce scintillante
nella chiara luna
sanguina e disseta lingue di vipera
sanguina e nella corrente delle onde piange
d’avere mentito ai saggi, ai bambini, ai sorrisi di meraviglia.
Il mio paese trema, sonnecchia e dorme ai fianchi dei cimiteri.
La lingua sanguina e perde la sua bontà,
bellezza che i maiuscoli poeti
aureolavano, cantavano sotto l’ombra celeste.
Gli occhi sanguinano sguardi spaccati da cattive parole
parole che accecano e ingannano i pensieri,
le mie mani sanguinano per non avere più le unghie.
Anche la pipa avrebbe chiesto il fumo di sempre
anche il cane non abbaia più dietro la mandria
tradito, imbevuto nella desolazione,
il mio paese sanguina, gola sanguinante
che incanta con grida di sangue.
Io disincanto il mio paese di comignoli,
dai camini tortuosi di fango e di argilla
che non sorride che a lagune di lacrime.
Il mio paese si stufa,
piange
fiori che appassiscono nelle penombre della tristezza.
È morta questa terra senza canzoni e senza danze:
il pittore rinnega la sua pittura,
il poeta la sua prosa e lo spirito la sua memoria.
Il viso lacrima lacrime di piombo su laterizi di miseria.
Il mio paese non si orienta più ai quattro punti cardinali
il mio paese è all’orizzonte degli incubi, e nella messa
predica solo sangue, lacrime e grida di furia
il mio paese si lega alle corna appuntite lame, lamelle taglienti
predica solo sangue e grida di disperazione. 18

Non è più il vento che mi accarezzava dalle mani soffici:
è il cammino senza uscita e la porta chiusa dei cantastorie.
Il mio paese mi ha tradito,
traditori dai nasi camusi e dalle bocche miscelate
che mi dettano la sottomissione alle loro missioni senza latte
e senza pane
senza fave e senza fagioli
senza miglio e senza mais
solo sangue, sangue delle brave vene.
Il mio bel paese accende nella notte dei sogni
racconti dei miti delle grotte, dove la lingua germoglia
melodie che profumano i delfini, marinai di conquiste,
acqua benedetta limpida, protetta come il carapace delle tartarughe.
Nel mio paese il sangue dei leoni inonda i pozzi
la bravura delle donne si misura nella larghezza delle loro mani,
mani nutrite d’umiltà.
Nel mio paese si affilano gli spiriti dei giovani, piloti delle maree:
nella traversata degli oceani le onde delle querele periscono
affinché la gioia rifiorisca sotto il suolo ammaccato.
Svegliati, o mio Paese!
Ti ho conosciuto sotto l’albero della nobiltà
e mi confondi con le ali dell’aquila e gli occhi dei gufi
ma sono il bastone luce della tua discendenza,
mi confondi con i denti taglienti dei coccodrilli
ma sono il rematore che accosterà la tolleranza alle tue spiagge
confondi la mia voce ai ruggiti dei leoni
ma sono la voce che fiorirà gioia nel tuo cuore.
O svegliati mio paese, svegliati
per non svegliarti più nelle ceneri
svegliati mio bel paese, svegliati
per raccogliere le uova mature dei tuoi bravi figli
infine svegliati, svegliati
per non più addormentarti tra le onde della discordia.
Il tuo figliol prodigo.


Pubblicazioni

Tratta da:

  • Cheikh Tidiane Gaye, Il canto del djali - Voce del saggio, parole di un cantore, Milano, Edizione dell'arco, 2007, ISBN:978-88-7876-086-8.

Note