Ho perso la chitarra

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di Cheikh Tidiane Gaye

Ho perso la chitarra

Sono tornato di nuovo sotto l’ombra, nella brezza
dei ricordi, per sollevarmi dal silenzio dei miei anni
che il tempo non riconosce; dolente memoria che scorre
nel fiume delle reminiscenze, sono un dannato
la terra il nido che mi tradisce
e arde il mio respiro.
Ho perso la chitarra,
non canto la canzone per addolcire il mio cuore deserto
non si leggono più le radiose radici dei miei occhi,
le melodie mute, i colori pigri,
il cielo
non mi racconta più le missive delle stelle.
Piango,
la pianta non fiorisce
ma il mio cuore sboccia sempre di speranza
la canzone perde la forza luminosa
che non rischiara la mia stanza
priva di fiamma;
l’azzurro del cielo non canta
e non accoglie più le sue stelle
le stelle diventano orfane,
l’unico orfanotrofio
che imprigiona le parole
che erano candele, profumi e incenso.
La mia esistenza diventa una prigione.
Non dipingo più
i quadri non sono più appesi
i colori non parlano più.
Non ballo
i miei piedi non si sollevano
le catene della tristezza mi fanno inciampare.
Non mi oriento,
non so dove appendere il sospiro;
non so davvero
dove inchinarmi per invocare le sillabe

di fuoco e di fiamma,
il vento non mi accarezza,
il tempo mi offre fantasmi
la musica una cacofonia
il mio letto la terra, la mia camera il bosco
una capanna senza pane
ho perso tutto tranne il cielo e la notte
entrambi mi lodavano e la luna mi illuminava.
Ho perso la chitarra nelle vie della sofferenza
ho perso la voce
ma ho la lingua per raccontare la mia canzone
intrecciata nel buio del silenzio,
il buio rinfrescante ma candido
che mi sussurrava le note nella notte
sotto il chiarore della luna.
Sono un dannato della terra,
la mia stanza è priva di pane, di zucchero
di sale, di calore e di colore
di luce e di acqua.
Non canto
la mia voce carcerata
non dipingo
non ho la tela né il pennello
nemmeno i colori
dov’è mio essere?
La mia vita è una strada storta che non posso tracciare
una favola che non posso raccontare
una leggenda che non posso immortalare
un viaggio che nessuno può intraprendere.
In piedi
da solo
intorno a me
i topi
la fabbrica abbandonata
a volte il fulmine
a volte la tromba d’aria
a volte la tromba che canticchia
a volte la neve
a volte la pioggia

la mia canzone è il soffio del vento
l’aria della pioggia
il mio calendario furono le stagioni
l’estate la mia liberazione
l’inverno il mio carcere
e l’umanità mi respinge come la zanzara
la mia ombra non urge.
La mia ombra è improntata
nei campi di mele
e di mandarini
di pomodori
e di pompelmi e di patate,
la mia ombra è
una strada senza nome
una via senza nome.
Sono il cestino raccoglitore
che la casa respinge
la casa mi piazza in strada
la strada che mi butta
il camioncino mi porta per il riciclo;
nessuno mi chiede
né il mio nome né il passaporto
Dov’è il mio essere?


Pubblicazioni

Tratta da:

  • Cheikh Tidiane Gaye, Ode nascente - Ode naissante, Milano, Edizione dell'arco, 2009, ISBN 978-88-7876-120-9. Con prefazione di Itala Vivan.
  • Kanaga Edizioni, 2019

Note