Abortito

di Cheikh Tidiane Gaye

Abortito

Abortito, sepolto, vive
rivissuto
si alza imboccando la strada grondata
di bandiere, di salive e di sguardi soffocati
si alza e sfama
vive e annaffia
sei l’universo della parola.

Alfabeto, non sei solo sillaba
né lettera, né suono, né sguardo
non sei solo tuono né cadenza
sei anche l’incenso
l’aroma sapore di melodie.
Ho curato la mia ferita nel ventre del flauto
non mordo il suono del vento
colgo l’aria per dissodare le bocche orfane di melodie
e seppellire le doglie delle notti tristi.

Appassiscono gli alberi
ma la parola rimane
per cantare l’autunno
quando si spegne il cielo
quando piange la terra
rimane l’eterna:
la parola il pozzo
che non si asciuga mai.

Parola
sono eterna
il mio verbo il silenzio
limpido come il sorriso del bambino
il sogno mi illude
il saggio mi loda
poiché cerco il tuo rifugio
per sfuggire
all’oscuro destino
della fatalità.

Il sole mi riscalda
l’aria mi dà vita
la luna ravviva i miei sogni
la parola irrora la mia anima
la parola non teme nulla
nemmeno il silenzio del sepolcro.

Guarisce le ferite del tempo
la meraviglia della parola
è la sua limpidezza
è l’attore che recita le nostre
peripezie;
è il pittore che restituisce
al buon mattino
il suo risveglio
e non tramonta mai;
è la lingua sapore di sale
che penetra nei nostri pensieri;
è una carezza che ci addormenta
sotto l’ombrello delle nostre ansie.

Il mare disperato non cerca confini
la parola ricca non ha bisogno di essere sedata
il risveglio dell’anima che non dorme mai
rende le nostre spiagge un telaio
che ospiterà ogni nostro battito del cuore.

Busso la tua camera fiorita e colorata
mi si spalanca la tua finestra dorata
che si affaccia nel lago lessicale
dove le onde domate scuotono le righe
soave che l’orecchio apprezza e l’anima giova
sono il carpentiere
ogni lettera è una ricchezza
un pilastro
e la mia casa, una capanna
che sforna la poesia nel braciere d’incenso.

Fra le ali del silenzio
sui corsi e sulle corsie del mistero
si sporge l’occhio abbandonato
qualcuno lo chiama misero
qualcuno dice povero
qualcuno addirittura dice arido
ma so che sei l’inchiostro del verso.

Che il sogno si nutra di incubo
non sorprende nessuno
che la notte si vanti del buio
ci rende solo felici
che l’alba dipinga di latte il cielo
è una meraviglia
ma dal profumo della parola
vorrei che si cantasse il futuro
perché domani sarà sempre una nuova alba.

Conclave per partorire i miei versi
ti lodo alfabeto,
mi rivesto del tuo nome
ti canto e ti supplico
di guarire le mie piaghe

non dormire sotto le lenzuola
la tua pioggia cade
sulla mia terra arida
in cerca di benedizioni
non punire il mio linguaggio sereno,
non mi abbandonare in cattedra,
non mi mandare a redigere le mie prose
non gettare la tua saliva sobria nel vuoto
che caccia il demone nei miei sogni
ma annaffia le mie strade deserte e orfane
della purezza del ritmo e dei riti
la tua parola può anche non essere scritta

sono nato nella capanna dei versi
che la mia lingua tesse
e la mia bocca sforna
voglio spegnermi in piedi
stringendo il flauto
della mia oralità.



                        

Pubblicazioni

Tratta da Cheikh Tidiane Gaye, Curve alfabetiche, Melegnano, Edizione Montedit, 2011, ISBN 9788865870808.[1]

Note