Dante Alighieri: differenze tra le versioni

 
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'''Dante Alighieri'''. (29 giugno 2019). ''Wikipedia, L'enciclopedia libera''. Tratto il 25 luglio 2019, 15:00 da //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Dante_Alighieri&oldid=106174940.  
[[File:Portrait de Dante.jpg|miniatura|Dante Alighieri]]
'''Dante Alighieri''', o '''Alighiero''', battezzato '''Durante di Alighiero degli Alighieri''' e anche noto con il solo nome '''Dante''', della famiglia Alighieri (Firenze, tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265 – Ravenna, notte tra il 13 e il 14 settembre 1321), è stato un poeta, scrittore e politico italiano.


Il nome "Dante", secondo la testimonianza di Jacopo Alighieri, è un ipocoristico di Durante<ref name="Cont1970">{{Cita|Contini 1970|pp. 895-901}}{{citazione|l’Alighieri era per solito designato con l’ipocorismo ‘Dante’ (unicamente in un atto del 1343, rogato in favore del figlio Iacopo, il defunto padre è denominato "Durante, ol. vocatus Dante, cd. Alagherii")}}</ref>; nei documenti era seguito dal patronimico Alagherii o dal gentilizio ''de Alagheriis'', mentre la variante Alighieri si affermò solo con l'avvento di [[Boccaccio]].  
Il nome "Dante", secondo la testimonianza di Jacopo Alighieri, è un ipocoristico di Durante; nei documenti era seguito dal patronimico Alagherii o dal gentilizio ''de Alagheriis'', mentre la variante Alighieri si affermò solo con l'avvento di Boccaccio.<ref>'''Dante Alighieri'''. (29 giugno 2019). ''Wikipedia, L'enciclopedia libera''. Tratto il 25 luglio 2019, 15:00 da //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Dante_Alighieri&oldid=106174940. - licenza CC-BY-SA 3.0 </ref>


È considerato il padre della lingua italiana; la sua fama è dovuta eminentemente alla paternità della ''Comedìa'', divenuta celebre come ''Divina Commedia'' e universalmente considerata la più grande opera scritta in lingua italiana e uno dei maggiori capolavori della letteratura mondiale<ref>{{cita|H. Bloom|titolo=Il Canone occidentale}}.</ref>. Espressione della cultura medievale, filtrata attraverso la lirica del ''Dolce stil novo'', la ''Commedia'' è anche veicolo allegorico della salvezza umana, che si concreta nel toccare i drammi dei dannati, le pene purgatoriali e le glorie celesti, permettendo a Dante di offrire al lettore uno spaccato di morale ed etica.
È considerato il padre della lingua italiana; la sua fama è dovuta eminentemente alla paternità della ''Comedìa'', divenuta celebre come ''Divina Commedia'' e universalmente considerata la più grande opera scritta in lingua italiana e uno dei maggiori capolavori della letteratura mondiale. Espressione della cultura medievale, filtrata attraverso la lirica del ''Dolce stil novo'', la ''Commedia'' è anche veicolo allegorico della salvezza umana, che si concreta nel toccare i drammi dei dannati, le pene purgatoriali e le glorie celesti, permettendo a Dante di offrire al lettore uno spaccato di morale ed etica.  
 
Importante linguista, teorico politico e filosofo, Dante spaziò all'interno dello scibile umano, segnando profondamente la letteratura italiana dei secoli successivi e la stessa cultura occidentale, tanto da essere soprannominato il "Sommo Poeta" o, per antonomasia, il "Poeta"<ref name="Dur1">{{Cita web|titolo=Dante Alighieri|url=http://www.letteratura.it/dantealighieri/|accesso=3 giugno 2015|curatore=Sara Marchesi e Maria Grazia Vasta|data=maggio 2007|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150613143511/http://www.letteratura.it/dantealighieri/#|dataarchivio=13 giugno 2015|urlmorto=sì}}</ref>. Dante, le cui spoglie si trovano presso la tomba a Ravenna costruita nel 1780 da Camillo Morigia, è diventato uno dei simboli dell'Italia nel mondo, grazie al nome del principale ente della diffusione della lingua italiana, la Società Dante Alighieri<ref>{{Cita web|titolo=Società Dante Alighieri – il Mondo in Italiano|url=http://ladante.it/|accesso=3 giugno 2015|editore=Società Dante Alighieri}}</ref>, mentre gli studi critici e filologici sono mantenuti vivi dalla Società dantesca.  


Importante linguista, teorico politico e filosofo, Dante spaziò all'interno dello scibile umano, segnando profondamente la letteratura italiana dei secoli successivi e la stessa cultura occidentale, tanto da essere soprannominato il "Sommo Poeta" o, per antonomasia, il "Poeta". Dante, le cui spoglie si trovano presso la tomba a Ravenna costruita nel 1780 da Camillo Morigia, è diventato uno dei simboli dell'Italia nel mondo, grazie al nome del principale ente della diffusione della lingua italiana, la Società Dante Alighieri, mentre gli studi critici e filologici sono mantenuti vivi dalla Società dantesca.


Nel 2020 il Governo italiano ha istituito la [[Giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri - Dantedì]] il 25 marzo di ogni anno.
==Biografia==
==Biografia==
===Le origini===
===Le origini===
====La data di nascita e il mito di Boccaccio====
====La data di nascita e il mito di Boccaccio====
[[File:Casa di dante 01.JPG|miniatura|Casa di Dante a Firenze]]  
[[File:Casa di dante 01.JPG|miniatura|Casa di Dante a Firenze]]  
La data di nascita di Dante non è conosciuta con esattezza, anche se solitamente viene indicata attorno al 1265. Tale datazione è ricavata sulla base di alcune allusioni autobiografiche riportate nella ''Vita Nova'' e nella cantica dell'''Inferno'', che comincia con il celeberrimo verso ''Nel mezzo del cammin di nostra vita''. Poiché la metà della vita dell'uomo è, per Dante, il trentacinquesimo anno di vita<ref>Dante espone questa sua convinzione in [[s:Convivio/Trattato quarto|Convivio IV, XXIII 9]]: «Là dove sia lo punto sommo di questo arco, per quella disaguaglianza che detta è di sopra, è forte da sapere; ma ne li più io credo tra il trentesimo e quarantesimo anno, e io credo che ne li perfettamente naturati esso ne sia nel trentacinquesimo anno».</ref><ref>I critici letterari Umberto Bosco e Giovanni Reggio sostengono che Dante fu influenzato da un passo estratto dalla [[Bibbia]]: «L'opinione era ricalcata d'altronde su un passo biblico: "Dies annorum nostrorum sunt septuaginta anni" [http://www.vatican.va/archive/bible/nova_vulgata/documents/nova-vulgata_vt_psalmorum_lt.html#LIBER%20III%20(Psalmi%2073-89) (Psalmus 90 (89), 10)])» (Dante Alighieri, ''La Divina Commedia'', a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio, Vol. 1 Inferno, p. 7).</ref> e poiché il viaggio immaginario avviene nel 1300, si risalirebbe di conseguenza al 1265. Oltre alle elucubrazioni dei critici, viene in supporto di tale ipotesi un contemporaneo di Dante, lo storico fiorentino Giovanni Villani il quale, nella sua ''Nova Cronica'', riporta che «questo Dante morì in esilio del comune di Firenze in età di circa 56 anni»<ref>{{Cita|Villani|p. 135}}.</ref>: una prova che confermerebbe tale idea. Alcuni versi del ''Paradiso'' ci dicono inoltre che egli nacque sotto il segno dei Gemelli, quindi in un periodo compreso fra il 21 maggio e il 21 giugno<ref>{{Cita|Ferroni|p. 3}}.</ref>.
La data di nascita di Dante non è conosciuta con esattezza, anche se solitamente viene indicata attorno al 1265. Tale datazione è ricavata sulla base di alcune allusioni autobiografiche riportate nella ''Vita Nova'' e nella cantica dell'''Inferno'', che comincia con il celeberrimo verso ''Nel mezzo del cammin di nostra vita''. Poiché la metà della vita dell'uomo è, per Dante, il trentacinquesimo anno di vita<ref>Dante espone questa sua convinzione in Convivio IV, XXIII 9: «Là dove sia lo punto sommo di questo arco, per quella disaguaglianza che detta è di sopra, è forte da sapere; ma ne li più io credo tra il trentesimo e quarantesimo anno, e io credo che ne li perfettamente naturati esso ne sia nel trentacinquesimo anno».</ref><ref>I critici letterari Umberto Bosco e Giovanni Reggio sostengono che Dante fu influenzato da un passo estratto dalla Bibbia: «L'opinione era ricalcata d'altronde su un passo biblico: "Dies annorum nostrorum sunt septuaginta anni" [http://www.vatican.va/archive/bible/nova_vulgata/documents/nova-vulgata_vt_psalmorum_lt.html#LIBER%20III%20(Psalmi%2073-89) (Psalmus 90 (89), 10)])» (Dante Alighieri, ''La Divina Commedia'', a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio, Vol. 1 Inferno, p. 7).</ref> e poiché il viaggio immaginario avviene nel 1300, si risalirebbe di conseguenza al 1265. Oltre alle elucubrazioni dei critici, viene in supporto di tale ipotesi un contemporaneo di Dante, lo storico fiorentino Giovanni Villani il quale, nella sua ''Nova Cronica'', riporta che «questo Dante morì in esilio del comune di Firenze in età di circa 56 anni»: una prova che confermerebbe tale idea. Alcuni versi del ''Paradiso'' ci dicono inoltre che egli nacque sotto il segno dei Gemelli, quindi in un periodo compreso fra il 21 maggio e il 21 giugno.


Tuttavia, se sconosciuto è il giorno della sua nascita, certo invece è quello del battesimo: il 27 marzo 1266, di Sabato santo<ref>{{Cita|Moreali|p. 457}}.</ref>. Quel giorno vennero portati al sacro fonte tutti i nati dell'anno per una solenne cerimonia collettiva. Dante venne battezzato con il nome di Durante, poi sincopato in Dante, in ricordo di un parente ghibellino<ref>{{Cita|Marchi|p. 15}}.</ref>. Pregna di rimandi classici è la leggenda narrata da [[Giovanni Boccaccio]] ne ''Il Trattatello in laude di Dante'' riguardo alla nascita del poeta: secondo Boccaccio, la madre di Dante, poco prima di darlo alla luce, ebbe una visione e sognò di trovarsi sotto un alloro altissimo, in mezzo a un vasto prato con una sorgente zampillante insieme al piccolo Dante appena partorito e di vedere il bimbo tendere la piccola mano verso le fronde, mangiare le bacche e trasformarsi in un magnifico [[Pavo cristatus|pavone]]<ref>{{Cita libro|autore=Giovanni Boccaccio|titolo=Trattatello in Laude di Dante|posizione=Capitolo II – Patria e maggiori di Dante|url=https://it.wikisource.org/wiki/Trattatello_in_laude_di_Dante/II|accesso=20 maggio 2015}}</ref><ref name=":13">{{Cita|Marchi|p. 14}}.</ref>.
Tuttavia, se sconosciuto è il giorno della sua nascita, certo invece è quello del battesimo: il 27 marzo 1266, di Sabato santo. Quel giorno vennero portati al sacro fonte tutti i nati dell'anno per una solenne cerimonia collettiva. Dante venne battezzato con il nome di Durante, poi sincopato in Dante, in ricordo di un parente ghibellino. Pregna di rimandi classici è la leggenda narrata da Giovanni Boccaccio ne ''Il Trattatello in laude di Dante'' riguardo alla nascita del poeta: secondo Boccaccio, la madre di Dante, poco prima di darlo alla luce, ebbe una visione e sognò di trovarsi sotto un alloro altissimo, in mezzo a un vasto prato con una sorgente zampillante insieme al piccolo Dante appena partorito e di vedere il bimbo tendere la piccola mano verso le fronde, mangiare le bacche e trasformarsi in un magnifico pavone.


====La famiglia paterna e materna====
====La famiglia paterna e materna====
[[File:Dante Luca.jpg|miniatura|Luca Signorelli, ''Dante'', affresco, 1499-1502, particolare tratto dalle ''Storie degli ultimi giorni'', cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto|alt=]]
[[File:Dante Luca.jpg|miniatura|Luca Signorelli, ''Dante'', affresco, 1499-1502, particolare tratto dalle ''Storie degli ultimi giorni'', cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto|alt=]]
Dante apparteneva agli Alighieri, una famiglia di secondaria importanza all'interno dell'élite sociale fiorentina che, negli ultimi due secoli, aveva raggiunto una certa agiatezza economica. Benché Dante affermi che la sua famiglia discendesse dagli antichi Romani,<ref>[[s:Divina Commedia/Inferno/Canto XV#72|''Inferno'', XV, v. 76]].</ref> il parente più lontano di cui egli fa nome è il trisavolo Cacciaguida degli Elisei<ref>Si veda [[s:Divina Commedia/Paradiso/Canto XV#132|''Paradiso'', XV 135]].</ref>, fiorentino vissuto intorno al 1100 e cavaliere nella seconda crociata al seguito dell'imperatore Corrado III<ref name="cac1">{{cita web|titolo=Cacciaguida|url=http://www.danteonline.it/italiano/popup_schede.asp?tipo=ske&scheda=cacciaguida|accesso=6 giugno 2015|sito=Dante online|editore=Società dantesca italiana}}</ref>.
Dante apparteneva agli Alighieri, una famiglia di secondaria importanza all'interno dell'élite sociale fiorentina che, negli ultimi due secoli, aveva raggiunto una certa agiatezza economica. Benché Dante affermi che la sua famiglia discendesse dagli antichi Romani,<ref>''Inferno'', XV, v. 76.</ref> il parente più lontano di cui egli fa nome è il trisavolo Cacciaguida degli Elisei<ref>Si veda ''Paradiso'', XV 135.</ref>, fiorentino vissuto intorno al 1100 e cavaliere nella seconda crociata al seguito dell'imperatore Corrado III.


Come sottolinea Arnaldo D'Addario sull'''Enciclopedia dantesca'', la famiglia degli Alighieri (che prese tale nominativo dalla famiglia della moglie di Cacciaguida)<ref name="cac1" /> passò da uno status nobiliare meritocratico<ref>Riguardo al dibattito sulla nobiltà della famiglia Alighieri, si consultino: {{cita|Carpi}}; {{cita|Barbi|pagine=101-104}}</ref> a uno borghese agiato, ma meno prestigioso sul piano sociale<ref>{{Cita|D'Addario}}{{citazione|Nell'arco di tempo di circa due secoli, le condizioni sociali degli A. avevano subito un mutamento profondo. Cacciaguida è un cavaliere prode e pio, degno di stare al seguito dell'imperatore; gli Elisei che ne derivano sono nobili per dignità personale e per parentela; Alaghiero sposa una donna dei Ravignani; Bello è detto "dominus" nei documenti, con allusione alla dignità equestre di cui era investito; Geri di Bello è impegnato nelle contese fra le consorterie e muore nel corso di una faida tra magnati. Gl'immediati ascendenti di D. appartengono già a un ceto diverso, di minore importanza sul piano sociale; sono cambiatori, prestatori, piccoli - per quanto agiati - proprietari di case e di terre. La nobiltà cittadinesca degli avi, sostanziata di valore militare e di pietà religiosa, è venuta trasformandosi in anonima condizione borghese e rivive ormai solo nell'idealizzazione che D. ne fa attraverso le parole di Cacciaguida. La parabola discendente degli A. è assunta nella Commedia come paradigma della decadenza cui soggiace l'intera società fiorentina, divisa e corrotta dalla lotta politica, profondamente mutata nelle sue componenti a causa dell'inurbamento conseguente all'ampliamento territoriale e alle fortune economiche della città.}}</ref>. Il nonno paterno di Dante, Bellincione, era infatti un popolano e un popolano sposò la sorella di Dante<ref name=":13" />. Il figlio di Bellincione (e padre di Dante), Aleghiero o Alighiero di Bellincione, svolgeva la professione di ''compsor'' (cambiavalute), con la quale riuscì a procurare un dignitoso decoro alla numerosa famiglia<ref>{{Cita|D'Addario 1960}}.</ref><ref>{{Cita web|autore=Andrea Mazzucchi|url=http://www.internetculturale.it/opencms/directories/ViaggiNelTesto/dante/a5.html|titolo=I genitori|accesso=3 giugno 2015|editore=Internet culturale|data=2012|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150924035644/http://www.internetculturale.it/opencms/directories/ViaggiNelTesto/dante/a5.html#|dataarchivio=24 settembre 2015|urlmorto=sì}}</ref>. Grazie alla scoperta di due pergamene conservate nell’Archivio Diocesano di Lucca, però, si viene a sapere che il padre di Dante avrebbe fatto anche l'usuraio (dando adito alla ''tenzone'' tra l'Alighieri e l'amico Forese Donati<ref>{{Cita web |url=https://it.wikisource.org/wiki/Rime_(Dante)/LXXIV_-_L%27altra_notte_mi_venne_una_gran_tosse|''Rime''|titolo=LXXIV}}</ref>) traendo degli arricchimenti tramite la sua posizione di procuratore giudiziale presso il tribunale di Firenze<ref>{{Cita web|url=https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02/01/dante-il-padre-alighiero-di-bellincione-era-un-usuraio-la-prova-in-due-pergamene/3359259/|titolo=Dante, "il padre Alighiero di Bellincione era un usuraio: la prova in due pergamene"|sito=Il Fatto Quotidiano|data=1º febbraio 2017|accesso=2 febbraio 2017}}</ref>. Era inoltre un guelfo, ma senza ambizioni politiche: per questo i ghibellini non lo esiliarono dopo la battaglia di Montaperti, come fecero con altri guelfi, giudicandolo un avversario non pericoloso<ref name=":13" />.  
Come sottolinea Arnaldo D'Addario sull'''Enciclopedia dantesca'', la famiglia degli Alighieri (che prese tale nominativo dalla famiglia della moglie di Cacciaguida) passò da uno status nobiliare meritocratico a uno borghese agiato, ma meno prestigioso sul piano sociale. Il nonno paterno di Dante, Bellincione, era infatti un popolano e un popolano sposò la sorella di Dante. Il figlio di Bellincione (e padre di Dante), Aleghiero o Alighiero di Bellincione, svolgeva la professione di ''compsor'' (cambiavalute), con la quale riuscì a procurare un dignitoso decoro alla numerosa famiglia. Grazie alla scoperta di due pergamene conservate nell’Archivio Diocesano di Lucca, però, si viene a sapere che il padre di Dante avrebbe fatto anche l'usuraio (dando adito alla ''tenzone'' tra l'Alighieri e l'amico Forese Donati) traendo degli arricchimenti tramite la sua posizione di procuratore giudiziale presso il tribunale di Firenze. Era inoltre un guelfo, ma senza ambizioni politiche: per questo i ghibellini non lo esiliarono dopo la battaglia di Montaperti, come fecero con altri guelfi, giudicandolo un avversario non pericoloso.  


La madre di Dante si chiamava Bella degli Abati, figlia di Durante Scolaro<ref>{{Cita|Reynolds|p. 15}}.</ref><ref>Bella è diminutivo per Gabriella.</ref> e appartenente a un'importante famiglia ghibellina locale<ref name=":13" />. Il figlio Dante non la citerà mai tra i suoi scritti, col risultato che di lei possediamo pochissime notizie biografiche. Bella morì quando Dante aveva cinque o sei anni e Alighiero presto si risposò, forse tra il 1275 e il 1278<ref name=":0">{{Cita|Petrocchi|p. 12}}.</ref>, con Lapa di Chiarissimo Cialuffi. Da questo matrimonio nacquero Francesco e Tana Alighieri (Gaetana) e forse anche – ma potrebbe essere stata anche figlia di Bella degli Abati – un'altra figlia ricordata dal Boccaccio come moglie del banditore fiorentino Leone Poggi e madre del suo amico Andrea Poggi<ref name=":0" />. Si ritiene che a lei alluda Dante in ''Vita nuova'' (''Vita nova'') XXIII, 11-12, chiamandola «donna giovane e gentile [...] di propinquissima sanguinitade congiunta»<ref name=":0" />.
La madre di Dante si chiamava Bella degli Abati, figlia di Durante Scolaro<ref>Bella è diminutivo per Gabriella.</ref> e appartenente a un'importante famiglia ghibellina locale. Il figlio Dante non la citerà mai tra i suoi scritti, col risultato che di lei possediamo pochissime notizie biografiche. Bella morì quando Dante aveva cinque o sei anni e Alighiero presto si risposò, forse tra il 1275 e il 1278, con Lapa di Chiarissimo Cialuffi. Da questo matrimonio nacquero Francesco e Tana Alighieri (Gaetana) e forse anche – ma potrebbe essere stata anche figlia di Bella degli Abati – un'altra figlia ricordata dal Boccaccio come moglie del banditore fiorentino Leone Poggi e madre del suo amico Andrea Poggi. Si ritiene che a lei alluda Dante in ''Vita nuova'' (''Vita nova'') XXIII, 11-12, chiamandola «donna giovane e gentile [...] di propinquissima sanguinitade congiunta».


===Il matrimonio con Gemma Donati===
===Il matrimonio con Gemma Donati===
Quando Dante aveva dodici anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con [[Gemma Donati|Gemma]], figlia di Messer [[Manetto Donati]], che successivamente sposò all'età di vent'anni nel 1285<ref name=":1">{{Cita|Piattoli}}.</ref>. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza comune a quell'epoca; lo si faceva con una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti davanti a un [[notaio]]. La famiglia a cui Gemma apparteneva – i Donati – era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale e in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, vale a dire i ''guelfi neri''.
Quando Dante aveva dodici anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con Gemma, figlia di Messer Manetto Donati, che successivamente sposò all'età di vent'anni nel 1285. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza comune a quell'epoca; lo si faceva con una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti davanti a un notaio. La famiglia a cui Gemma apparteneva – i Donati – era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale e in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, vale a dire i ''guelfi neri''.


Il matrimonio tra i due non dovette essere molto felice, secondo la tradizione raccolta dal Boccaccio e fatta propria poi nell'Ottocento da Vittorio Imbriani. Dante non scrisse infatti un solo verso alla moglie, mentre di costei non ci sono pervenute notizie sulla effettiva presenza al fianco del marito durante l'esilio. Comunque sia, l'unione generò due figli e una figlia: Jacopo, Pietro, Antonia e un possibile quarto, Giovanni<ref>Un atto del 21 ottobre [[1308]] a [[Lucca]] testimonia che Giovanni fosse figlio suo, in quanto vi si trova scritto di un "''Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia''".</ref>. Dei tre certi, Pietro fu giudice a Verona e l'unico che continuò la stirpe degli Alighieri, in quanto Jacopo scelse di seguire la carriera ecclesiastica, mentre Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice, sembra nel convento delle Olivetane a Ravenna.
Il matrimonio tra i due non dovette essere molto felice, secondo la tradizione raccolta dal Boccaccio e fatta propria poi nell'Ottocento da Vittorio Imbriani. Dante non scrisse infatti un solo verso alla moglie, mentre di costei non ci sono pervenute notizie sulla effettiva presenza al fianco del marito durante l'esilio. Comunque sia, l'unione generò due figli e una figlia: Jacopo, Pietro, Antonia e un possibile quarto, Giovanni<ref>Un atto del 21 ottobre 1308 a Lucca testimonia che Giovanni fosse figlio suo, in quanto vi si trova scritto di un "''Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia''".</ref>. Dei tre certi, Pietro fu giudice a Verona e l'unico che continuò la stirpe degli Alighieri, in quanto Jacopo scelse di seguire la carriera ecclesiastica, mentre Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice, sembra nel convento delle Olivetane a Ravenna.


===Impegni politici e militari===
===Impegni politici e militari===
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[[File:Corso Donati, Nova Cronica.jpg|miniatura|Giovanni Villani, ''Corso Donati fa liberare dei prigionieri'', in ''Cronaca'', XIV secolo. Corso Donati, esponente di punta dei ''Neri'', fu acerrimo nemico di Dante, il quale lancerà contro di lui violenti attacchi nei suoi scritti<ref>Dante accenna alla morte violenta di Corso Donati nel ''Purgatorio'' XXIV, vv. 82-84, mettendo la profezia ''post eventum'' in bocca al fratello di lui, Forese: «"Or va", diss'el; "che quei che più n'ha colpa,/vegg'ïo a coda d'una bestia tratto/inver' la valle ove mai non si scolpa./La bestia ad ogne passo va più ratto,/crescendo sempre, fin ch'ella il percuote,/e lascia il corpo vilmente disfatto». La tematica della cavalcata infernale è un ''topos'' letterario ben noto nella letteratura medievale: verrà ripreso, infatti, sia da Giovanni Boccaccio, sia da Jacopo Passavanti.</ref>.]]
[[File:Corso Donati, Nova Cronica.jpg|miniatura|Giovanni Villani, ''Corso Donati fa liberare dei prigionieri'', in ''Cronaca'', XIV secolo. Corso Donati, esponente di punta dei ''Neri'', fu acerrimo nemico di Dante, il quale lancerà contro di lui violenti attacchi nei suoi scritti<ref>Dante accenna alla morte violenta di Corso Donati nel [[s:Divina Commedia/Purgatorio/Canto XXIV|''Purgatorio'' XXIV, vv. 82-84]], mettendo la profezia ''post eventum'' in bocca al fratello di lui, [[Forese Donati|Forese]]: «"Or va", diss'el; "che quei che più n'ha colpa,/vegg'ïo a coda d'una bestia tratto/inver' la valle ove mai non si scolpa./La bestia ad ogne passo va più ratto,/crescendo sempre, fin ch'ella il percuote,/e lascia il corpo vilmente disfatto». La tematica della cavalcata infernale è un ''topos'' letterario ben noto nella letteratura medievale: verrà ripreso, infatti, sia da Giovanni Boccaccio, sia da Jacopo Passavanti.</ref>.]]
Poco dopo il matrimonio, Dante cominciò a partecipare come cavaliere ad alcune campagne militari che Firenze stava conducendo contro i suoi nemici esterni, tra cui Arezzo (battaglia di Campaldino dell'11 giugno 1289) e Pisa (presa di Caprona, 16 agosto 1289). Successivamente, nel 1294, avrebbe fatto parte della delegazione di cavalieri che scortò Carlo Martello d'Angiò (figlio di Carlo II d'Angiò) quando questi si trovava a Firenze<ref>Dante stesso citerà Carlo Martello d'Angiò nella ''Divina Commedia'' (''Paradiso'' VIII, v. 31 e IX, v. 1).</ref>. L'attività politica prese Dante a partire dai primi anni 1290, in un periodo quanto mai convulso per la Repubblica. Nel 1293 entrarono in vigore gli ''Ordinamenti di Giustizia'' di Giano Della Bella, che escludevano l'antica nobiltà dalla politica e permettevano al ceto borghese di ottenere ruoli nella Repubblica, purché iscritti a un'Arte. Dante, in quanto nobile, fu escluso dalla politica cittadina fino al 6 luglio del 1295, quando furono promulgati i ''Temperamenti'', leggi che ridiedero diritto ai nobili di rivestire ruoli istituzionali, purché si immatricolassero alle Arti. Dante, pertanto, si iscrisse all'Arte dei Medici e Speziali.
Poco dopo il matrimonio, Dante cominciò a partecipare come cavaliere ad alcune campagne militari che Firenze stava conducendo contro i suoi nemici esterni, tra cui Arezzo (battaglia di Campaldino dell'11 giugno 1289) e Pisa (presa di Caprona, 16 agosto 1289)<ref name=":2">{{Cita|Ferroni|p. 4}}.</ref>. Successivamente, nel 1294, avrebbe fatto parte della delegazione di cavalieri che scortò Carlo Martello d'Angiò (figlio di Carlo II d'Angiò) quando questi si trovava a Firenze<ref>Dante stesso citerà [[Carlo Martello d'Angiò]] nella ''[[Divina Commedia]]'' ([[s:Divina Commedia/Paradiso/Canto VIII#30|''Paradiso'' VIII, v. 31]] e [[s:Divina Commedia/Paradiso/Canto IX|IX, v. 1]]).</ref>. L'attività politica prese Dante a partire dai primi anni 1290, in un periodo quanto mai convulso per la Repubblica. Nel 1293 entrarono in vigore gli ''Ordinamenti di Giustizia'' di Giano Della Bella, che escludevano l'antica nobiltà dalla politica e permettevano al ceto borghese di ottenere ruoli nella Repubblica, purché iscritti a un'Arte. Dante, in quanto nobile, fu escluso dalla politica cittadina fino al 6 luglio del 1295, quando furono promulgati i ''Temperamenti'', leggi che ridiedero diritto ai nobili di rivestire ruoli istituzionali, purché si immatricolassero alle Arti. Dante, pertanto, si iscrisse all'Arte dei Medici e Speziali.


L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta, poiché i verbali delle assemblee sono andati perduti. Comunque, attraverso altre fonti, si è potuta ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del popolo dal novembre 1295 all'aprile 1296; fu nel gruppo dei "Savi", che nel dicembre 1296 rinnovarono le norme per l'elezione dei priori, i massimi rappresentanti di ciascuna Arte che avrebbero occupato, per un bimestre, il ruolo istituzionale più importante della Repubblica; dal maggio al dicembre del 1296 fece parte del Consiglio dei Cento. Fu inviato talvolta nella veste di ambasciatore, come nel maggio del [[1300]] a San Gimignano. Nel frattempo, all'interno del partito guelfo fiorentino si produsse una frattura gravissima tra il gruppo capeggiato dai Donati, fautori di una politica conservatrice e aristocratica (''guelfi neri''), e quello invece fautore di una politica moderatamente popolare (''guelfi bianchi''), capeggiato dalla famiglia Cerchi. La scissione, dovuta anche a motivi di carattere politico ed economico (i Donati, esponenti dell'antica nobiltà, erano stati surclassati in potenza dai Cerchi, considerati dai primi dei ''parvenu''), generò una guerra intestina cui Dante non si sottrasse schierandosi, moderatamente, dalla parte dei ''guelfi bianchi''.
L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta, poiché i verbali delle assemblee sono andati perduti. Comunque, attraverso altre fonti, si è potuta ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del popolo dal novembre 1295 all'aprile 1296; fu nel gruppo dei "Savi", che nel dicembre 1296 rinnovarono le norme per l'elezione dei priori, i massimi rappresentanti di ciascuna Arte che avrebbero occupato, per un bimestre, il ruolo istituzionale più importante della Repubblica; dal maggio al dicembre del 1296 fece parte del Consiglio dei Cento. Fu inviato talvolta nella veste di ambasciatore, come nel maggio del 1300 a San Gimignano. Nel frattempo, all'interno del partito guelfo fiorentino si produsse una frattura gravissima tra il gruppo capeggiato dai Donati, fautori di una politica conservatrice e aristocratica (''guelfi neri''), e quello invece fautore di una politica moderatamente popolare (''guelfi bianchi''), capeggiato dalla famiglia Cerchi. La scissione, dovuta anche a motivi di carattere politico ed economico (i Donati, esponenti dell'antica nobiltà, erano stati surclassati in potenza dai Cerchi, considerati dai primi dei ''parvenu''), generò una guerra intestina cui Dante non si sottrasse schierandosi, moderatamente, dalla parte dei ''guelfi bianchi''.


====Lo scontro con Bonifacio VIII (1300)====
====Lo scontro con Bonifacio VIII (1300)====
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===L'inizio dell'esilio (1301-1304)===
===L'inizio dell'esilio (1301-1304)===
====Carlo di Valois e la caduta dei bianchi====
====Carlo di Valois e la caduta dei bianchi====
[[File:Benedictus XI Tommaso da Modena.jpg|miniatura|Tommaso da Modena, ''Benedetto XI'', affresco, anni '50 del XIV secolo, Sala del Capitolo, Seminario di Treviso. Il beato papa Boccasini, trevigiano, nel suo breve pontificato cercò di riportare la pace all'interno di Firenze, inviando il cardinale Niccolò da Prato come paciere. È l'unico pontefice su cui Dante non proferì alcuna condanna, ma neanche verso il quale manifestò pieno apprezzamento, tanto da non comparire nella ''Commedia''<ref>{{Cita|Pizzinat|p. 323}}{{citazione|... Benedetto XI: l'unico papa di quel periodo che non ebbe giudizi negativi da parte dell'Alighieri...}}
[[File:Benedictus XI Tommaso da Modena.jpg|miniatura|Tommaso da Modena, ''Benedetto XI'', affresco, anni '50 del XIV secolo, Sala del Capitolo, Seminario di Treviso. Il beato papa Boccasini, trevigiano, nel suo breve pontificato cercò di riportare la pace all'interno di Firenze, inviando il cardinale Niccolò da Prato come paciere. È l'unico pontefice su cui Dante non proferì alcuna condanna, ma neanche verso il quale manifestò pieno apprezzamento, tanto da non comparire nella ''Commedia''.]]
</ref>.]]
Dante si trovava quindi a Roma, sembra trattenuto oltre misura da Bonifacio VIII, quando Carlo di Valois, al primo subbuglio cittadino, prese pretesto per mettere a ferro e fuoco Firenze con un colpo di mano. Il 9 novembre 1301 i conquistatori imposero come podestà Cante Gabrielli da Gubbio. Questi, appartenente alla fazione dei ''guelfi neri'' della sua città natia, diede inizio a una politica di sistematica persecuzione degli esponenti politici di parte bianca ostili al papa, fatto che si risolse alla fine nella loro uccisione o nell'espulsione da Firenze. Con due condanne successive, quella del 27 gennaio e quella del 10 marzo 1302, che colpirono inoltre numerosi esponenti delle famiglie dei Cerchi, il poeta fu condannato, in contumacia, al rogo e alla distruzione delle case. Da quel momento, Dante non rivide più la sua patria.
Dante si trovava quindi a Roma, sembra trattenuto oltre misura da Bonifacio VIII, quando Carlo di Valois, al primo subbuglio cittadino, prese pretesto per mettere a ferro e fuoco Firenze con un colpo di mano. Il 9 novembre 1301 i conquistatori imposero come podestà Cante Gabrielli da Gubbio. Questi, appartenente alla fazione dei ''guelfi neri'' della sua città natia, diede inizio a una politica di sistematica persecuzione degli esponenti politici di parte bianca ostili al papa, fatto che si risolse alla fine nella loro uccisione o nell'espulsione da Firenze. Con due condanne successive, quella del 27 gennaio e quella del 10 marzo 1302, che colpirono inoltre numerosi esponenti delle famiglie dei Cerchi, il poeta fu condannato, in contumacia, al rogo e alla distruzione delle case. Da quel momento, Dante non rivide più la sua patria.


====I tentativi di rientro e la battaglia di Lastra (1304)====
====I tentativi di rientro e la battaglia di Lastra (1304)====
Dopo i falliti tentati colpi di mano del 1302, Dante, in qualità di capitano dell'esercito degli esuli, organizzò insieme a Scarpetta Ordelaffi, capo del partito ghibellino e signore di Forlì (presso il quale Dante si era rifugiato), un nuovo tentativo di rientrare a Firenze. L'impresa fu però sfortunata: il podestà di Firenze, Fulcieri da Calboli (un altro forlivese, nemico degli Ordelaffi), riuscì ad avere la meglio nella battaglia di Castel Pulciano. Fallita anche l'azione diplomatica, nell'estate del 1304, del cardinale Niccolò da Prato<ref>«... 10 giugno: Niccolò da Prato lascia Firenze; ultima decade di giugno: i Neri consolidano il loro potere in città impadronendosi di tutte le cariche pubbliche». ({{Cita|Petrocchi|p. 97}}).</ref>, legato pontificio di papa Benedetto XI (sul quale Dante aveva riposto molte speranze), il 20 luglio dello stesso anno i bianchi, riuniti alla Lastra, una località a pochi chilometri da Firenze, decisero di intraprendere un nuovo attacco militare contro i neri<ref name="Pet97">{{Cita|Petrocchi|p. 97}}.</ref>. Dante, ritenendo corretto aspettare un momento politicamente più favorevole, si schierò contro l'ennesima lotta armata, trovandosi in minoranza al punto che i più intransigenti formularono su di lui dei sospetti di tradimento; pertanto decise di non partecipare alla battaglia e di prendere le distanze dal gruppo. Come preventivato dallo stesso, la battaglia di Lastra fu un vero e proprio fallimento con la morte di quattrocento uomini fra ghibellini e bianchi.  
Dopo i falliti tentati colpi di mano del 1302, Dante, in qualità di capitano dell'esercito degli esuli, organizzò insieme a Scarpetta Ordelaffi, capo del partito ghibellino e signore di Forlì (presso il quale Dante si era rifugiato), un nuovo tentativo di rientrare a Firenze. L'impresa fu però sfortunata: il podestà di Firenze, Fulcieri da Calboli (un altro forlivese, nemico degli Ordelaffi), riuscì ad avere la meglio nella battaglia di Castel Pulciano. Fallita anche l'azione diplomatica, nell'estate del 1304, del cardinale Niccolò da Prato<ref>«... 10 giugno: Niccolò da Prato lascia Firenze; ultima decade di giugno: i Neri consolidano il loro potere in città impadronendosi di tutte le cariche pubbliche». </ref>, legato pontificio di papa Benedetto XI (sul quale Dante aveva riposto molte speranze), il 20 luglio dello stesso anno i bianchi, riuniti alla Lastra, una località a pochi chilometri da Firenze, decisero di intraprendere un nuovo attacco militare contro i neri. Dante, ritenendo corretto aspettare un momento politicamente più favorevole, si schierò contro l'ennesima lotta armata, trovandosi in minoranza al punto che i più intransigenti formularono su di lui dei sospetti di tradimento; pertanto decise di non partecipare alla battaglia e di prendere le distanze dal gruppo. Come preventivato dallo stesso, la battaglia di Lastra fu un vero e proprio fallimento con la morte di quattrocento uomini fra ghibellini e bianchi.  


===La prima fase dell'esilio (1304-1310)===
===La prima fase dell'esilio (1304-1310)===
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====Il ''Ghibellin fuggiasco''====
====Il ''Ghibellin fuggiasco''====


Il soggiorno nel casentino durò pochissimo tempo: tra il 1308 e il 1310 si può infatti ipotizzare che il poeta risiedesse prima a Lucca e poi a Parigi, anche se non è possibile valutare con certezza il soggiorno transalpino come già precedentemente esposto. Dante, molto più probabilmente, si trovava a Forlì nel 1310, dove ebbe la notizia, nel mese di ottobre, della discesa in Italia del nuovo imperatore Arrigo VII. Dante guardò a quella spedizione con grande speranza, in quanto vi intravedeva non soltanto la fine dell'anarchia politica italiana<ref>Già da parecchi anni, l'Italia era stravolta da guerre civili tra le fazioni dei [[guelfi e ghibellini]]. Inoltre, dal 1305, [[papa Clemente V]] trasferì la sua corte ad [[Avignone]], mentre l'imperatore [[Alberto I d'Asburgo]] preferiva non intromettersi nelle questioni italiane, suscitando la violenza indignazione dantesca nella celebra apostrofe politica in ''[[s:Divina Commedia/Purgatorio/Canto VI|Pg]]'' [[s:Divina Commedia/Purgatorio/Canto VI|VI, 97-99]]: «O Alberto tedesco ch'abbandoni/costei [l'Italia] ch'è fatta indomita e selvaggia,/e dovresti inforcar li suoi arcioni...»</ref>, ma anche la concreta possibilità di rientrare finalmente a Firenze. Infatti l'imperatore fu salutato dai ghibellini italiani e dai fuoriusciti politici guelfi, connubio che spinse il poeta ad avvicinarsi alla fazione imperiale italiana capeggiata dagli Scaligeri di Verona. Dante, che tra il 1308 e il 1311 stava scrivendo il ''De Monarchia'', manifestò le sue aperte simpatie imperiali, scagliando una violenta lettera contro i fiorentini il 31 marzo del 1311 e giungendo, sulla base di quanto affermato nell'''epistola'' indirizzata ad Arrigo VII, a incontrare l'imperatore stesso in un colloquio privato.  
Il soggiorno nel casentino durò pochissimo tempo: tra il 1308 e il 1310 si può infatti ipotizzare che il poeta risiedesse prima a Lucca e poi a Parigi, anche se non è possibile valutare con certezza il soggiorno transalpino come già precedentemente esposto. Dante, molto più probabilmente, si trovava a Forlì nel 1310, dove ebbe la notizia, nel mese di ottobre, della discesa in Italia del nuovo imperatore Arrigo VII. Dante guardò a quella spedizione con grande speranza, in quanto vi intravedeva non soltanto la fine dell'anarchia politica italiana<ref>Già da parecchi anni, l'Italia era stravolta da guerre civili tra le fazioni dei guelfi e ghibellini. Inoltre, dal 1305, papa Clemente V trasferì la sua corte ad Avignone, mentre l'imperatore Alberto I d'Asburgo preferiva non intromettersi nelle questioni italiane, suscitando la violenza indignazione dantesca nella celebra apostrofe politica in ''Pg'' VI, 97-99: «O Alberto tedesco ch'abbandoni/costei [l'Italia] ch'è fatta indomita e selvaggia,/e dovresti inforcar li suoi arcioni...»</ref>, ma anche la concreta possibilità di rientrare finalmente a Firenze. Infatti l'imperatore fu salutato dai ghibellini italiani e dai fuoriusciti politici guelfi, connubio che spinse il poeta ad avvicinarsi alla fazione imperiale italiana capeggiata dagli Scaligeri di Verona. Dante, che tra il 1308 e il 1311 stava scrivendo il ''De Monarchia'', manifestò le sue aperte simpatie imperiali, scagliando una violenta lettera contro i fiorentini il 31 marzo del 1311 e giungendo, sulla base di quanto affermato nell'''epistola'' indirizzata ad Arrigo VII, a incontrare l'imperatore stesso in un colloquio privato.  


Il sogno dantesco di una ''Renovatio Imperii'' si infrangerà il 24 agosto del 1313, quando l'imperatore venne a mancare, improvvisamente, a Buonconvento. Se già la morte violenta di Corso Donati, avvenuta il 6 ottobre del 1308 per mano di Rossellino Della Tosa (l'esponente più intransigente dei guelfi neri), aveva fatto crollare le speranze di Dante, la morte dell'imperatore diede un colpo mortale ai tentativi del poeta di rientrare definitivamente a Firenze.
Il sogno dantesco di una ''Renovatio Imperii'' si infrangerà il 24 agosto del 1313, quando l'imperatore venne a mancare, improvvisamente, a Buonconvento. Se già la morte violenta di Corso Donati, avvenuta il 6 ottobre del 1308 per mano di Rossellino Della Tosa (l'esponente più intransigente dei guelfi neri), aveva fatto crollare le speranze di Dante, la morte dell'imperatore diede un colpo mortale ai tentativi del poeta di rientrare definitivamente a Firenze.
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[[File:Cangrande.portrait.png|miniatura|''Cangrande della Scala'', in un ritratto immaginario del XVII secolo. Abilissimo politico e grande condottiero, Cangrande fu mecenate della cultura e dei letterati in particolare, stringendo amicizia con Dante]]
[[File:Cangrande.portrait.png|miniatura|''Cangrande della Scala'', in un ritratto immaginario del XVII secolo. Abilissimo politico e grande condottiero, Cangrande fu mecenate della cultura e dei letterati in particolare, stringendo amicizia con Dante]]
====Il soggiorno veronese (1313-1318)====
====Il soggiorno veronese (1313-1318)====
All'indomani della morte improvvisa dell'imperatore, Dante accolse l'invito di Cangrande della Scala a risiedere presso la sua corte di Verona<ref name=":7">{{Cita |Ferroni|p. 6}}.</ref>. Dante ebbe già modo, in passato, di risiedere nella città veneta, in quegli anni nel pieno della sua potenza. Petrocchi, come delineato prima nel suo saggio ''Itinerari danteschi'' e poi nella ''Vita di Dante'' ricorda come Dante fosse già stato ospite, per pochi mesi tra il 1303 e il 1304, presso Bartolomeo della Scala, fratello maggiore di Cangrande. Quando poi Bartolomeo morì, nel marzo del 1304, Dante fu costretto a lasciare Verona in quanto il suo successore, Alboino, non era in buoni rapporti col poeta<ref>Dante stesso, in ''[[s:Convivio/Trattato quarto|Convivio]]'' [[s:Convivio/Trattato quarto|IV, XVI, 6]], non ne elogia le qualità umane. Si veda:{{Cita|Varanini}}</ref>. Alla morte di Alboino, nel 1312, divenne suo successore il fratello Cangrande, tra i capi dei ghibellini italiani e protettore (oltreché amico) di Dante. Fu in virtù di questo legame che Cangrande chiamò a sé l'esule fiorentino e i suoi figli, dando loro sicurezza e protezione dai vari nemici che si erano fatti negli anni. L'amicizia e la stima tra i due uomini fu tale che Dante esaltò, nella cantica del ''Paradiso.''
All'indomani della morte improvvisa dell'imperatore, Dante accolse l'invito di Cangrande della Scala a risiedere presso la sua corte di Verona. Dante ebbe già modo, in passato, di risiedere nella città veneta, in quegli anni nel pieno della sua potenza. Petrocchi, come delineato prima nel suo saggio ''Itinerari danteschi'' e poi nella ''Vita di Dante'' ricorda come Dante fosse già stato ospite, per pochi mesi tra il 1303 e il 1304, presso Bartolomeo della Scala, fratello maggiore di Cangrande. Quando poi Bartolomeo morì, nel marzo del 1304, Dante fu costretto a lasciare Verona in quanto il suo successore, Alboino, non era in buoni rapporti col poeta<ref>Dante stesso, in ''Convivio'' IV, XVI, 6, non ne elogia le qualità umane.</ref>. Alla morte di Alboino, nel 1312, divenne suo successore il fratello Cangrande, tra i capi dei ghibellini italiani e protettore (oltreché amico) di Dante. Fu in virtù di questo legame che Cangrande chiamò a sé l'esule fiorentino e i suoi figli, dando loro sicurezza e protezione dai vari nemici che si erano fatti negli anni. L'amicizia e la stima tra i due uomini fu tale che Dante esaltò, nella cantica del ''Paradiso.''


Nel 2018 viene scoperta da Paolo Pellegrini, docente dell'Università di Verona una nuova lettera, scritta probabilmente proprio da Dante nel mese di agosto del 1312 e spedita da Cangrande al nuovo imperatore Enrico VII; essa modificherebbe sostanzialmente la data del soggiorno veronese del poeta anticipando il suo arrivo al 1312 ed escluderebbe le ipotesi che volevano Dante a Pisa o in Lunigiana tra il 1312 ed il 1316.
Nel 2018 viene scoperta da Paolo Pellegrini, docente dell'Università di Verona una nuova lettera, scritta probabilmente proprio da Dante nel mese di agosto del 1312 e spedita da Cangrande al nuovo imperatore Enrico VII; essa modificherebbe sostanzialmente la data del soggiorno veronese del poeta anticipando il suo arrivo al 1312 ed escluderebbe le ipotesi che volevano Dante a Pisa o in Lunigiana tra il 1312 ed il 1316.


====Il soggiorno ravennate (1318-1321)====
====Il soggiorno ravennate (1318-1321)====
[[File:Andrea Pierini - Dante alla corte di Guido Novello.jpg|miniatura|Andrea Pierini, ''Dante legge la Divina Commedia alla corte di Guido Novello'', 1850, dipinto a olio, Palazzo Pitti-Galleria D'Arte Moderna, Firenze|alt=]]
Dante, per motivi ancora sconosciuti, si allontanò da Verona per approdare, nel 1318, a Ravenna, presso la corte di Guido Novello da Polenta. I critici hanno cercato di comprendere le cause dell'allontanamento di Dante dalla città scaligera, visti gli ottimi rapporti che intercorrevano tra Dante e Cangrande. Augusto Torre ipotizzò una missione politica a Ravenna, affidatagli dallo stesso suo protettore altri pongono le cause in una crisi momentanea tra Dante e Cangrande, oppure nell'attrattiva di far parte di una corte di letterati tra i quali il signore stesso (cioè Guido Novello), che si professava tale. Tuttavia, i rapporti con Verona non cessarono del tutto, come testimoniato dalla presenza di Dante nella città veneta il 20 gennaio 1320, per discutere la ''Quaestio de aqua et terra'', l'ultima sua opera latina.
Dante, per motivi ancora sconosciuti, si allontanò da Verona per approdare, nel 1318, a Ravenna, presso la corte di Guido Novello da Polenta. I critici hanno cercato di comprendere le cause dell'allontanamento di Dante dalla città scaligera, visti gli ottimi rapporti che intercorrevano tra Dante e Cangrande. Augusto Torre ipotizzò una missione politica a Ravenna, affidatagli dallo stesso suo protettore altri pongono le cause in una crisi momentanea tra Dante e Cangrande, oppure nell'attrattiva di far parte di una corte di letterati tra i quali il signore stesso (cioè Guido Novello), che si professava tale. Tuttavia, i rapporti con Verona non cessarono del tutto, come testimoniato dalla presenza di Dante nella città veneta il 20 gennaio 1320, per discutere la ''Quaestio de aqua et terra'', l'ultima sua opera latina.


Gli ultimi tre anni di vita trascorsero relativamente tranquilli nella città romagnola, durante i quali Dante creò un cenacolo letterario frequentato dai figli Pietro e Jacopo<ref></ref> e da alcuni giovani letterati locali, tra i quali Pieraccio Tedaldi e Giovanni Quirini<ref name="Pet198">{{Cita|Petrocchi|p. 198}}.</ref>. Per conto del signore di Ravenna svolse occasionali ambascerie politiche<ref>«... si può dedurre che il signore di Ravenna volle impegnarlo, e forse più volte, in ambascerie e relazioni cancelleresche, mai in un servizio continuo e ufficiale di segretario...» ({{Cita |Petrocchi|p. 198}}).</ref>, come quella che lo condusse a Venezia. All'epoca, la città lagunare era in attrito con Guido Novello a causa di attacchi continui alle sue navi da parte delle galee ravennati<ref name="P221">{{Cita|Petrocchi|p. 221}}.</ref> e il doge, infuriato, si alleò con Forlì per muovere guerra a Guido Novello; questi, ben sapendo di non disporre dei mezzi necessari per fronteggiare tale invasione, chiese a Dante di intercedere per lui davanti al Senato veneziano. Gli studiosi si sono domandati perché Guido Novello avesse pensato proprio all'ultracinquantenne poeta come suo rappresentante: alcuni ritengono che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico degli Ordelaffi, signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una via per comporre le divergenze in campo<ref>{{Cita|Dall'Onda|p. 158}}{{citazione|Tale fu la cagione dell'andata di Dante a Venezia che allora parve tanto più opportuna trattandosi di quistioni con gli Ordelaffi, giacché Dante era stato ''notario'' o segretario di Scarpetta Ordelaffi Signore di Forlì circa il 1307.}}
Gli ultimi tre anni di vita trascorsero relativamente tranquilli nella città romagnola, durante i quali Dante creò un cenacolo letterario frequentato dai figli Pietro e Jacopo e da alcuni giovani letterati locali, tra i quali Pieraccio Tedaldi e Giovanni Quirini. Per conto del signore di Ravenna svolse occasionali ambascerie politiche<ref>«... si può dedurre che il signore di Ravenna volle impegnarlo, e forse più volte, in ambascerie e relazioni cancelleresche, mai in un servizio continuo e ufficiale di segretario...»</ref>, come quella che lo condusse a Venezia. All'epoca, la città lagunare era in attrito con Guido Novello a causa di attacchi continui alle sue navi da parte delle galee ravennati e il doge, infuriato, si alleò con Forlì per muovere guerra a Guido Novello; questi, ben sapendo di non disporre dei mezzi necessari per fronteggiare tale invasione, chiese a Dante di intercedere per lui davanti al Senato veneziano. Gli studiosi si sono domandati perché Guido Novello avesse pensato proprio all'ultracinquantenne poeta come suo rappresentante: alcuni ritengono che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico degli Ordelaffi, signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una via per comporre le divergenze in campo.
</ref>.
 
==Il pensiero==
[[File:DanteFresco.jpg|miniatura|Andrea del Castagno'', Dante Alighieri'', ne ''Ciclo degli uomini e donne illustri'', affresco, tra il 1448 e il 1451, Galleria degli Uffizi, Firenze|alt=]]
 
===Il ruolo del ''volgare'' e l'ottica "civile" della letteratura===
Il ruolo della lingua volgare, definita da Dante nel ''De Vulgari'' come ''Hec est nostra vera prima locutio''<ref>[https://la.wikisource.org/wiki/De_Vulgari_Eloquentia ''De Vulgari Eloquentia'' I, II 1]
</ref> («il nostro primo vero linguaggio», nella traduzione italiana), fu fondamentale per lo sviluppo del suo programma letterario. Con Dante, infatti, il volgare assunse lo stato di lingua colta e letteraria, grazie alla ferrea volontà, da parte del poeta fiorentino, di trovare un veicolo linguistico comune tra gli italiani, perlomeno tra i governanti. Egli, nei primi passi del ''De Vulgari'', esporrà chiaramente la sua predilezione per la lingua colloquiale e materna rispetto a quella latina, finta e artificiale.
 
Proposito della produzione letteraria volgare dantesca è infatti quella di essere fruibile da parte del pubblico dei lettori, cercando di abbattere il muro tra i ceti colti (abituati a interagire fra di loro in latino) e quelli più popolari, affinché anche questi ultimi potessero apprendere contenuti filosofici e morali fino ad allora relegati nell'ambiente accademico. Si ha quindi una visione della letteratura intesa come strumento al servizio della società, come verrà esposto programmaticamente nel ''Convivio.''
 
Alla scelta di Dante di utilizzare la lingua volgare per scrivere alcune delle sue opere possono avere influito notevolmente le opere di Andrea da Grosseto, letterato del Duecento che utilizzava la lingua volgare da lui parlata, il dialetto grossetano dell'epoca, per la traduzione di opere prosaiche in latino, come i trattati di Albertano da Brescia.
 
===La poetica===
====Il «plurilinguismo» dantesco====
Con questa felice espressione, il critico letterario Gianfranco Contini ha individuato la straordinaria versatilità di Dante, all'interno delle ''Rime'', nel saper usare più registri linguistici con disinvoltura e grazia armonica. Come già esposto prima, Dante manifesta un'aperta curiosità per la struttura "genetica" della lingua materna degli italiani, concentrandosi sulle espressioni dell'eloquio quotidiano, sui motti e battute più o meno raffinate. Questa tendenza a inquadrare la ricchezza testuale della lingua materna spinge il letterato fiorentino a realizzare un affresco variopinto finora mai creato nella lirica volgare italiana, come esposto lucidamente da Giulio Ferroni.
====Dalle rime «amorose» a quelle «petrose»====
Dopo la fine dell'esperienza amorosa, Dante si concentrò sempre più su una poesia caratterizzata dalla riflessione filosofico-politica, che assumerà tratti duri e sofferenti nelle rime della seconda metà degli anni novanta, chiamate anche rime «petrose», in quanto incentrate sulla figura di una certa «donna petra», completamente antitetica alle "''donne che avete intelletto d'Amore"''. Opere
 
'''''Il Fiore'' e ''Detto d'Amore'''''
 
Due opere poetiche in volgare di argomento, lessico e stile affini e collocate in un periodo cronologico che va dal 1283 al 1287, sono state attribuite con una certa sicurezza a Dante dalla critica novecentesca, soprattutto a partire dal lavoro del filologo dantesco Gianfranco Contini<ref name="Cont1970" />.
 
'''''Le Rime'''''
 
''Le Rime'' sono una raccolta messa insieme e ordinata da moderni editori, che riunisce il complesso della produzione lirica dantesca dalle prove giovanili a quelle dell'età matura (le prime sono datate intorno al 1284).
 
'''''Vita Nova'''''
 
La ''Vita Nova'' può essere considerata il "romanzo" autobiografico di Dante, in cui si celebra l'amore per Beatrice, presentata con tutte le caratteristiche proprie dello stilnovismo dantesco. Racconto della vita spirituale e della evoluzione poetica del Poeta, resa come ''exemplum'', la ''Vita nova'' è un prosimetro (brano caratterizzato dall'alternanza tra prosa e versi) e risulta strutturata in quarantadue (o trentuno)<ref>
===''Convivio''===
Il ''[[Convivio]]'' (scritta tra il [[1303]] e il [[1308]]) dal latino ''convivium'', ovvero "banchetto" (di sapienza), è la prima delle opere di Dante scritta subito dopo il forzato allontanamento di [[Firenze]] ed è il grande manifesto del fine "civile" che la letteratura deve avere nel consorzio umano. L'opera consiste in un commento a varie canzoni dottrinali poste all'''[[incipit]]'', una vera e propria [[enciclopedia]] dei saperi più importanti per coloro che vogliano dedicarsi all'attività pubblica e civile senza aver compiuto gli studi regolari. È pertanto scritta in volgare per essere appunto capita da chi non ha avuto la possibilità in precedenza di studiare il [[Lingua latina|latino]].
 
===''De vulgari eloquentia''===
<br />
[[File:De vulgari eloquentia.tif|miniatura|Una copia del 1577 del ''De vulgari eloquentia''.]]
 
Contemporaneo al ''Convivio'', il ''De vulgari eloquentia'' è un [[Trattato (letteratura)|trattato]] in latino scritto da Dante tra il [[1303]] e il [[1304]]. Composto da un primo libro intero e da 14 capitoli del secondo libro, era inizialmente destinato a comprendere quattro libri. Pur affrontando il tema della lingua volgare, fu scritto in latino perché gli interlocutori a cui Dante si rivolse appartenevano all'élite culturale del tempo, che forte della tradizione della letteratura classica riteneva il latino senz'altro superiore a qualsiasi volgare, ma anche per conferire alla lingua volgare una maggior dignità: il latino era infatti usato soltanto per scrivere di [[legge]], [[religione]] e trattati internazionali, cioè argomenti della massima importanza. Dante si lanciò in un'appassionata difesa del volgare, dicendo che meritava di diventare una lingua illustre in grado di competere se non uguagliare la lingua di [[Publio Virgilio Marone|Virgilio]], sostenendo però che per diventare una lingua in grado di trattare argomenti importanti il volgare doveva essere:
 
*''illustre'' (in quanto luminoso e quindi capace di dare lustro a chi ne fa uso nello scritto);
*''cardinale'' (tale che intorno a esso ruotassero come una porta intorno al cardine, i volgari regionali);
*''aulico'' (reso nobile dal suo uso dotto, tale da esser parlato nella reggia);
*''curiale'' (come linguaggio delle corti italiane, e da essere adoperato negli atti politici di un sovrano).
 
Con tali termini intendeva l'assoluta dignità del volgare anche come lingua letteraria, non più come lingua esclusivamente popolare. Dopo avere ammesso la grande dignità del [[Scuola siciliana|siciliano illustre]], la prima lingua letteraria assunta a dignità nazionale, passa in rassegna tutti gli altri volgari italiani trovando nell'uno alcune, nell'altro altre delle qualità che sommate dovrebbero costituire la lingua italiana. Dante vede nell'italiano la ''[[Pantera profumata|panthera redolens]]'' dei bestiari medievali, animale che attrae la sua preda (qui lo scrittore) con il suo irresistibile profumo, che Dante sente in tutti i volgari regionali, e in particolare nel siciliano, senza però riuscire mai a vederla materializzarsi: manca in effetti ancora una lingua italiana utilizzabile in tutti i suoi registri, da tutti gli strati della popolazione della penisola italica. Per farla riapparire era dunque necessario attingere alle opere dei letterati italiani finora apparsi, cercando così di delineare un canone linguistico e letterario comune.
 
===''De Monarchia''===
L'opera venne composta in occasione della discesa in Italia dell'imperatore [[Enrico VII di Lussemburgo]] tra il 1310 e il 1313. Si compone di tre libri ed è la [[summa]] del pensiero politico dantesco.  


===''Commedia''===
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La ''Comedìa'' — titolo originale dell'opera: successivamente [[Giovanni Boccaccio]] attribuì l'aggettivo "Divina" al poema dantesco — è il capolavoro del poeta fiorentino ed è considerata la più importante testimonianza letteraria della civiltà medievale nonché una delle più grandi opere della letteratura universale. Viene definita "comedia" in quanto scritta in stile "comico", ovvero non aulico. Un'altra interpretazione si fonda sul fatto che il poema inizia da situazioni piene di dolore e paura e finisce con la pace e la sublimità della visione di Dio. Dante iniziò a lavorare all'opera intorno al [[1300]] ([[Giubileo universale della Chiesa cattolica|anno giubilare]], tanto che egli data al 7 aprile di quell'anno il suo viaggio nella ''selva oscura'') e la continuò nel resto della vita, pubblicando le cantiche man mano che le completava<nowiki><ref>Secondo una notizia tramandata dal Boccaccio, da Benvenuto e dall'anonimo fiorentino, i primi sette canti sarebbero stati composti a Firenze prima dell'esilio. Rimasti a Firenze e ritrovati da sua moglie, sarebbero stati consegnati al poeta durante il suo soggiorno in Lunigiana, dove avrebbe ripreso la composizione dell'opera. Sulla questione si veda: </nowiki>{{Cita|Ferretti 1935}} e {{cita|Ferretti 1950|pagine=3-25}}</ref>. Si hanno notizie di copie manoscritte dell'<nowiki/>''Inferno'' intorno al 1313, mentre il ''Purgatorio'' fu pubblicato nei due anni successivi. Il ''Paradiso''', '''''iniziato forse nel 1316, fu pubblicato man mano che si completavano i canti negli ultimi anni di vita del poeta. Il poema è diviso in tre libri o ''cantiche'', ciascuno formato da 33 canti (tranne l'Inferno che ne presenta 34, poiché il primo funge da proemio all'intero poema) e a cui corrispondono i tre stili della ''Rota Vergilii''<ref>Si guardi la sezione dedicata allo stile.</ref>; ogni canto si compone di terzine di endecasillabi (la terzina dantesca). [[File:Alighieri - Divina Commedia, Nel mille quatro cento septe et due nel quarto mese adi cinque et sei - 2384293 id00022000 Scan00006.jpg|miniatura|''Divina Commedia'', 1472.]]
'''''La Commedia'''''
La ''Commedia'' tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, ben lontana dalla pedante poesia didattica medievale, ma intrisa di una spiritualità cristiana nuova che si mescola alla passione politica e agli interessi letterari del poeta. Si narra di un viaggio immaginario nei tre regni dell'aldilà, nei quali si proiettano il bene e il male del mondo terreno, compiuto dal poeta stesso, quale "simbolo" dell'umanità, sotto la guida della ragione e della fede. Il percorso tortuoso e arduo di Dante, il cui linguaggio diventa sempre più complesso quanto più egli sale verso il ''Paradiso'', rappresenta, sotto metafora, anche il difficile processo di maturazione linguistica del volgare illustre, che si emancipa dai confini angusti municipali per far assurgere il volgare fiorentino al di sopra delle altre varianti del volgare italiano, arricchiendolo nel contempo con il loro contatto''.'' Dante è accompagnato sia nell''<nowiki/>'Inferno'' che nel ''Purgatorio'' dal suo maestro Virgilio; in ''Paradiso'' da Beatrice e, infine, da san Bernardo.
''<nowiki/><nowiki/>''<nowiki/><nowiki/>''<nowiki/>''
'''Le Epistole e l'<nowiki/>''Epistola XIII a Cangrande della Scala'''''
Ruolo rilevante hanno le 13 ''Epistole'' scritte da Dante durante gli anni dell'esilio. Tra le principali epistole, incentrate principalmente su questioni politiche (relative alla discesa di Arrigo VII) e religiose (lettera indirizzata ai cardinali italiani riuniti, nel 1314, per eleggere il successore di Clemente V). L'''Epistola XIII a Cangrande della Scala'', risalente agli anni tra il 1316 e 1320, è l'ultima e la più rilevante delle epistole attualmente conservate (benché si dubiti in parte della sua autenticità). Essa contiene la dedica del ''Paradiso'' al signore di Verona, nonché importanti indicazioni per la lettura della ''Commedia'': il soggetto (la condizione delle anime dopo la morte), la pluralità dei sensi, il titolo (che deriva dal fatto che inizia in modo aspro e triste e si conclude con il lieto fine), la finalità dell'opera che non è solo speculativa, ma pratica poiché mira a rimuovere i viventi dallo stato di miseria per portarli alla felicità.
'''''Egloghe'''''


Le ''Egloghe'' sono due componimenti di carattere bucolico scritti in lingua latina tra il 1319 e il 1321 a Ravenna, facenti parte di una corrispondenza con Giovanni del Virgilio, intellettuale bolognese, i cui due componimenti finiscono sotto il titolo di ''Egloga I'' e ''Egloga III'', mentre quelli danteschi sono l'''Egloga II'' e ''Egloga IV''.
==25 marzo==
Dal 2020 il giorno dedicato a Dante - DanteDi - è il 25 marzo su iniziativa del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.<ref>https://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_1775845773.html</ref><br />
<nowiki/>''<nowiki/><nowiki/><nowiki/>''<nowiki/><nowiki/>''<nowiki/>'''''<nowiki/>'''
==Note==
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<references />
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[[Categoria:Poeta Accreditato Wikipedia]]
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