Dante Alighieri: differenze tra le versioni

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Il nome "Dante", secondo la testimonianza di Jacopo Alighieri, è un ipocoristico di Durante<ref name="Cont1970">{{Cita|Contini 1970|pp. 895-901}}{{citazione|l’Alighieri era per solito designato con l’ipocorismo ‘Dante’ (unicamente in un atto del 1343, rogato in favore del figlio Iacopo, il defunto padre è denominato "Durante, ol. vocatus Dante, cd. Alagherii")}}</ref>; nei documenti era seguito dal patronimico Alagherii o dal gentilizio ''de Alagheriis'', mentre la variante Alighieri si affermò solo con l'avvento di [[Boccaccio]].  
Il nome "Dante", secondo la testimonianza di Jacopo Alighieri, è un ipocoristico di Durante<ref name="Cont1970">{{Cita|Contini 1970|pp. 895-901}}{{citazione|l’Alighieri era per solito designato con l’ipocorismo ‘Dante’ (unicamente in un atto del 1343, rogato in favore del figlio Iacopo, il defunto padre è denominato "Durante, ol. vocatus Dante, cd. Alagherii")}}</ref>; nei documenti era seguito dal patronimico Alagherii o dal gentilizio ''de Alagheriis'', mentre la variante Alighieri si affermò solo con l'avvento di [[Boccaccio]].  


È considerato il padre della lingua italiana; la sua fama è dovuta eminentemente alla paternità della ''Comedìa'', divenuta celebre come ''Divina Commedia'' e universalmente considerata la più grande opera scritta in lingua italiana e uno dei maggiori capolavori della letteratura mondiale<ref>{{cita|H. Bloom|titolo=Il Canone occidentale}}.</ref>. Espressione della cultura medievale, filtrata attraverso la lirica del ''Dolce stil novo'', la ''Commedia'' è anche veicolo allegorico della salvezza umana, che si concreta nel toccare i drammi dei dannati, le pene purgatoriali e le glorie celesti, permettendo a Dante di offrire al lettore uno spaccato di morale ed etica.  
È considerato il padre della lingua italiana; la sua fama è dovuta eminentemente alla paternità della ''Comedìa'', divenuta celebre come ''Divina Commedia'' e universalmente considerata la più grande opera scritta in lingua italiana e uno dei maggiori capolavori della letteratura mondiale. Espressione della cultura medievale, filtrata attraverso la lirica del ''Dolce stil novo'', la ''Commedia'' è anche veicolo allegorico della salvezza umana, che si concreta nel toccare i drammi dei dannati, le pene purgatoriali e le glorie celesti, permettendo a Dante di offrire al lettore uno spaccato di morale ed etica.  


Importante linguista, teorico politico e filosofo, Dante spaziò all'interno dello scibile umano, segnando profondamente la letteratura italiana dei secoli successivi e la stessa cultura occidentale, tanto da essere soprannominato il "Sommo Poeta" o, per antonomasia, il "Poeta"<ref name="Dur1">{{Cita web|titolo=Dante Alighieri|url=http://www.letteratura.it/dantealighieri/|accesso=3 giugno 2015|curatore=Sara Marchesi e Maria Grazia Vasta|data=maggio 2007|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150613143511/http://www.letteratura.it/dantealighieri/#|dataarchivio=13 giugno 2015|urlmorto=sì}}</ref>. Dante, le cui spoglie si trovano presso la tomba a Ravenna costruita nel 1780 da Camillo Morigia, è diventato uno dei simboli dell'Italia nel mondo, grazie al nome del principale ente della diffusione della lingua italiana, la Società Dante Alighieri<ref>{{Cita web|titolo=Società Dante Alighieri – il Mondo in Italiano|url=http://ladante.it/|accesso=3 giugno 2015|editore=Società Dante Alighieri}}</ref>, mentre gli studi critici e filologici sono mantenuti vivi dalla Società dantesca.  
Importante linguista, teorico politico e filosofo, Dante spaziò all'interno dello scibile umano, segnando profondamente la letteratura italiana dei secoli successivi e la stessa cultura occidentale, tanto da essere soprannominato il "Sommo Poeta" o, per antonomasia, il "Poeta". Dante, le cui spoglie si trovano presso la tomba a Ravenna costruita nel 1780 da Camillo Morigia, è diventato uno dei simboli dell'Italia nel mondo, grazie al nome del principale ente della diffusione della lingua italiana, la Società Dante Alighieri, mentre gli studi critici e filologici sono mantenuti vivi dalla Società dantesca.  




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====La data di nascita e il mito di Boccaccio====
====La data di nascita e il mito di Boccaccio====
[[File:Casa di dante 01.JPG|miniatura|Casa di Dante a Firenze]]  
[[File:Casa di dante 01.JPG|miniatura|Casa di Dante a Firenze]]  
La data di nascita di Dante non è conosciuta con esattezza, anche se solitamente viene indicata attorno al 1265. Tale datazione è ricavata sulla base di alcune allusioni autobiografiche riportate nella ''Vita Nova'' e nella cantica dell'''Inferno'', che comincia con il celeberrimo verso ''Nel mezzo del cammin di nostra vita''. Poiché la metà della vita dell'uomo è, per Dante, il trentacinquesimo anno di vita<ref>Dante espone questa sua convinzione in [[s:Convivio/Trattato quarto|Convivio IV, XXIII 9]]: «Là dove sia lo punto sommo di questo arco, per quella disaguaglianza che detta è di sopra, è forte da sapere; ma ne li più io credo tra il trentesimo e quarantesimo anno, e io credo che ne li perfettamente naturati esso ne sia nel trentacinquesimo anno».</ref><ref>I critici letterari Umberto Bosco e Giovanni Reggio sostengono che Dante fu influenzato da un passo estratto dalla [[Bibbia]]: «L'opinione era ricalcata d'altronde su un passo biblico: "Dies annorum nostrorum sunt septuaginta anni" [http://www.vatican.va/archive/bible/nova_vulgata/documents/nova-vulgata_vt_psalmorum_lt.html#LIBER%20III%20(Psalmi%2073-89) (Psalmus 90 (89), 10)])» (Dante Alighieri, ''La Divina Commedia'', a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio, Vol. 1 Inferno, p. 7).</ref> e poiché il viaggio immaginario avviene nel 1300, si risalirebbe di conseguenza al 1265. Oltre alle elucubrazioni dei critici, viene in supporto di tale ipotesi un contemporaneo di Dante, lo storico fiorentino Giovanni Villani il quale, nella sua ''Nova Cronica'', riporta che «questo Dante morì in esilio del comune di Firenze in età di circa 56 anni»<ref>{{Cita|Villani|p. 135}}.</ref>: una prova che confermerebbe tale idea. Alcuni versi del ''Paradiso'' ci dicono inoltre che egli nacque sotto il segno dei Gemelli, quindi in un periodo compreso fra il 21 maggio e il 21 giugno<ref>{{Cita|Ferroni|p. 3}}.</ref>.
La data di nascita di Dante non è conosciuta con esattezza, anche se solitamente viene indicata attorno al 1265. Tale datazione è ricavata sulla base di alcune allusioni autobiografiche riportate nella ''Vita Nova'' e nella cantica dell'''Inferno'', che comincia con il celeberrimo verso ''Nel mezzo del cammin di nostra vita''. Poiché la metà della vita dell'uomo è, per Dante, il trentacinquesimo anno di vita<ref>Dante espone questa sua convinzione in [[s:Convivio/Trattato quarto|Convivio IV, XXIII 9]]: «Là dove sia lo punto sommo di questo arco, per quella disaguaglianza che detta è di sopra, è forte da sapere; ma ne li più io credo tra il trentesimo e quarantesimo anno, e io credo che ne li perfettamente naturati esso ne sia nel trentacinquesimo anno».</ref><ref>I critici letterari Umberto Bosco e Giovanni Reggio sostengono che Dante fu influenzato da un passo estratto dalla [[Bibbia]]: «L'opinione era ricalcata d'altronde su un passo biblico: "Dies annorum nostrorum sunt septuaginta anni" [http://www.vatican.va/archive/bible/nova_vulgata/documents/nova-vulgata_vt_psalmorum_lt.html#LIBER%20III%20(Psalmi%2073-89) (Psalmus 90 (89), 10)])» (Dante Alighieri, ''La Divina Commedia'', a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio, Vol. 1 Inferno, p. 7).</ref> e poiché il viaggio immaginario avviene nel 1300, si risalirebbe di conseguenza al 1265. Oltre alle elucubrazioni dei critici, viene in supporto di tale ipotesi un contemporaneo di Dante, lo storico fiorentino Giovanni Villani il quale, nella sua ''Nova Cronica'', riporta che «questo Dante morì in esilio del comune di Firenze in età di circa 56 anni»: una prova che confermerebbe tale idea. Alcuni versi del ''Paradiso'' ci dicono inoltre che egli nacque sotto il segno dei Gemelli, quindi in un periodo compreso fra il 21 maggio e il 21 giugno.


Tuttavia, se sconosciuto è il giorno della sua nascita, certo invece è quello del battesimo: il 27 marzo 1266, di Sabato santo<ref>{{Cita|Moreali|p. 457}}.</ref>. Quel giorno vennero portati al sacro fonte tutti i nati dell'anno per una solenne cerimonia collettiva. Dante venne battezzato con il nome di Durante, poi sincopato in Dante, in ricordo di un parente ghibellino<ref>{{Cita|Marchi|p. 15}}.</ref>. Pregna di rimandi classici è la leggenda narrata da [[Giovanni Boccaccio]] ne ''Il Trattatello in laude di Dante'' riguardo alla nascita del poeta: secondo Boccaccio, la madre di Dante, poco prima di darlo alla luce, ebbe una visione e sognò di trovarsi sotto un alloro altissimo, in mezzo a un vasto prato con una sorgente zampillante insieme al piccolo Dante appena partorito e di vedere il bimbo tendere la piccola mano verso le fronde, mangiare le bacche e trasformarsi in un magnifico [[Pavo cristatus|pavone]]<ref>{{Cita libro|autore=Giovanni Boccaccio|titolo=Trattatello in Laude di Dante|posizione=Capitolo II – Patria e maggiori di Dante|url=https://it.wikisource.org/wiki/Trattatello_in_laude_di_Dante/II|accesso=20 maggio 2015}}</ref><ref name=":13">{{Cita|Marchi|p. 14}}.</ref>.
Tuttavia, se sconosciuto è il giorno della sua nascita, certo invece è quello del battesimo: il 27 marzo 1266, di Sabato santo. Quel giorno vennero portati al sacro fonte tutti i nati dell'anno per una solenne cerimonia collettiva. Dante venne battezzato con il nome di Durante, poi sincopato in Dante, in ricordo di un parente ghibellino. Pregna di rimandi classici è la leggenda narrata da [[Giovanni Boccaccio]] ne ''Il Trattatello in laude di Dante'' riguardo alla nascita del poeta: secondo Boccaccio, la madre di Dante, poco prima di darlo alla luce, ebbe una visione e sognò di trovarsi sotto un alloro altissimo, in mezzo a un vasto prato con una sorgente zampillante insieme al piccolo Dante appena partorito e di vedere il bimbo tendere la piccola mano verso le fronde, mangiare le bacche e trasformarsi in un magnifico [[Pavo cristatus|pavone]].


====La famiglia paterna e materna====
====La famiglia paterna e materna====
[[File:Dante Luca.jpg|miniatura|Luca Signorelli, ''Dante'', affresco, 1499-1502, particolare tratto dalle ''Storie degli ultimi giorni'', cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto|alt=]]
[[File:Dante Luca.jpg|miniatura|Luca Signorelli, ''Dante'', affresco, 1499-1502, particolare tratto dalle ''Storie degli ultimi giorni'', cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto|alt=]]
Dante apparteneva agli Alighieri, una famiglia di secondaria importanza all'interno dell'élite sociale fiorentina che, negli ultimi due secoli, aveva raggiunto una certa agiatezza economica. Benché Dante affermi che la sua famiglia discendesse dagli antichi Romani,<ref>[[s:Divina Commedia/Inferno/Canto XV#72|''Inferno'', XV, v. 76]].</ref> il parente più lontano di cui egli fa nome è il trisavolo Cacciaguida degli Elisei<ref>Si veda [[s:Divina Commedia/Paradiso/Canto XV#132|''Paradiso'', XV 135]].</ref>, fiorentino vissuto intorno al 1100 e cavaliere nella seconda crociata al seguito dell'imperatore Corrado III<ref name="cac1">{{cita web|titolo=Cacciaguida|url=http://www.danteonline.it/italiano/popup_schede.asp?tipo=ske&scheda=cacciaguida|accesso=6 giugno 2015|sito=Dante online|editore=Società dantesca italiana}}</ref>.
Dante apparteneva agli Alighieri, una famiglia di secondaria importanza all'interno dell'élite sociale fiorentina che, negli ultimi due secoli, aveva raggiunto una certa agiatezza economica. Benché Dante affermi che la sua famiglia discendesse dagli antichi Romani,<ref>[[s:Divina Commedia/Inferno/Canto XV#72|''Inferno'', XV, v. 76]].</ref> il parente più lontano di cui egli fa nome è il trisavolo Cacciaguida degli Elisei<ref>Si veda [[s:Divina Commedia/Paradiso/Canto XV#132|''Paradiso'', XV 135]].</ref>, fiorentino vissuto intorno al 1100 e cavaliere nella seconda crociata al seguito dell'imperatore Corrado III.


Come sottolinea Arnaldo D'Addario sull'''Enciclopedia dantesca'', la famiglia degli Alighieri (che prese tale nominativo dalla famiglia della moglie di Cacciaguida)<ref name="cac1" /> passò da uno status nobiliare meritocratico<ref>Riguardo al dibattito sulla nobiltà della famiglia Alighieri, si consultino: {{cita|Carpi}}; {{cita|Barbi|pagine=101-104}}</ref> a uno borghese agiato, ma meno prestigioso sul piano sociale<ref>{{Cita|D'Addario}}{{citazione|Nell'arco di tempo di circa due secoli, le condizioni sociali degli A. avevano subito un mutamento profondo. Cacciaguida è un cavaliere prode e pio, degno di stare al seguito dell'imperatore; gli Elisei che ne derivano sono nobili per dignità personale e per parentela; Alaghiero sposa una donna dei Ravignani; Bello è detto "dominus" nei documenti, con allusione alla dignità equestre di cui era investito; Geri di Bello è impegnato nelle contese fra le consorterie e muore nel corso di una faida tra magnati. Gl'immediati ascendenti di D. appartengono già a un ceto diverso, di minore importanza sul piano sociale; sono cambiatori, prestatori, piccoli - per quanto agiati - proprietari di case e di terre. La nobiltà cittadinesca degli avi, sostanziata di valore militare e di pietà religiosa, è venuta trasformandosi in anonima condizione borghese e rivive ormai solo nell'idealizzazione che D. ne fa attraverso le parole di Cacciaguida. La parabola discendente degli A. è assunta nella Commedia come paradigma della decadenza cui soggiace l'intera società fiorentina, divisa e corrotta dalla lotta politica, profondamente mutata nelle sue componenti a causa dell'inurbamento conseguente all'ampliamento territoriale e alle fortune economiche della città.}}</ref>. Il nonno paterno di Dante, Bellincione, era infatti un popolano e un popolano sposò la sorella di Dante<ref name=":13" />. Il figlio di Bellincione (e padre di Dante), Aleghiero o Alighiero di Bellincione, svolgeva la professione di ''compsor'' (cambiavalute), con la quale riuscì a procurare un dignitoso decoro alla numerosa famiglia<ref>{{Cita|D'Addario 1960}}.</ref><ref>{{Cita web|autore=Andrea Mazzucchi|url=http://www.internetculturale.it/opencms/directories/ViaggiNelTesto/dante/a5.html|titolo=I genitori|accesso=3 giugno 2015|editore=Internet culturale|data=2012|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150924035644/http://www.internetculturale.it/opencms/directories/ViaggiNelTesto/dante/a5.html#|dataarchivio=24 settembre 2015|urlmorto=sì}}</ref>. Grazie alla scoperta di due pergamene conservate nell’Archivio Diocesano di Lucca, però, si viene a sapere che il padre di Dante avrebbe fatto anche l'usuraio (dando adito alla ''tenzone'' tra l'Alighieri e l'amico Forese Donati<ref>{{Cita web |url=https://it.wikisource.org/wiki/Rime_(Dante)/LXXIV_-_L%27altra_notte_mi_venne_una_gran_tosse|''Rime''|titolo=LXXIV}}</ref>) traendo degli arricchimenti tramite la sua posizione di procuratore giudiziale presso il tribunale di Firenze<ref>{{Cita web|url=https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02/01/dante-il-padre-alighiero-di-bellincione-era-un-usuraio-la-prova-in-due-pergamene/3359259/|titolo=Dante, "il padre Alighiero di Bellincione era un usuraio: la prova in due pergamene"|sito=Il Fatto Quotidiano|data=1º febbraio 2017|accesso=2 febbraio 2017}}</ref>. Era inoltre un guelfo, ma senza ambizioni politiche: per questo i ghibellini non lo esiliarono dopo la battaglia di Montaperti, come fecero con altri guelfi, giudicandolo un avversario non pericoloso<ref name=":13" />.  
Come sottolinea Arnaldo D'Addario sull'''Enciclopedia dantesca'', la famiglia degli Alighieri (che prese tale nominativo dalla famiglia della moglie di Cacciaguida) passò da uno status nobiliare meritocratico a uno borghese agiato, ma meno prestigioso sul piano sociale<ref>{{Cita|D'Addario}}{{citazione|Nell'arco di tempo di circa due secoli, le condizioni sociali degli A. avevano subito un mutamento profondo. Cacciaguida è un cavaliere prode e pio, degno di stare al seguito dell'imperatore; gli Elisei che ne derivano sono nobili per dignità personale e per parentela; Alaghiero sposa una donna dei Ravignani; Bello è detto "dominus" nei documenti, con allusione alla dignità equestre di cui era investito; Geri di Bello è impegnato nelle contese fra le consorterie e muore nel corso di una faida tra magnati. Gl'immediati ascendenti di D. appartengono già a un ceto diverso, di minore importanza sul piano sociale; sono cambiatori, prestatori, piccoli - per quanto agiati - proprietari di case e di terre. La nobiltà cittadinesca degli avi, sostanziata di valore militare e di pietà religiosa, è venuta trasformandosi in anonima condizione borghese e rivive ormai solo nell'idealizzazione che D. ne fa attraverso le parole di Cacciaguida. La parabola discendente degli A. è assunta nella Commedia come paradigma della decadenza cui soggiace l'intera società fiorentina, divisa e corrotta dalla lotta politica, profondamente mutata nelle sue componenti a causa dell'inurbamento conseguente all'ampliamento territoriale e alle fortune economiche della città.}}</ref>. Il nonno paterno di Dante, Bellincione, era infatti un popolano e un popolano sposò la sorella di Dante. Il figlio di Bellincione (e padre di Dante), Aleghiero o Alighiero di Bellincione, svolgeva la professione di ''compsor'' (cambiavalute), con la quale riuscì a procurare un dignitoso decoro alla numerosa famiglia. Grazie alla scoperta di due pergamene conservate nell’Archivio Diocesano di Lucca, però, si viene a sapere che il padre di Dante avrebbe fatto anche l'usuraio (dando adito alla ''tenzone'' tra l'Alighieri e l'amico Forese Donati) traendo degli arricchimenti tramite la sua posizione di procuratore giudiziale presso il tribunale di Firenze<ref>{{Cita web|url=https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02/01/dante-il-padre-alighiero-di-bellincione-era-un-usuraio-la-prova-in-due-pergamene/3359259/|titolo=Dante, "il padre Alighiero di Bellincione era un usuraio: la prova in due pergamene"|sito=Il Fatto Quotidiano|data=1º febbraio 2017|accesso=2 febbraio 2017}}</ref>. Era inoltre un guelfo, ma senza ambizioni politiche: per questo i ghibellini non lo esiliarono dopo la battaglia di Montaperti, come fecero con altri guelfi, giudicandolo un avversario non pericoloso.  


La madre di Dante si chiamava Bella degli Abati, figlia di Durante Scolaro<ref>{{Cita|Reynolds|p. 15}}.</ref><ref>Bella è diminutivo per Gabriella.</ref> e appartenente a un'importante famiglia ghibellina locale<ref name=":13" />. Il figlio Dante non la citerà mai tra i suoi scritti, col risultato che di lei possediamo pochissime notizie biografiche. Bella morì quando Dante aveva cinque o sei anni e Alighiero presto si risposò, forse tra il 1275 e il 1278<ref name=":0">{{Cita|Petrocchi|p. 12}}.</ref>, con Lapa di Chiarissimo Cialuffi. Da questo matrimonio nacquero Francesco e Tana Alighieri (Gaetana) e forse anche – ma potrebbe essere stata anche figlia di Bella degli Abati – un'altra figlia ricordata dal Boccaccio come moglie del banditore fiorentino Leone Poggi e madre del suo amico Andrea Poggi<ref name=":0" />. Si ritiene che a lei alluda Dante in ''Vita nuova'' (''Vita nova'') XXIII, 11-12, chiamandola «donna giovane e gentile [...] di propinquissima sanguinitade congiunta»<ref name=":0" />.
La madre di Dante si chiamava Bella degli Abati, figlia di Durante Scolaro<ref>Bella è diminutivo per Gabriella.</ref> e appartenente a un'importante famiglia ghibellina locale<ref name=":13">{{Cita|Marchi|p. 14}}.</ref>. Il figlio Dante non la citerà mai tra i suoi scritti, col risultato che di lei possediamo pochissime notizie biografiche. Bella morì quando Dante aveva cinque o sei anni e Alighiero presto si risposò, forse tra il 1275 e il 1278, con Lapa di Chiarissimo Cialuffi. Da questo matrimonio nacquero Francesco e Tana Alighieri (Gaetana) e forse anche – ma potrebbe essere stata anche figlia di Bella degli Abati – un'altra figlia ricordata dal Boccaccio come moglie del banditore fiorentino Leone Poggi e madre del suo amico Andrea Poggi. Si ritiene che a lei alluda Dante in ''Vita nuova'' (''Vita nova'') XXIII, 11-12, chiamandola «donna giovane e gentile [...] di propinquissima sanguinitade congiunta»<ref name=":0">{{Cita|Petrocchi|p. 12}}.</ref>.


===Il matrimonio con Gemma Donati===
===Il matrimonio con Gemma Donati===
Quando Dante aveva dodici anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con [[Gemma Donati|Gemma]], figlia di Messer [[Manetto Donati]], che successivamente sposò all'età di vent'anni nel 1285<ref name=":1">{{Cita|Piattoli}}.</ref>. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza comune a quell'epoca; lo si faceva con una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti davanti a un [[notaio]]. La famiglia a cui Gemma apparteneva – i Donati – era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale e in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, vale a dire i ''guelfi neri''.
Quando Dante aveva dodici anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con Gemma, figlia di Messer Manetto Donati, che successivamente sposò all'età di vent'anni nel 1285. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza comune a quell'epoca; lo si faceva con una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti davanti a un [[notaio]]. La famiglia a cui Gemma apparteneva – i Donati – era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale e in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, vale a dire i ''guelfi neri''.


Il matrimonio tra i due non dovette essere molto felice, secondo la tradizione raccolta dal Boccaccio e fatta propria poi nell'Ottocento da Vittorio Imbriani. Dante non scrisse infatti un solo verso alla moglie, mentre di costei non ci sono pervenute notizie sulla effettiva presenza al fianco del marito durante l'esilio. Comunque sia, l'unione generò due figli e una figlia: Jacopo, Pietro, Antonia e un possibile quarto, Giovanni<ref>Un atto del 21 ottobre [[1308]] a [[Lucca]] testimonia che Giovanni fosse figlio suo, in quanto vi si trova scritto di un "''Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia''".</ref>. Dei tre certi, Pietro fu giudice a Verona e l'unico che continuò la stirpe degli Alighieri, in quanto Jacopo scelse di seguire la carriera ecclesiastica, mentre Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice, sembra nel convento delle Olivetane a Ravenna.
Il matrimonio tra i due non dovette essere molto felice, secondo la tradizione raccolta dal Boccaccio e fatta propria poi nell'Ottocento da Vittorio Imbriani. Dante non scrisse infatti un solo verso alla moglie, mentre di costei non ci sono pervenute notizie sulla effettiva presenza al fianco del marito durante l'esilio. Comunque sia, l'unione generò due figli e una figlia: Jacopo, Pietro, Antonia e un possibile quarto, Giovanni<ref>Un atto del 21 ottobre [[1308]] a [[Lucca]] testimonia che Giovanni fosse figlio suo, in quanto vi si trova scritto di un "''Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia''".</ref>. Dei tre certi, Pietro fu giudice a Verona e l'unico che continuò la stirpe degli Alighieri, in quanto Jacopo scelse di seguire la carriera ecclesiastica, mentre Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice, sembra nel convento delle Olivetane a Ravenna.
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Dante, per motivi ancora sconosciuti, si allontanò da Verona per approdare, nel 1318, a Ravenna, presso la corte di Guido Novello da Polenta. I critici hanno cercato di comprendere le cause dell'allontanamento di Dante dalla città scaligera, visti gli ottimi rapporti che intercorrevano tra Dante e Cangrande. Augusto Torre ipotizzò una missione politica a Ravenna, affidatagli dallo stesso suo protettore altri pongono le cause in una crisi momentanea tra Dante e Cangrande, oppure nell'attrattiva di far parte di una corte di letterati tra i quali il signore stesso (cioè Guido Novello), che si professava tale. Tuttavia, i rapporti con Verona non cessarono del tutto, come testimoniato dalla presenza di Dante nella città veneta il 20 gennaio 1320, per discutere la ''Quaestio de aqua et terra'', l'ultima sua opera latina.
Dante, per motivi ancora sconosciuti, si allontanò da Verona per approdare, nel 1318, a Ravenna, presso la corte di Guido Novello da Polenta. I critici hanno cercato di comprendere le cause dell'allontanamento di Dante dalla città scaligera, visti gli ottimi rapporti che intercorrevano tra Dante e Cangrande. Augusto Torre ipotizzò una missione politica a Ravenna, affidatagli dallo stesso suo protettore altri pongono le cause in una crisi momentanea tra Dante e Cangrande, oppure nell'attrattiva di far parte di una corte di letterati tra i quali il signore stesso (cioè Guido Novello), che si professava tale. Tuttavia, i rapporti con Verona non cessarono del tutto, come testimoniato dalla presenza di Dante nella città veneta il 20 gennaio 1320, per discutere la ''Quaestio de aqua et terra'', l'ultima sua opera latina.


Gli ultimi tre anni di vita trascorsero relativamente tranquilli nella città romagnola, durante i quali Dante creò un cenacolo letterario frequentato dai figli Pietro e Jacopo<ref></ref> e da alcuni giovani letterati locali, tra i quali Pieraccio Tedaldi e Giovanni Quirini<ref name="Pet198">{{Cita|Petrocchi|p. 198}}.</ref>. Per conto del signore di Ravenna svolse occasionali ambascerie politiche<ref>«... si può dedurre che il signore di Ravenna volle impegnarlo, e forse più volte, in ambascerie e relazioni cancelleresche, mai in un servizio continuo e ufficiale di segretario...» ({{Cita |Petrocchi|p. 198}}).</ref>, come quella che lo condusse a Venezia. All'epoca, la città lagunare era in attrito con Guido Novello a causa di attacchi continui alle sue navi da parte delle galee ravennati<ref name="P221">{{Cita|Petrocchi|p. 221}}.</ref> e il doge, infuriato, si alleò con Forlì per muovere guerra a Guido Novello; questi, ben sapendo di non disporre dei mezzi necessari per fronteggiare tale invasione, chiese a Dante di intercedere per lui davanti al Senato veneziano. Gli studiosi si sono domandati perché Guido Novello avesse pensato proprio all'ultracinquantenne poeta come suo rappresentante: alcuni ritengono che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico degli Ordelaffi, signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una via per comporre le divergenze in campo<ref>{{Cita|Dall'Onda|p. 158}}{{citazione|Tale fu la cagione dell'andata di Dante a Venezia che allora parve tanto più opportuna trattandosi di quistioni con gli Ordelaffi, giacché Dante era stato ''notario'' o segretario di Scarpetta Ordelaffi Signore di Forlì circa il 1307.}}
Gli ultimi tre anni di vita trascorsero relativamente tranquilli nella città romagnola, durante i quali Dante creò un cenacolo letterario frequentato dai figli Pietro e Jacopo e da alcuni giovani letterati locali, tra i quali Pieraccio Tedaldi e Giovanni Quirini. Per conto del signore di Ravenna svolse occasionali ambascerie politiche<ref>«... si può dedurre che il signore di Ravenna volle impegnarlo, e forse più volte, in ambascerie e relazioni cancelleresche, mai in un servizio continuo e ufficiale di segretario...» ({{Cita |Petrocchi|p. 198}}).</ref>, come quella che lo condusse a Venezia. All'epoca, la città lagunare era in attrito con Guido Novello a causa di attacchi continui alle sue navi da parte delle galee ravennati e il doge, infuriato, si alleò con Forlì per muovere guerra a Guido Novello; questi, ben sapendo di non disporre dei mezzi necessari per fronteggiare tale invasione, chiese a Dante di intercedere per lui davanti al Senato veneziano. Gli studiosi si sono domandati perché Guido Novello avesse pensato proprio all'ultracinquantenne poeta come suo rappresentante: alcuni ritengono che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico degli Ordelaffi, signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una via per comporre le divergenze in campo.
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==Il pensiero==
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===''Commedia''===
===''Commedia''===
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La ''Comedìa'' — titolo originale dell'opera: successivamente [[Giovanni Boccaccio]] attribuì l'aggettivo "Divina" al poema dantesco — è il capolavoro del poeta fiorentino ed è considerata la più importante testimonianza letteraria della civiltà medievale nonché una delle più grandi opere della letteratura universale. Viene definita "comedia" in quanto scritta in stile "comico", ovvero non aulico. Un'altra interpretazione si fonda sul fatto che il poema inizia da situazioni piene di dolore e paura e finisce con la pace e la sublimità della visione di Dio. Dante iniziò a lavorare all'opera intorno al [[1300]] ([[Giubileo universale della Chiesa cattolica|anno giubilare]], tanto che egli data al 7 aprile di quell'anno il suo viaggio nella ''selva oscura'') e la continuò nel resto della vita, pubblicando le cantiche man mano che le completava<nowiki><ref>Secondo una notizia tramandata dal Boccaccio, da Benvenuto e dall'anonimo fiorentino, i primi sette canti sarebbero stati composti a Firenze prima dell'esilio. Rimasti a Firenze e ritrovati da sua moglie, sarebbero stati consegnati al poeta durante il suo soggiorno in Lunigiana, dove avrebbe ripreso la composizione dell'opera. Sulla questione si veda: </nowiki>{{Cita|Ferretti 1935}} e {{cita|Ferretti 1950|pagine=3-25}}</ref>. Si hanno notizie di copie manoscritte dell'<nowiki/>''Inferno'' intorno al 1313, mentre il ''Purgatorio'' fu pubblicato nei due anni successivi. Il ''Paradiso''', '''''iniziato forse nel 1316, fu pubblicato man mano che si completavano i canti negli ultimi anni di vita del poeta. Il poema è diviso in tre libri o ''cantiche'', ciascuno formato da 33 canti (tranne l'Inferno che ne presenta 34, poiché il primo funge da proemio all'intero poema) e a cui corrispondono i tre stili della ''Rota Vergilii''<ref>Si guardi la sezione dedicata allo stile.</ref>; ogni canto si compone di terzine di endecasillabi (la terzina dantesca). [[File:Alighieri - Divina Commedia, Nel mille quatro cento septe et due nel quarto mese adi cinque et sei - 2384293 id00022000 Scan00006.jpg|miniatura|''Divina Commedia'', 1472.]]
La ''Comedìa'' — titolo originale dell'opera: successivamente [[Giovanni Boccaccio]] attribuì l'aggettivo "Divina" al poema dantesco — è il capolavoro del poeta fiorentino ed è considerata la più importante testimonianza letteraria della civiltà medievale nonché una delle più grandi opere della letteratura universale. Viene definita "comedia" in quanto scritta in stile "comico", ovvero non aulico. Un'altra interpretazione si fonda sul fatto che il poema inizia da situazioni piene di dolore e paura e finisce con la pace e la sublimità della visione di Dio. Dante iniziò a lavorare all'opera intorno al [[1300]] ([[Giubileo universale della Chiesa cattolica|anno giubilare]], tanto che egli data al 7 aprile di quell'anno il suo viaggio nella ''selva oscura'') e la continuò nel resto della vita, pubblicando le cantiche man mano che le completava<nowiki><ref>Secondo una notizia tramandata dal Boccaccio, da Benvenuto e dall'anonimo fiorentino, i primi sette canti sarebbero stati composti a Firenze prima dell'esilio. Rimasti a Firenze e ritrovati da sua moglie, sarebbero stati consegnati al poeta durante il suo soggiorno in Lunigiana, dove avrebbe ripreso la composizione dell'opera. Sulla questione si veda: </nowiki>{{Cita|Ferretti 1935}} e {{cita|Ferretti 1950|pagine=3-25}}</ref>. Si hanno notizie di copie manoscritte dell'<nowiki/>''Inferno'' intorno al 1313, mentre il ''Purgatorio'' fu pubblicato nei due anni successivi. Il ''Paradiso''', '''''iniziato forse nel 1316, fu pubblicato man mano che si completavano i canti negli ultimi anni di vita del poeta. Il poema è diviso in tre libri o ''cantiche'', ciascuno formato da 33 canti (tranne l'Inferno che ne presenta 34, poiché il primo funge da proemio all'intero poema) e a cui corrispondono i tre stili della ''Rota Vergilii''<ref>Si guardi la sezione dedicata allo stile.</ref>; ogni canto si compone di terzine di endecasillabi (la terzina dantesca).[[File:Alighieri - Divina Commedia, Nel mille quatro cento septe et due nel quarto mese adi cinque et sei - 2384293 id00022000 Scan00006.jpg|miniatura|''Divina Commedia'', 1472.]]
'''''La Commedia'''''
'''''La Commedia'''''